di Antonio Negri e Raúl Sánchez Cedillo
“Uno spettro si aggira
per l’Europa”: così titolava in questi giorni il giornale italiano “il
manifesto”, commentando le visite di Tsipras e Varoufakis ai governi europei.
Un vero incubo per gli ordoliberali tedeschi, un Geisterfahrer, per l’appunto,
l’autista suicida che vuole scaraventarsi contro l’autobus europeo – ha detto
in prima pagina “Der Spiegel”. Immaginiamo che cosa potrà succedere con la
vittoria di Podemos in Spagna: quale enorme spettro sarà allora visto
aggirarsi, un vero e proprio mostro generato dagli sfruttati e dalle forze
produttive della quarta economia europea! Fra poche settimane cominceranno le
scadenze elettorali in Spagna e si ripeterà, con forza moltiplicata, il
ritornello dei governi europei inteso a far paura ai cittadini spagnoli.
Prepariamoci. Certi che le malauguranti prepotenze propagandiste europee
saranno battute. Ma intanto prepariamoci: che cosa potrà replicare Podemos
sull’Europa?
Consapevole
dell’accelerazione temporale e politica che la vittoria di Syriza ha imposto, il
discorso di Podemos sull’Europa è da un lato di sincera solidarietà e
d’alta considerazione per la vittoria dei democratici greci, d’altra
parte è un giudizio di prudenza – la linea Tsipras può fallire nel
breve tempo che divide dalle scadenze spagnole. E la prudenza non è ambiguità.
Tutti sappiamo infatti che nulla sarebbe più pericoloso di una posizione
ambigua non solo sulla trattativa ora aperta dalla Grecia con l’Europa ma
soprattutto nei confronti delle politiche che l’Europa della troika ha finora
sviluppato. Qualsiasi ambiguità su questo terreno dev’essere tolta – e lo è
stata effettualmente da quanto si è drammaticamente visto in questi ultimi
mesi: esistono due Europa e bisogna collocarsi nell’una o nell’altra. Ogni
cittadino ragionevole sa che non si potrà vincere in Spagna se non nella luce
di un fronte già aperto da Syriza e da allargare in Europa. Le politiche del
debito, le questioni legate alla sovranità e alla questione atlantica non
possono esser viste se non sullo spazio europeo.
C’è
da aspettarsi grande attenzione alle proposte tattiche ed alle politiche del
team economico-finanziario di Syriza. Al di là dei giudizi di merito su queste
proposte, esse segnano comunque un piano di cooperazione transnazionale e un
abbandono della demagogia anti-europea delle “vecchie” sinistre, demagogia che
comunque non è stata mai forte in Podemos. La scommessa di Syriza è
certo formulata nei termini della difesa della sovranità nazionale (“contro
la troika”, “contro la Merkel”, ecc.) ma nella pratica implica un’assunzione
assai evidente di un intervento politico dentro e contro l’Unione così come
essa è diretta. Oggi, la prima opzione è dunque quella di una coalizione dei
PIIGS e delle forze di una nuova sinistra per ribaltare lo statu quo
dell’Unione. Questa sembra anche l’unica opzione che si offre a Podemos per
vincere le elezioni.
Cerchiamo
di considerare la cosa più ampiamente. Finora lo scontro in Europa è stato
quello fra un’Europa neo-bismarckiana, neo-liberale e fondamentalmente
conservatrice e un’Europa democratica, costituente e fondamentalmente attenta
alle esigenze dei lavoratori, delle classi medie impoverite e dei giovani
precari o senza lavoro, delle donne, degli immigrati e rifugiati, dei vecchi e
nuovi esclusi. Un’alternativa per modo di dire, perché a partire dalla crisi
del 2008, è l’Europa bismarckiana che si è imposta con gran forza – all’altra
Europa è stato lasciato uno spazio marginale, di protesta, talora addirittura
di disperata lamentazione. Eppure, quando la situazione sembrava
definitivamente chiusa alle rivendicazioni di giustizia ed alle rivolte contro
la miseria, allora l’alternativa si è data a partire dalla Grecia.
Occorre ora ribadirla ed organizzarla proprio sui terreni sui quali
l’iniziativa reazionaria si era affermata – dove aveva cercato di soffocare
l’Ercole del riscatto popolare.
