venerdì 27 febbraio 2015

La tragedia greca: l’Europa a un bivio?

di Andrea Fumagalli

In questi giorni si è concluso il primo round della trattativa tra governo greco ed Eurogruppo. Presentiamo qui una prima analisi dei risultati raggiunti, delle opportunità guadagnate e delle eventuali occasioni perse. L’intento è quello di problematizzare con lucidità l’attuale fase, importante e delicata, evitando di farsi cogliere dal disfattismo o viceversa dall’euforia. Il presente contributo si è avvalso di un fruttifero scambio di opinioni con Christian Marazzi

Si è chiusa la prima fase della trattativa tra il governo Tsipras e la troika (ora chiamata “le istituzioni”) per la ristrutturazione del debito greco e il possibile superamento delle politiche di austerity. Non sappiamo ancora come il processo avviato nel mese di febbraio si concluderà e quindi è prematuro tracciare un bilancio definitivo. Ma alcune considerazioni possono essere avanzate già da ora.

La successione degli eventi
Cominciamo con i fatti. Perché un minimo di informazione è necessaria, per capire di che stiamo parlando.
Il 4 febbraio 2015 la Bce decide di non accettare più come garanzia “collaterale” i titoli di stato greci per fornire la liquidità necessaria al sistema creditizio greco al fine di far fronte alle normali operazioni bancarie. Di fatto, un drastico taglio alla liquidità greca che incentiva la fuga di capitali all’estero. Di fatto, un atto diterrorismo economico per condizionare la trattativa che si sarebbe aperta da lì a poco. Il governo greco inizia così la trattativa con una pistola puntata alla tempia.
L’11 febbraio si svolge la riunione straordinaria dell’Eurogruppo sulla Grecia. Il governo Tsipras presenta la proposta di rinegoziazione del debito greco. Le proposte del ministro delle Finanze greco Veroufakis si basano principalmente su due punti:
a. riesame delle scadenze delle rate del debito, allungandole e chiedendo per i primi anni (si parla sino al 2020) una moratoria al pagamento degli interessi per consentire che i soldi risparmiati possano essere finalizzati alla crescita economica, intervenendo così sul denominatore del rapporto debito/pil.
b. scambiare gli attuali titoli di stato con due tipi di nuovi bond (di fatto degli swap): il primo indicizzato alla effettiva crescita economica greca, da scambiare con i crediti erogati dai paesi e dalle istituzioni europee. In questo caso il pagamento delle cedole o del capitale viene subordinato alla crescita del Pil o al calo della disoccupazione. Il secondo è invece costituito da titoli di stato di durata perpetua che servirebbero a sostituire quelli detenuti dalla Bce, con il passato piano anticrisi SMP (Securities Markets Programme). Si tratta di titoli che pagano una cedola all’anno e non vengono mai rimborsati avendo scadenza infinita.
Il 16 febbraio, nuova riunione dell’Eurogruppo. I ministri europei chiedono ad Atene di estendere il programma di salvataggio, ponendo di fatto un ultimatum in linea con i diktat precedenti. La Grecia non solo rifiuta ma rilancia, chiedendo una “proroga di 4 mesi per discutere un nuovo accordo”. Il livello di scontro si alza e i paesi europei, nessuno escluso (compresi Italia e Francia), ripropongono la validità della politica di austerità. La possibilità che la Grecia possa essere indotta a uscire dall’Euro si fa concreta.
19-20 febbraio: i ministri delle finanze dell’Eurogruppo raggiungono un accordo di fondo su un testo di compromesso per l’estensione del programma di aiuti alla Grecia per quattro mesi, chiedendo in cambio che la Grecia proponga una serie di misure concrete che la troika dovrà approvare.
23 febbraio: rispettando i tempi concessi, poco prima di mezzanotte il governo greco presenta alla Commissione Europea e al Fmi le misure che intende adottare nei prossimi 4 mesi. La reazione sembra essere positiva, con parere positivo dell’Eurogruppo ma qualche perplessità della Bce e del FMI.

