"MI RICONOSCI?
SONO UN PROFESSIONISTA
DEI BENI CULTURALI
INCHIESTA CONTRO IL LAVORO GRATUITO
O MALPAGATO
[accì]
Nel
pubblico come nel privato l’abuso del volontariato
è una pratica molto diffusa
Le
imprese che impiegano queste persone sono sì private, ma spesso lavorano per il
pubblico
Le storie raccolte ci parlano di migliaia di lavoratori dei beni
culturali
“Con questa inchiesta vogliamo svelare una realtà a noi ben nota ma troppo
ignorata”, spiegano Leonardo Bison e Daniela Pietrangelo del collettivo Mi riconosci? Sono un professionista dei
beni culturali. “Trent’anni di esternalizzazioni continue, deregolamentate,
obbligate unite a leggi che incentivano l’uso del volontariato come sostitutivo
del lavoro pagato hanno dato i loro frutti avvelenati”.
In sostanza chiedono la
revisione totale del sistema delle esternalizzazioni: “serve una legge –dicono-
che vieti abusi del lavoro gratuito, e una norma che obblighi i privati che
gestiscono patrimonio culturale pubblico a ad applicare il contratto di
Federculture”.
Dai dati dell’indagine, fa rilevare Roberto
Rotunno nel suo articolo “Con la cultura
non mangiano e metà di loro non ha contratto”, è venuto fuori «un
mondo fatto di lavoro malpagato e spesso irregolare, tutto a danno di persone
che hanno alle spalle un lungo e faticoso percorso di studi. Per chi opera tra
le mura di un museo, di una chiesa, tra i monumenti o nello staff di un evento,
il solo fatto di essere retribuito è già una conquista. L’abuso del
volontariato è una pratica molto diffusa. Ricevere il giusto stipendio, cioè
quello previsto dal contratto collettivo appropriato, è poi un privilegio che
spetta a pochissimi”.
Nei particolari statistici si evince che
soltanto il 54% dei lavoratori impiegati nel settore è contrattualizzato, di
cui solo il 23,8% fruisce dell’inquadramento contrattuale: «Gli unici – pertanto
- a formare la platea dei regolari sono quindi il 16,6% che ha la fortuna di
lavorare direttamente per la Pubblica amministrazione più un altro 7,2% al
quale, nel privato, viene applicato l’accordo della Federculture. Per tutti gli
altri – sottolinea Roberto Rotunno - i datori danno libero sfogo alla fantasia:
c’è un 23% con il contratto multiservizi, quello per le pulizie e le mense
scolastiche, un 18,5% con quello del commercio e un 14,7% che usa quello delle
cooperative sociali. I pochi che restano fuori da questi casi sono divisi tra
turismo, edilizia, lavoratori del legno e persino metalmeccanici. Solo due
persone hanno detto di avere un contratto da restauratore».
In sostanza, com’è stato dimostrato dall’inchiesta,
nella giungla normativa che regola i rapporti di lavoro (ma pensiamo non solo
in questo settore specifico) risultano essere facilmente aggirabili le
fattispecie negoziali, con il risultato del tutto ovvio per le Aziende e
Pubblica Amministrazione di contenere il costo del lavoro. Fa bene Rotunno a far
rilevare l’entità ridicola delle retribuzioni erogate: «il 12% degli
intervistati ha addirittura affermato di prendere meno di 4 euro all’ora, un
altro 37% non riesce a superare gli 8 euro». Tutto ciò ha una forte ricaduta sul
piano reddituale. Infatti il 38% degli
intervistati dichiara meno di 5 mila euro annui; mentre sono il 63% quelli che
non arrivano a 10 mila euro.
Insomma, oltre ad un piano legislativo di maggior tutela dei lavoratori, pensiamo -ci sia consentito- che vi siano tutte le
condizioni per aprire una vera e propria vertenza sindacale nel settore dei
beni culturali. E se non c’è una sensibilità fra le nuove o le vecchie organizzazioni
confederali, forse questi lavoratori potrebbero aprirsi a forme di lotte
autogestite al fine di sottrarsi alle regole del mercato ricattatorio. In questo senso l'associazione "MI RICONOSCI ? Sono un professionista dei beni culturali" ci sembra sia già un buon punto di partenza.