La
prima questione, il primo nodo, è quello del debito. L’Europa della
troika vuol far pagare il debito alle moltitudini europee e, della capacità di
pagare questo debito, fa la misura della democrazia ed anche del grado di
europeismo. Ma tutti coloro che si muovono su un fronte democratico pensano
piuttosto che questa misura sia infame perché i debiti che oggi sono imputati
ai popoli son stati fatti da coloro che in tutti questi anni hanno governato.
Questi debiti hanno rimpinguato le classi dirigenti, non solo attraverso la
corruzione, l’evasione o i favori fiscali, le folli spese per gli armamenti, le
politiche industriali a vantaggio non del lavoro ma sottomettendolo alla
rendita finanziaria e imponendo ai modi di vita precarietà ed un’incertezza
soffocante. Ogni uomo, ogni donna, ogni lavoratore ha dovuto riconoscersi
colpevole di un debito, di un balzello finanziario di cui non era responsabile.
E piegare la sua vita a questa pena.
È
il tempo di dire ad alta voce che non sono i cittadini ma i padroni del potere,
gli uomini del progetto neoliberale, i politici di “centro”, delle “grandi
coalizioni” sempre più estremiste e esclusive – sono questi che hanno creato un
debito del quale si sono impadroniti e del quale vogliono un non dovuto
rimborso. Contro tale condizione servile per i popoli (non
solo per quelli del Sud Europa ma anche per quelli della Mitteleuropa e
soprattutto dell’Europa dell’Est) la nuova sinistra, attraverso Syriza,
chiede un riscatto – una conferenza europea sul debito e cioè una sede
costituente per un nuovo sistema di solidarietà, per nuovi criteri di
misurazione e cooperazione fiscali e di politiche del lavoro. Podemos può
portare a questo progetto un enorme sostegno. Ognuno di noi sa che dietro
questi temi si apre un progetto di trasformazione profonda dei rapporti
sociali. Ancora una volta è dall’Europa ed in Europa che nasce un progetto di
libertà, di eguaglianza, di solidarietà – un progetto che possiamo chiamare
antifascista, perché ripete la passione e la forza delle lotte di Resistenza.
L’alleanza
fra Podemos e Syriza, e la sollecitazione a confluire in quest’alleanza a tutte
le nuove sinistre europee, può costruire un modello – il modello di un’Unione
democratica, costruita sulla solidarietà oltre e contro il mercato. Su questa
base, una politica fiscale non può esser fatta che riducendo o abolendo il
debito fin qui consolidato e istaurando ed omogeneizzando, per il futuro,
criteri progressivi di fiscalità sull’intera zona dell’euro. I temi centrali
del Welfare, quelli dell’educazione, dell’assistenza medica, del sistema
pensionistico e delle politiche della casa, ma anche del lavoro domestico e del
lavoro di cura, devono svilupparsi in maniera omogenea sul livello europeo
accompagnandosi alla grande innovazione di un “reddito di cittadinanza”
decente, generalizzato e omogeneo. Tutto ciò apre una battaglia costituente
laddove questi nuovi diritti di solidarietà possano essere riconosciuti, dove
il comune divenga elemento centrale di organizzazione economico-sociale.
Ma
per vincere attorno a queste questioni si deve indicare il terreno sul quale
battersi: non può che essere l’intero spazio europeo. Con ciò si apre quel tema
centrale attorno al quale molti equivoci si sono accumulati: è il terreno della
cessione di sovranità. Trasferimenti di sovranità sono già avvenuti e sempre a
favore dei poteri neo-bismarckiani del capitalismo finanziario. È su questo
terreno, attaccando demagogicamente queste cessioni di sovranità, che le destre
nazionaliste nascono e pericolosamente si sviluppano in Europa. È strano però
vedere queste posizioni baluginare talvolta (o esser poste in buona luce) anche
fra gli aderenti a Syriza, a Podemos e ad altre forze di una “nuova Europa” che
stanno formandosi. Bisogna essere chiari a questo proposito: i singoli paesi,
che sono entrati nell’Unione e tanto più quelli che sono entrati nell’Euro, non
posseggono più una piena sovranità. E ciò è un bene. Dietro la sovranità
nazionale si è sviluppata ogni tragedia della modernità. E se vogliamo
continuare a parlare di sovranità in senso moderno (e classico), e cioè di un
potere “in ultima istanza”, sia chiaro che esso è sempre di più identificabile
a Francoforte, nella torre della BCE. Siamo in una situazione in cui vige una
pericolosa duplicità.