Qualcosa di nuovo sotto il sole europeo?
Questa la mera cronaca. Si ridiscuterà tra quattro mesi. Ciò significa che nulla è cambiato? Niente affatto:
1. Per la prima volta da quando le politiche di austerity sono diventate insindacabili in Europa (“there is no alternative”), un paese si conquista il diritto a trattare. Non è una questione solo formale, a prescindere poi dal risultato che potrà ottenere. Si è messo in discussione il “principio di autorità” dell’oligarchia finanziaria di commissariare un paese ed imporgli una politica economica neoliberista: principio fino ad oggi indiscutibile. Non è certo autodeterminazione, come la trattativa ha ben evidenziato, ma viene rotto un tabù. Sul piano simbolico, è un risultato importante e non è un caso che, per evitare questa eventualità, nel corso della trattativa, l’Eurogruppo abbia cercato di impedire che tale primo obiettivo venisse raggiunto, mettendo la Grecia di fronte all’aut-aut di uscire o rimanere nell’Euro. In questo caso chi ha bleffato è stato proprio l’Eurogruppo, che non poteva permettersi il default della Grecia, pena notevoli perdite non solo per le banche tedesche e francesi (che detengono buona parte del debito greco) ma anche per la BCE, che avrebbe visto ridursi le proprie riserve di liquidità.
2. Al riguardo non stupisce affatto la reazione negativa e stizzita di Spagna, Portogallo e Irlanda, i cui governi negli ultimi anni hanno accettato, senza colpo ferire, le misure draconiane imposte dalla troika con tutti gli effetti di miseria sociale che hanno comportato. Come poter giustificare oggi quella subalternità e passività ai diktat europei che, oltre ogni ragionevole dubbio, hanno evidenziato la complicità e la collusione che tali governi hanno intrapreso con gli interessi delle oligarchie finanziarie europee?
3. Il rischio di un “effetto domino” diventa così uno spettro che si aggira negli uffici di Bruxelles e Francoforte. Un effetto domino che non è quello orchestrato dalla speculazione finanziaria ma, all’inverso, dalla possibilità che sia possibile mettere una zeppa agli ingranaggi della governance neoliberista dell’Europa. A patto, tuttavia, che l’esempio greco, venga seguito da altri paesi europei. Sappiamo tutti che a ottobre si svolgeranno le elezioni politiche in Spagna, precedute dal test delle elezioni amministrative. Abbiamo già sottolineato che il peso specifico della Spagna è ben superiore di quello della Grecia e per questo da qui a ottobre ne vedremo delle belle. E’ facile prevedere che si svilupperà una canea mediatica e un gioco di ricatti per impedire a tutti i costi che la Spagna possa seguire l’esempio della Grecia.
4. In questo gioco simbolico, in Italia, senza che nessuno se ne sia accorto, tale canea ha già cominciato ad attivarsi. Nell’ultimo mese, con un ritmo alquanto sospetto, sono stati dati in pasto all’opinione pubblica una serie di dati economici che portano ad un’unica conclusione: grazie all’operato del governo Renzi e alle sue “riforme” (sarebbe meglio chiamarle “controriforme”), la recessione economica è improvvisamente terminata. Il Centro Studi Confindustria (maggior sponsor del governo) ha solennemente predetto che nel 2015 il PIl crescera del 2,1% nel 2015 e del 2,5% nel 2016! Una stima tre volte superiore a quella del Fmi! La Confcommercio afferma che, dopo 5 anni, gli occupati (non i posti di lavoro) sono aumentati nell’ultimo trimestre di 59.000 unità (di cui due terzi nel settore della vendita ambulante!). La stessa Banca Centrale Italiana, pur in modo più moderato, corregge al rialzo le stime di crescita, un misero + 0,5% nel 2015 rispetto al + 0,4% di novembre 2014, ma un più rassicurante + 1,1% nel 2016. Viene spiegato che è la conseguenza degli effetti benefici del Job Act e del decreto sulla liberalizzazione dell’energia. Sulla base di queste previsioni euforiche (del tutto in contrasto con quelle dell’Eurostat e del Fmi – ma nessuno ne parla), proprio pochi giorni fa, l’Ocse ha affermato, per bocca del suo segretario generale Angel Gurrìa, che la riduzione della rigidità del lavoro, grazie al Job Act, può “determinare un incremento del Pil pari al 6% nei prossimi 10 anni”. Insomma, la situazione economica volge al bello, senza dover mettere in discussione le politiche d’austerity, anzi confermandone le validità. Le riforme attuate in questi mesi dal governo Renzi – occorre ricordarlo – ricalcano perfettamente quelle auspicate dalla famosa lettera segreta del 5 agosto 2011 di Trichet e Draghi al fu governo Berlusconi come condizione per la riduzione del debito pubblico. In altre parole: a parole, Renzi e Padoan si dicono solidali con la Grecia ma nei fatti sono i più fedeli alleati della Merkel e di Schauble.

martedì 24 febbraio 2015

Grecia, la conquista del tempo e dello spazio per battere l’austerity

di Etienne Balibar e Sandro Mezzadra

Guardare al conflitto tra il governo Tsipras e la Ue oltre la contrapposizione "ritirata e vittoria". «Que­sto pro­cesso poli­tico non potrà che arti­co­larsi su una mol­te­pli­cità di livelli, com­bi­nando lotte sociali e forze poli­ti­che, com­por­ta­menti e pra­ti­che dif­fuse, azione di governo e costru­zione di nuovi con­tro­po­teri in cui si esprima l’azione dei cit­ta­dini euro­pei»

È dun­que vero che alla fine, come tito­lano molti gior­nali in Ita­lia e in Europa, Atene ha ceduto all’Eurogruppo (la Repub­blica), com­piendo il primo passo verso il ritorno all’austerity (The Guar­dian)? È comin­ciata la «riti­rata» di Syriza, come sosten­gono molti lea­der della stessa sini­stra interna del par­tito greco?
È pre­sto per for­mu­lare un giu­di­zio com­ples­sivo e fon­dato sugli accordi defi­niti all’interno della riu­nione dell’Eurogruppo di venerdì: molti aspetti tec­nici, ma di grande impor­tanza poli­tica, saranno resi noti sol­tanto nei pros­simi giorni. Vor­remmo tut­ta­via pro­vare a sug­ge­rire un diverso metodo di ana­lisi dello scon­tro che non ha sol­tanto con­trap­po­sto il governo greco alle isti­tu­zioni euro­pee, ma ha anche mostrato più di una crepa all’interno di que­ste ultime. Sulla base di quali cri­teri dob­biamo giu­di­care l’azione di Tsi­pras e Varou­fa­kis, misu­ran­done l’efficacia? È que­sta la domanda che ci inte­ressa porre.
Vale la pena di ripe­tere che lo scon­tro aperto dalla vit­to­ria di Syriza alle ele­zioni gre­che si svolge in un momento di crisi acuta e dram­ma­tica in Europa. Le guerre che mar­cano a fuoco i con­fini dell’Unione Euro­pea (a est, a sud, a sudest), le stragi di migranti nel Medi­ter­ra­neo non sono che l’altra fac­cia dei pro­cessi in atto di scom­po­si­zione dello spa­zio euro­peo, che la crisi eco­no­mica ha acce­le­rato in que­sti anni e che destre più o meno nuove, più o meno raz­zi­ste e fasci­ste caval­cano in molte parti del con­ti­nente. In que­ste con­di­zioni, le ele­zioni gre­che e la cre­scita di Pode­mos in Spa­gna hanno aperto una straor­di­na­ria occa­sione, quella di rein­ven­tare e riqua­li­fi­care a livello euro­peo una poli­tica radi­cale della libertà e dell’uguaglianza.

For­zare i limiti del capitalismo
Die­tro l’apertura di que­sta occa­sione ci sono, tanto in Gre­cia quanto in Spa­gna, le for­mi­da­bili lotte di massa con­tro l’austerity. Ma lo svi­luppo di que­ste lotte, nella loro dif­fu­sione «oriz­zon­tale», si è tro­vato di fronte limiti altret­tanto for­mi­da­bili: la posi­zione di domi­nio del capi­tale finan­zia­rio all’interno del capi­ta­li­smo con­tem­po­ra­neo e l’assetto dei poteri euro­pei, modi­fi­cato da quella che abbiamo defi­nito una vera e pro­pria «rivo­lu­zione dall’alto» nella gestione della crisi.
Il punto è che, non appena Syriza è riu­scita a inne­stare sull’orizzontalità delle lotte un asse «ver­ti­cale», por­tan­done le riven­di­ca­zioni e il lin­guag­gio fin den­tro i palazzi euro­pei, si è imme­dia­ta­mente tro­vata di fronte que­gli stessi limiti. Si è scon­trata con l’assetto attuale dei poteri euro­pei e con la vio­lenza del capi­tale finan­zia­rio. Sarebbe dav­vero inge­nuo pen­sare che il governo greco, che un sin­golo Paese euro­peo (anche di mag­gior peso demo­gra­fico ed eco­no­mico della Gre­cia) possa spez­zare que­sti limiti. Se ce ne fosse stato ancora biso­gno, quanto è acca­duto in que­sti giorni dimo­stra chia­ra­mente che non è sulla base di una sem­plice riven­di­ca­zione di sovra­nità nazio­nale che una nuova poli­tica della libertà e dell’uguaglianza può essere costruita.
I «limiti» di cui si è detto, tut­ta­via, ci appa­iono oggi in una luce diversa rispetto a qual­che mese fa. Se le lotte ne ave­vano mostrato l’insostenibilità, la vit­to­ria di Syriza, la cre­scita di Pode­mos e la stessa azione del governo greco comin­ciano ad allu­dere alla rea­li­stica pos­si­bi­lità di supe­rarli. Era evi­dente, e lo aveva chia­rito tra gli altri lo stesso Ale­xis Tsi­pras, che non sarebbe stata suf­fi­ciente una sem­plice affer­ma­zione elet­to­rale per fare que­sto. Si tratta di aprire un pro­cesso poli­tico nuovo, per costruire e affer­mare mate­rial­mente una nuova com­bi­na­zione, una nuova cor­re­la­zione di forze in Europa.
Diceva Lenin che ci sono situa­zioni in cui biso­gna cedere spa­zio per gua­da­gnare tempo. Se appli­chiamo que­sto prin­ci­pio, oppor­tu­na­mente modi­fi­cato, alla valu­ta­zione degli «accordi» di venerdì scorso pos­siamo forse scom­met­tere (con l’azzardo che è costi­tu­tivo di ogni poli­tica radi­cale) sul fatto che il governo greco abbia ceduto «qual­cosa» per gua­da­gnare tempo e per gua­da­gnare spa­zio. Ovvero, per disten­dere nel tempo l’occasione che si è aperta in Europa nella pro­spet­tiva, resa pos­si­bile anche dalle pros­sime sca­denze elet­to­rali in Europa (a par­tire dalla Spa­gna, ma non solo), che altri «spazi» ven­gano inve­stiti e «con­qui­stati» dal pro­cesso poli­tico nuovo di cui si diceva.

sabato 21 febbraio 2015

Alla conquista dell'organizzazione, verso il Social Strike europeo

di Coalizione dei Laboratori dello Sciopero sociale

Dallo Strike Meeting - Atto II, nasce la Coalizione dei Laboratori dello Sciopero Sociale : ecco il documento conclusivo della tre giorni romana (13-14-15 febbraio 2015)
Guarda i video integrali della plenaria di apertura e dell'assemblea europea sul Bambuser dello Sciopero Sociale