Essa
va riconosciuta: abbiamo bisogno di Francoforte, di una moneta europea, se non
vogliamo esser preda dei poteri finanziari-globali, delle politiche USA e poi
degli altri colossi continentali che a fronte dell’Europa stanno affermandosi;
ma d’altra parte dobbiamo recuperare Francoforte alla democrazia, imporle le
ragioni dei popoli – e Francoforte deve essere assaltata dall’Europa – subito
dai movimenti e poi, mano a mano, dalla maggioranza delle democrazie europee e
da un Parlamento europeo trasformato in assemblea costituente. Nella
globalizzazione si è affermata ovunque la centralità di un governo monetario di
zone continentali – l’Europa è una di queste zone continentali. Non si
può immaginare una battaglia politica meno essenziale di quella che conduce al
controllo democratico del governo della moneta europea. È questa, oggi, la
presa della Bastiglia.
È
evidente, d’altra parte, che solo ponendo il problema del controllo sul vertice
monetario e politico dell’Europa, e quindi insistendo sulla dissoluzione delle
vecchie sovranità monocratiche, si può aprire, in maniera produttiva, il tema
del federalismo – altro passaggio essenziale nella costruzione di una nuova
Europa. Federalismo: non solo quello che vede le nazioni europee ricomposte in
un dialogo costituzionale ma, anche e soprattutto, un’articolazione di tutte le
nazioni, di tutte le popolazioni e lingue che vogliono sentirsi culturalmente e
politicamente autonome, dentro un quadro unitario – cioè federale. Non sono
tanto i PIIGS che desiderano questo; lo sono la Scozia, la Catalogna e tutte le
altre regioni che chiedono autonomia e capacità effettiva di decidere sulla
loro costituzione politica e sociale. Il federalismo diviene una chiave di
costruzione dell’Europa. La questione della sovranità non può esser posta ed
utilizzata se non in termini di pluralità, consentendo alle dinamiche che
articolano uno schietto federalismo prossimo venturo.
È
qui che si coglie nuovamente come solo la sinistra – quella nuova sinistra che
parte dalla radicalità democratica dei movimenti emergenti di lotta e si
organizza su linee di emancipazione (Syriza e Podemos) – possa affermare l’Unione
europea non come strumento di dominio ma come obiettivo democratico.
Sinistra-Europa-radicalità democratica: questo dispositivo è divenuto man mano
centrale per la definizione della difesa degli interessi delle classi
lavoratrici e per l’emancipazione dei cittadini dalla povertà. C’è una lunga e
sporca tradizione di sinistre sovraniste che va definitivamente cancellata,
alla stessa stregua in cui vanno battute le esperienze populiste che fanno leva
sui sentimenti nazionali e li trasformano in pulsioni fasciste (nazionaliste,
identitarie, isolazioniste). Solo una sinistra europeista, profondamente mutata
dalla radicalità democratica dei movimenti emergenti contro l’austerity, può
costruire un’Europa democratica.
E
qui si apre un altro problema, quello che possiamo chiamare “questione
atlantica”- è un problema troppo spesso eluso o escluso dal dibattito come
se fosse ovvio che il processo di unificazione europea si debba svolgere sotto
l’attenta protezione degli Stati Uniti d’America. L’Europa è stata voluta
dentro la Resistenza antifascista per superare le guerre che fino a metà del
secolo scorso l’hanno dilaniata, che di volta in volta l’hanno impoverita ed
umiliato i suoi popoli. Contro questa condizione si sono costruiti nel
dopoguerra europeo e nella transizione spagnola i primi fermenti di un discorso
europeo, sapendo che pace significava possibilità di democrazia mentre guerra
ha sempre significato fascismo e totalitarismo. Dopo la caduta del muro di
Berlino, l’unità europea ha anche perduto le caratteristiche di ultimo fronte
contro il soviettismo e l’espansionismo russo. Così l’obiettivo di una Unione
europea si è autocentrato e riorganizzato attorno ad un quadro di civiltà, di
strutture giuridiche proprie, di autonomia nell’ambito globale.