Obiettivi principali del II atto dello Strike Meeting – li abbiamo chiariti fin dall'inizio – sono stati: il consolidamento e l'articolazione della coalizione sociale e l'estensione europea del processo dello Sciopero sociale. Dopo tre giornate assai ricche di confronto, non possiamo che ritenerci molto soddisfatti, la strada intrapresa è quella corretta.
Tre giornate, occorre ricordarlo, segnate da una partecipazione quantitativamente maggiore del primo episodio del Meeting, ancora più eterogenea, con riferimento alle soggettività coinvolte, qualitativamente molto avanzata. Tra le plenarie e i workshop l'insistenza programmatica della discussione, già decisiva nel Meeting dello scorso settembre, è stata approfondita e, nello stesso tempo, estesa.
Basta citare nel dettaglio la giornata di sabato, quella dei workshop sulle vertenze e la campagne comuni, per cogliere le novità più rilevanti.
• L'apertura, a partire dal decisivo confronto tra i freelance e i professionisti atipici e degli ordini, della riflessione e della mobilitazione sulla fiscalità e la previdenza. Equità fiscale e previdenziale saranno i temi al centro del Tweet-storm del 20 febbraio (in coincidenza con il Cdm che riprenderà la delega fiscale), della mobilitazione del 27 febbraio sotto la Cassa forense (promossa dagli avvocati di MGA), della mobilitazione di marzo contro l'aumento dell'aliquota della Gestione separata INPS.
• L'insistenza, ricorrente in più workshop, sui nodi del lavoro gratuito e della disoccupazione giovanile, da articolare su diversi territori sociali. In primo luogo, quello segnato dalle mobilitazioni sulla Youth Guarantee, che hanno indicato nel 28 di marzo una data di agitazione e conflitto contro le agenzie per il lavoro e il business della disoccupazione giovanile, nel tentativo di organizzare su base regionale gli oltre 400 mila iscritti al programma, favorendo la costituzione e federazione di “Youth Corner”, dispositivi di informazione e aggregazione dei giovani precari/NEET. In secondo luogo, quello individuato dalle mobilitazioni contro il modello proposto da EXPO, che hanno trovato una ampia convergenza sulla necessità di animare una campagna di rifiuto e opposizione radicale al freejob. In terzo luogoil mondo dell'università e della ricerca, nel quale studenti e ricercatori universitari – che dopo anni di difficoltà sono tornati a elaborare analisi e percorsi di mobilitazione comuni – avvieranno percorsi di mobilitazione centrati, in particolare, sul tema della dismissione della ricerca pubblica e sul dispositivo degli stage e dei tirocini curriculari, a partire dalla necessità di ribaltare i principi di governo degli atenei, che passano per i meccanismi di valutazione, e di lottare contro definanziamento e privatizzazione.
• L'avvio di un confronto proficuo attorno al nodo del governo europeo della mobilità, dello sfruttamento del lavoro migrante e del business umanitario. Il “permesso di soggiorno minimo di due anni” su scala europea svincolato dal reddito, dai “punti” e dal contratto di lavoro è stato indicato come rivendicazione centrale per una campagna contro il ricatto permanente che segna le vite delle lavoratrici e dei lavoratori migranti e che in questi anni è stato una leva fondamentale su cui hanno poggiato processi più generali di frammentazione del lavoro e precarizzazione.
• In attesa del decreto renziano sulla “Buona scuola” (si dice il 28 febbraio), e dunque del rilancio delle mobilitazioni di studenti e docenti, il mondo degli insegnati precari ha elaborato una vertenza comune a partire dalla sentenza della Corte di giustizia europea contro la precarietà nella scuola italiana, a partire dalla quale è possibile offrire un terreno comune di mobilitazione contro la definitiva istituzionalizzazione della precarietà nella pubblica amministrazione.
• Una convergenza importante è stata stabilita tra le mobilitazioni contro lo Sblocca Italia, le devastazioni ambientali e leprivatizzazioni, e quelle che, a partire da Milano e dalle giornate del 30 aprile, 1 e 2 maggio, si opporranno al dispositivo “EXPO”.Le mobilitazioni di Milano sono un passaggio centrale nella contrapposizione alle trasformazioni sociali e culturali che il neoliberismo impone. Un passaggio fondamentale da costruire e attraversare. In più, la questione della Sanità e della salute è stata al centro, tanto del confronto sulle privatizzazioni quanto della proposta, emersa dal Gender Strike, di federare esperienze di mutualismo, in particolare quelle in grado di scardinare l'impostazione familistica del welfare italiano.
• Dal workshop dedicato al lavoro culturale, creativo e dello spettacolo, è emersa l'esigenza di focalizzare il modo in cui il Jobs Act e i decreti attuativi, insieme al Decreto Valore/Cultura, interagiscono e degradano ulteriormente il multiforme panorama, già privo di tutele, del lavoro culturale. La campagna dedicata al lavoro culturale, quindi, centrerà l'azione su proposte di organizzazione cooperativa e mutualistica della produzione culturale.

La speranza del mostro democratico, fra Syriza e Podemos

di Antonio Negri e Raúl Sánchez Cedillo

“Uno spettro si aggira per l’Europa”: così titolava in questi giorni il giornale italiano “il manifesto”, commentando le visite di Tsipras e Varoufakis ai governi europei. Un vero incubo per gli ordoliberali tedeschi, un Geisterfahrer, per l’appunto, l’autista suicida che vuole scaraventarsi contro l’autobus europeo – ha detto in prima pagina “Der Spiegel”. Immaginiamo che cosa potrà succedere con la vittoria di Podemos in Spagna: quale enorme spettro sarà allora visto aggirarsi, un vero e proprio mostro generato dagli sfruttati e dalle forze produttive della quarta economia europea! Fra poche settimane cominceranno le scadenze elettorali in Spagna e si ripeterà, con forza moltiplicata, il ritornello dei governi europei inteso a far paura ai cittadini spagnoli. Prepariamoci. Certi che le malauguranti prepotenze propagandiste europee saranno battute. Ma intanto prepariamoci: che cosa potrà replicare Podemos sull’Europa?

Consapevole dell’accelerazione temporale e politica che la vittoria di Syriza ha imposto, il discorso di Podemos sull’Europa è da un lato di sincera solidarietà e d’alta considerazione per la vittoria dei democratici greci, d’altra parte è un giudizio di prudenza – la linea Tsipras può fallire nel breve tempo che divide dalle scadenze spagnole. E la prudenza non è ambiguità. Tutti sappiamo infatti che nulla sarebbe più pericoloso di una posizione ambigua non solo sulla trattativa ora aperta dalla Grecia con l’Europa ma soprattutto nei confronti delle politiche che l’Europa della troika ha finora sviluppato. Qualsiasi ambiguità su questo terreno dev’essere tolta – e lo è stata effettualmente da quanto si è drammaticamente visto in questi ultimi mesi: esistono due Europa e bisogna collocarsi nell’una o nell’altra. Ogni cittadino ragionevole sa che non si potrà vincere in Spagna se non nella luce di un fronte già aperto da Syriza e da allargare in Europa. Le politiche del debito, le questioni legate alla sovranità e alla questione atlantica non possono esser viste se non sullo spazio europeo.
C’è da aspettarsi grande attenzione alle proposte tattiche ed alle politiche del team economico-finanziario di Syriza. Al di là dei giudizi di merito su queste proposte, esse segnano comunque un piano di cooperazione transnazionale e un abbandono della demagogia anti-europea delle “vecchie” sinistre, demagogia che comunque non è stata mai forte in Podemos. La scommessa di Syriza è certo formulata nei termini della difesa della sovranità nazionale (“contro la troika”, “contro la Merkel”, ecc.) ma nella pratica implica un’assunzione assai evidente di un intervento politico dentro e contro l’Unione così come essa è diretta. Oggi, la prima opzione è dunque quella di una coalizione dei PIIGS e delle forze di una nuova sinistra per ribaltare lo statu quo dell’Unione. Questa sembra anche l’unica opzione che si offre a Podemos per vincere le elezioni.
Cerchiamo di considerare la cosa più ampiamente. Finora lo scontro in Europa è stato quello fra un’Europa neo-bismarckiana, neo-liberale e fondamentalmente conservatrice e un’Europa democratica, costituente e fondamentalmente attenta alle esigenze dei lavoratori, delle classi medie impoverite e dei giovani precari o senza lavoro, delle donne, degli immigrati e rifugiati, dei vecchi e nuovi esclusi. Un’alternativa per modo di dire, perché a partire dalla crisi del 2008, è l’Europa bismarckiana che si è imposta con gran forza – all’altra Europa è stato lasciato uno spazio marginale, di protesta, talora addirittura di disperata lamentazione. Eppure, quando la situazione sembrava definitivamente chiusa alle rivendicazioni di giustizia ed alle rivolte contro la miseria, allora l’alternativa si è data a partire dalla Grecia. Occorre ora ribadirla ed organizzarla proprio sui terreni sui quali l’iniziativa reazionaria si era affermata – dove aveva cercato di soffocare l’Ercole del riscatto popolare.

La crisi greca, la recessione italiana e le contraddizioni dell’Eurozona

di Guglielmo Forges Davanzati

La crisi greca è la più eclatante manifestazione del fatto che l’Unione monetaria europea non può che generare impoverimento crescente delle aree deboli. La spirale perversa nella quale è precipitata l’economia ellenica è molto simile a quella che caratterizza la nostra economia. In questo scenario, e contrariamente alla posizione assunta dal governo Renzi, dovrebbe essere interesse anche nostro sostenere il programma di revisione dell’architettura istituzionale europea che Syriza propone
"Il libero scambio porta inevitabilmente alla concentrazione
Spaziale della produzione industriale  – un processo di polarizzazione
che inibisce la crescita di queste attività in alcune aree e le concentra in altre”
 (N.Kaldor, The foundation of free trade theory, 1980)

I numerosissimi commenti sulla situazione greca si sono, nella gran parte dei casi, concentrati sul problema della ristrutturazione del debito e sulla tenuta dell’Unione Monetaria Europea. Non vi è dubbio che si tratta di problemi di massima rilevanza, così come non vi è dubbio che la soluzione della crisi greca ha natura innanzitutto politica. Non dovrebbe però passare in secondo piano un altro dato che attiene al fatto che ciò che è accaduto all’economia greca – per quanto attiene alla sua struttura produttiva – è molto simile a ciò che è accaduto (e sta accadendo) agli altri Paesi periferici del continente, Italia inclusa.
Le affinità fra i due Paesi non sono marginali, sebbene lo siano, ovviamente, con ordini di grandezza assai diversi. Fra queste, l’elevato debito pubblico, l’elevata evasione fiscale1, l’elevata disoccupazione (prevalentemente giovanile) e soprattutto una specializzazione produttiva in settori a bassa intensità tecnologica accomunano le due economie2. In particolare, l’Italia, a differenza della Grecia, non ha mai sperimentato tassi di crescita negativi nell’ordine dell’8% (come accaduto in Grecia nel 2011), né ha mai fatto registrare un rapporto debito pubblico/Pil del 175% (come nella Grecia del 2014), attestandosi questo rapporto, ad oggi, al 135%. Ma soprattutto, mentre la Grecia ha sempre avuto una specializzazione produttiva in settori a bassa intensità tecnologica (agricoltura e turismo, in primis), l’economia italiana è stata un’economia industriale, per poi sperimentare, almeno a partire dall’inizio degli anni novanta, un intenso processo di deindustrializzazione che la rende ora sempre più simile a quella greca.
Il programma economico di Syriza ha come punto essenziale la rinegoziazione del debito e il rifiuto di mettere in campo ulteriori misure di austerità. Dovrebbe essere ormai del tutto chiaro che le politiche di austerità, oltre a essere socialmente insostenibili (non solo per la Grecia), sono anche controproducenti per l’obiettivo di ridurre il rapporto debito pubblico/Pil, come peraltro certificato dallo stesso Fondo Monetario Internazionale. Su questo aspetto, la posizione di Syriza è assolutamente convincente ed è auspicabile che, su questo punto, vi sia un “effetto contagio” in altri Paesi europei. Ma qui – oltre alle questioni di ordine finanziario – si pone un problema essenziale che attiene all’eventuale attuazione di politiche fiscali espansive in un’economia sostanzialmente priva di un settore industriale.