Ma
ora l’Europa è circondata da guerre. L’intero Mediterraneo,
talmente integrato ormai non solo al Sud ma all’Europa intera dai movimenti
migratori e da essenziali rapporti di politiche energetiche e scambi
mercantili, è percorso da un’unica linea di guerra, di fascismi e dittature. È
una linea che si allarga verso il Medioriente e fa dell’Europa un attore
pericolosamente esposto a movimenti bellici che hanno rilevanza e conduzione
globali. Inoltre, sulla frontiera Est dell’Europa, sta svolgendosi un’insensata
guerra fra popoli russofoni, con responsabilità che vanno riferite a questioni
di controllo globale che si contrappongono all’interesse dei popoli europei. In
questa prospettiva, la sovranità dell’Europa – non più quella immaginaria dei
singoli paesi, ma quella ormai reale di un’Unione che sta costruendosi – è
proiettata sulla NATO ed usurpata da questa. Questa è la vera dismissione di
sovranità che le nazioni europee hanno subito!
Quando
Tsipras propone, in maniera simbolica, la necessità di affrontare questo
problema, tocca una corda fondamentale degli assetti europei. Apre ad un
problema al quale tutti noi dobbiamo rispondere, senza l’illusione che possa
essere immediatamente risolto ma tuttavia senza negarne l’esistenza e l’impatto
centrale. Qui si parla del rapporto dell’Unione alla pace o alla guerra, ad una
pace non solo interna all’Europa ma anche sui suoi confini. D’altra parte, è
immediatamente chiaro che la questione atlantica non è problema che riguarda
solo la pace e la guerra: è questione che dalla pace e dalla guerra risale al
sistema di controllo e/o di comando sulle strutture produttive e finanziarie
dell’Europa stessa.
Per
non essere ipocriti, per far chiarezza, per accelerare ulteriormente i processi
di costruzione di una forza politica della sinistra europea, riapriamo dunque
qualche problema che va riaperto. Che dice o fa Podemos
sull’immigrazione, sui rifugiati? Ed anche – ripetendoci e puntualizzando
la nostra domanda – sulla NATO, sui conflitti regionali in corso sui limes dell’Unione?
Se questi temi sono considerati “perdenti” sul piano elettorale, ci si prova ad
evitarli e/o a rispondere con degli esercizi retorici per cavarsela al momento?
No, così non va: su questo terreno è molto difficile assumere come slogan:
“prima si prende il potere, poi si discute di programma”. I temi della pace e
della guerra non possono essere considerati secondari. Prendere posizione su di
essi significa chiarire con certezza quale sia l’orientamento fondamentale del
gruppo dirigente di Podemos non semplicemente sulla questione della pace e
della guerra ma anche sulle questioni legate agli indirizzi di riforma e ad un
progetto costituente che tocca l’Europa intera.
Il
coraggio e la serietà con cui Tsipras ha posto l’intero contesto delle tematiche
oggi rilevanti nella costruzione di un’Europa fuori dalla troika, sono gli
stessi che ci permettono di porre anche un dispositivo “fuori dalla NATO”. I
movimenti e i governi di una nuova sinistra sanno di dover porre questi
problemi come centrali. Senz’ambiguità e con la consapevolezza che la stessa
congiuntura globale oggi può aiutare alla loro soluzione. Un’Europa democratica
nel complesso della nuova realtà globale è ormai, infatti, quanto chiedono i
cittadini del mondo, perché l’Europa è vista come una realtà che può rinnovare
una tradizione democratica di lungo corso, nella luce che Syriza e Podemos
hanno acceso, come speranza di riforma e superamento del capitalismo.
I
movimenti europei vogliono essere inclusi nell’iniziativa politica continentale, che l’asse Podemos-Syriza può
creare/sta creando a livello europeo. Essa costituisce in particolare un punto
di attrazione per le nuove sinistre e la nuova radicalità democratica in
formazione nel Sud dell’Unione. Sia il ritmo che il grado di articolazione di
questo processo dipenderanno dall’andamento attuale del governo di Syriza e dal
prossimo successo elettorale di Podemos. Tutti insieme possiamo organizzare una
rottura costituente a livello europeo.
Fonte:
Euronomade.info