Lavoro, ecco la “zona grigia” di chi ha perso ogni speranza

di Antonio Casano

Dal quadro dei dati sul mercato del lavoro emerge la dura realtà della crisi che mette in evidenza la fine di un meccanismo estrattivo di plusvalore basato sul lavoro salariato. Parimenti si estende il “processo di meridionalizzazione” non solo all’interno dei confini nazionali, ma coinvolge -com'è evidente- l’intera area euromediterranea: una nuova “questione meridionale” di dimensione continentale si fa largo. Un  nuovo Sud è necessario per ristrutturare il sottosviluppo organico all’accumulazione del capitale: le politiche economiche gestite dalla Troika sono funzionali a tale processo. Esse azionano strumenti di rifinanziarizzazione come chiavi sottrattive di ricchezza che impoveriscono i livelli sociali della qualità della vita: Grecia docet!  

Dall’analisi dell’ultimo “Rapporto Svimez 2014” sull’economia del Mezzogiorno, emerge che nel periodo compreso tra 2008 ed il 2013 si è registrata una caduta occupazionale del 9%, circa 7 punti percentuali in più rispetto al pari segno negativo (-2,4%) del Centro-Nord. Nelle aree meridionali, in valori assoluti, coloro che hanno perso il posto di lavoro sono stati ben 583mila, a fronte del calo complessivo di 985mila. Il dato è estremamente significato perché configura l’esatta misura degli effetti drammatici della crisi. Se consideriamo che nel totale degli occupati rilevato nel 2013 – 22 milioni 420mila – l’incidenza del Mezzogiorno è pari al 26%, osserviamo che la perdita dei posti di lavoro si concentra prevalentemente nel Sud, attestandosi ad una drammatico 60%. In sostanza, nel solo 2013 la perdita di posti di lavoro al Sud è stata di 282mila su 478mila complessivamente persi su scala nazionale. Oltremodo preoccupante risulta essere il calo dell’occupazione giovanile: il segno negativo ha penalizzato i giovani d’età sotto i 34 del 12% (quasi del 7% i pari fascia del Centro-Nord).
“La nuova flessione – ricordano i ricercatori dello Svimez – riporta il numero degli occupati del Sud per la prima volta nella storia a 5,8 milioni, sotto la soglia simbolica dei 6 milioni; il livello più basso almeno dal 1977, anno da cui sono disponibili le serie storiche base di dati”. In altri termini, non solo nei decenni successivi i limiti del dualismo dell’economia italiana non sono stati rimossi, ma il tasso occupazionale nel Sud è sceso al 42% rispetto al 49% degli anni ’70, mentre è cresciuto di 7 punti al Centro-Nord a fronte del 56% di quegli anni. Tuttavia, si osserva nel Rapporto, sia “il 42% del Mezzogiorno che il 63% del Centro-Nord sono però tassi di occupazione decisamente lontani dal target del 75% di Europa 2020”.

domenica 15 febbraio 2015

Genealogie di governo nell’esperienza di Podemos

di Beppe Caccia

nella stagione che si sta aprendo in Europa, potrebbe essere giocata la scommessa sulla relazione virtuosa, di reciproco volano tra istituzioni costituite e nuovi istituti del comune: la sperimentazione di che cosa potrebbe significare, sul serio, un movimento costituente

Nella finestra di possibilità trasformativa che si è aperta per tutti noi in Europa, abbiamo bisogno di forte mobilitazione sociale, ma certo non di propaganda. Per questo, di fronte al braccio di ferro ingaggiato dal governo Tsipras con “il regime della crisi” che da cinque anni ingabbia il nostro spazio continentale e di fronte alla spinta della nuova Puerta del Sol del 31 gennaio scorso, dobbiamo provare a contribuire alla più lucida comprensione di “come” sono nati e “come” funzionano oggi i dispositivi politici che nominiamo Podemos e Syriza. Provo qui a indicare alcune parziali piste di lavoro, a partire dall’intervallo tra la pubblicazione di due testi di Pablo Iglesias Turrion, in cui può situarsi la genealogia di Podemos, quel benvenuto fenomeno d’innovazione politica che debordando i confini dello Stato spagnolo turba, insieme al governo greco, le veglie e i sonni delle oligarchie di tutta Europa.

La disobbedienza, “futuro anteriore” del 15M e delle piazze spagnole

Il primo libro è Disobedientes. De Chiapas a Madrid, pubblicato nel 2011 a Madrid da Editorial Popular, all’indomani del 15M di Puerta del Sol e mentre le piazze iberiche ancora ribollivano di moltitudini indignate. Aperto da un prologo di Luca Casarini, il testo nasce dall’originale tesi di dottorato in cui Iglesias combina ricostruzione storica e analisi politologica della realtà delle Tute bianche prima e dei Disobbedienti poi, all’interno del ciclo di movimento di critica della globalizzazione neoliberista, con la propria personale esperienza di attivista, studente Erasmus a Bologna e Padova in quegli anni cruciali, presente alla contestazione del FMI a Praga nel settembre 2000 e poi a Genova nelle giornate del G8 2001, impegnato infine nel tentativo di esportare in Spagna il modello della “disobbedienza all’italiana”.
Per Pablo il terreno dell’azione comunicativa è decisivo: “I disobbedienti scoprirono un meccanismo politico di produzione di senso adeguato a un tempo dominato dalle tecnologie della comunicazione. Furono capaci di creare simboli che, nel bene e nel male, si sono dimostrati storicamente imprescindibili per l’esito dell’azione collettiva”. Qui egli individua tra le Tute bianche uno degli elementi di anticipazione del ciclo dei movimenti “occupy” nelle piazze di dieci anni dopo: “Non solo posero la necessità di costruire scenari di comunicazione politica a partire dal conflitto, riconfigurando la disobbedienza civile e adattandola a le nuove tendenze culturali e militanti proprie dello sviluppo postfordista in Europa. Ma segnalarono anche una possibilità strategica per i settori della sinistra radicale europea che non vedevano ancora chiaramente la possibilità di scommettere sulla forma partito, né intendevano accomodarsi nella marginalità o nella fuga verso “il sociale” e “il solidale”. I disobbedienti dimostrarono invece che era possibile fare politica sullo scenario globale senza essere un partito, e che si può stare al centro del confronto senza farsi cooptare dal sistema rappresentativo”. È in sostanza la fortunata coniugazione di “conflitto e consenso”, come si diceva in quegli anni, che consente a Iglesias di affermare come, nella ricostruzione di un ideale fil rouge, “il 15M abbia fatto sì che tutti questi eventi non appartengano al passato ma, in ogni caso, a un futuro anteriore”.

giovedì 12 febbraio 2015

Invece di un commento: facciamo la nostra scelta #18m

di Blockupy European Coordination

Considerazioni sui risultati delle elezioni greche del Coordinamento di Blockupy, verso la manifestazione transnazionale del 18 marzo contro la BCE a Francoforte

Abbiamo fin troppo aspettato che la BCE annunciasse la data della non-apertura del suo quartier generale. Nel mentre ci siamo chiesti se avessimo ripetuto l’errore dei movimenti anti-globalizzazione: finire per essere dipendenti dall’agenda e dai calendari dei dominanti. Adesso possiamo dire: quell’errore è stato la nostra pausa fortunata. Perché qualcosa è successo. La popolazione greca non ha accettato ciò che era considerato senza alternative. Hanno rimandato la loro crisi – la crisi della vita quotidiana, della sanità, dei rifugiati e dei migranti, dei lavoratori e dei disoccupati, delle scuole e delle famiglie – dritta al mittente: all’Europa tedesca della troika, del mandante dell’austerità, dell’esclusione. Non hanno dato in cambio né si sono rassegnati dopo le inasprite lotte resistenziali degli ultimi anni. Vogliamo dirlo senza enfasi: ci inchiniamo davanti a questa determinatezza e ribellione, davanti all’energia e alla speranza che generano.
Il 18 marzo è la nostra opportunità, ed è allo stesso tempo nostra responsabilità, per formare la nostra risposta. A Francoforte, in Germania. Di fronte alla BCE e con i nostri amici da tutta Europa e oltre. Questo è anche il motivo per cui abbiamo “inventato” Blockupy 2012, l’abbiamo fermamente mantenuto, e l’abbiamo sviluppato in uno spazio transnazionale che è attivo anche a Francoforte, in Germania.
Stiamo dicendo anche che non vogliamo avere false speranze riguardo ciò che è stato reso possibile dalle elezioni in Grecia. Non si può banalmente votare per buttare fuori dai giochi la crisi del capitalismo. Un mondo migliore e diverso non sarà introdotto da una decisione presa alle urne ma piuttosto attraverso la decostruzione di una democrazia dal basso e oltre ogni frontiera. Questa è la ragione per cui non ci stiamo posizionando dalla parte di un progetto governativo. Non è la nostra questione; non è il nostro obiettivo. Noi siamo dalla parte di un’unità solida, del popolo Greco in lotta e della sinistra sociale. Ma finché il nuovo governo porta la sua lotta nelle istituzioni europee in opposizione alle costrizioni imposte dall’austerità sul suo popolo, c’è una possibilità per tutti noi. Sì, tutto ciò apre ad uno spazio per un dibattito politico di nuova qualità intorno al regime della crisi e il neoliberalismo e mette in moto un effetto domino in Spagna, Italia, e altrove. L’apertura di questa sorta di corridoio politico è quello che tutti noi si stanno aspettando da Syriza – ed è ciò contro cui Syriza avrà da misurarsi nel futuro.

"El momento es ahora!"

di Collettivo Euronomade

La vittoria greca chiama ad un cambio di passo anche nell’azione complessiva dei movimenti europei. Hic Rhodus hic salta! È un salto che va compiuto subito: con un’intensificazione costituente e di lotta, di mobilitazione e di traduzione

1. «Borsa, Atene chiude a -3,20%». E ancora: «la borsa di Atene, -9,34». L’euro regge. Le agenzie di rating fibrillano per rappresaglia. [...] Immediatamente dopo l’esito elettorale: «Bruxelles apre al dialogo». Pochi giorni dopo, Juncker: «Cancellare o tagliare il debito è escluso. Accordi sono possibili, ma non cambieranno fondamentalmente le cose». Che la vittoria di Tsipras abbia suscitato reazioni contrastanti in Grecia è indubbiamente un riflesso dello scenario politico e della lotta di classe in Europa. Da una parte, il capitale finanziario, le banche e i rentiers tremano dinanzi alla possibilità di veder sfumare i crediti che fin qui gli erano stati garantiti dal commissariamento delle politiche economiche, per mezzo del Memorandum concordato tra la troika e l’ex premier Samaras. Dall’altra parte, coloro che la crisi l’hanno subita provano a cambiare rotta: quel pezzo consistente di composizione sociale, di lavoro vivo e di cooperazione sociale, su cui l’accumulazione finanziaria va costruendo le proprie fortune; e parimenti larghi settori del terziario pubblico che vanno tagliati per evitare quei «pasticci» che, secondo il thatcherismo, «esauriscono i soldi degli altri». Una composizione di classe che ha dato il suo 36% di consenso all’«azzardo» di Syriza, riconoscendone la presenza al proprio fianco durante gli anni più atroci della crisi, in piazza Syntagma e nelle strade in rivolta così come nei commissariati in cui avvenivano le torture di una polizia storicamente fascista.
Pur nascendo dall’accorpamento di 7 partiti, e quindi non estranea alla genealogia della “sinistra storica”, Syriza ha saputo mantenere quell’«atteggiamento sperimentale» in grado, anzitutto, di sconfiggere la paura e, poi, di tornare a vincere. La sua capacità è stata quella di costruire un piano sul quale la grande e vasta mobilitazione dei movimenti sociali non rifluisse, una volta incontrata l’indifferenza della troika e dei suoi servitori in Grecia, nella ritirata o nella sconfitta. Ha saputo mantenere viva la relazione con quel tessuto sociale, senza pretendere di rappresentarlo: piuttosto, facendone un elemento imprescindibile di apertura costante – e magari anche contraddittoria, mai definitivamente risolta – della propria costruzione politica. Con un percorso in gran parte diverso, anche in Spagna lo sviluppo di Podemos si muove in questo senso: non pensare di rappresentare il movimento degli indignados, comprendere fino in fondo quell’ “irrappresentabilità”, e nello stesso tempo costruire il proprio progetto politico e la propria organizzazione in un continuo sforzo di “articolazione” con il mondo moltitudinario che ha animato il 15M. È un campo che si apre grazie all’effettiva rottura costituente avvenuta attorno al 2011; e che, al contrario di quanto s’aspettava chi, al solito, sapeva prevedere solo un “inevitabile” destino di riflusso dei movimenti, ha prodotto un gioco inedito nel quale, ai limiti incontrati dalla mobilitazione antiausterity del “sociale”, si è risposto con un esperimento di politicizzazione della società, certo ancora parziale, ma sicuramente efficace.
Ovviamente, sarebbe una semplificazione immaginare queste formazioni come un’espressione lineare di una nuova istituzionalità nata e prodotta dalle lotte: mentre l’accumulazione finanziaria riscrive in profondità le istituzioni classiche della statualità e della rappresentanza, anche le risposte non possono avere nulla di lineare. Così il rapporto tra formazioni nate dopo l’affievolirsi della spinta dei movimenti antiausterity e i movimenti sociali non si iscrive né nel campo della classica – e inservibile – rappresentanza dei movimenti, né in una riaffermazione astratta del Partito o della centralità dello Stato nei processi politici: si è aperto, invece, un campo aperto e sperimentale, oltre la distinzione costituzionale classica tra spazi del sociale e del politico, e, in fondo, oltre la stessa idea di unità dei processi costituzionali. In questo senso, il riferimento alle esperienze latinoamericane non è solo una suggestione, ma una chiave di lettura del nuovo tentativo di articolazione, molto mobile e anche conflittuale, tra sociale e politico, tra movimenti e spazio “pubblico”. Nessuno può illudersi che “prendere lo Stato” (o più prosaicamente il governo) oggi possa significare davvero prendere il potere, se l’azione politica – e anche lo stesso processo elettorale – non si mantiene in tensione con le pratiche che nascono dalla cooperazione sociale; né che la dimensione statual-nazionale possa essere risolutiva o definitiva nella lotta contro l’accumulazione finanziaria; dall’altra parte, però, i movimenti sociali sono strappati via da ogni illusione di poter mettere tra parentesi il problema del potere, e di confondere la produzione/riappropriazione del comune con una oziosa e astratta autonomia delle lotte sociali.
Le elezioni greche e la progressione assunta dalle vicende spagnole ci restituiscono evidentemente il senso del possibile: perché rendono praticabile, pronunciabile in termini non ideologici, una rottura effettiva dell’“estremismo di centro” che ha dominato l’Unione Europea, sia nelle sue versioni ufficiali da “grandi intese” sia nei suoi cascami direttamente nazionalistici e autoritari; e perché mostrano del tutto concretamente l’apertura di quello spazio non neoliberale e non socialdemocratico che le lotte per la riappropriazione del comune hanno da tempo prefigurato come unica possibilità politica per uscire dalla crisi. Ma ancor più, questa sensazione di un nuovo “possibile” è data dal fatto che emerge, pur in modo necessariamente contradditorio e impuro, la rottura di quella bipartizione astratta tra spazio politico e spazio sociale, che ha impedito per lungo tempo ai movimenti sociali anche solo di mettere a tema il problema della vittoria politica, relegandoli allo spazio della produzione di “pubblica opinione”.