-Toni Casano-
Per la sanità universale e di prossimità
Svoltasi nella mattinata di lunedì 25 novembre presso la Camera del Lavoro di Palermo nel cui salone dei lavoratori, all'appuntamento della Conferenza della Rete, per incontrare i giornalisti della stampa locale, si sono ritrovati i medici specialisti e gli attivisti dei presidi sanitari autogestiti, a cui ha partecipato una nutrita rappresentanza di studenti di medicina del collettivo “Virdimura”.
Ha aperto i lavori Renato Costa, protagonista assieme ad una
formidabile équipe sanitaria della campagna vaccinale antiCovid nel capoluogo
siciliano. Costa ci ha raccontato di questa straordinaria – se pur drammatica –
esperienza, maturata a servizio dell’intera comunità cittadina
sperimentando sul campo quel che dovrebbe essere una best practice preventiva
– quella della medicina di prossimità – universalmente riconosciuta dalla
ricerca più avanzata e dagli istituti internazionali: bisogna portare la
medicina fra la gente, nei territori, non arroccarsi soltanto nei santuari
delle megastrutture dell’assistenza ex
post.
“Andavamo
nei mercati popolari a parlare con la gente, ad informarla sulla necessità del
vaccino per prevenire il contagio, senza dover intasare le strutture
ospedaliere a cui erano destinati i casi più urgenti – racconta Costa
della sua pratica al tempo della campagna antiCovid –, mettendo a loro
disposizione non solo l’Hub realizzato alla Fiera del Mediterraneo, ma creando
presidi vaccinali in ogni spazio possibile, come – ad esempio – al centro
sociale autogestito “Anomalia” di Borgo Vecchio dove, con l’aiuto
prezioso dei giovani volontari che lo animano, abbiamo somministrato centinaia
e centinaia di dosi vaccinali, senza contare il servizio assistenziale
domiciliare, grazie al quale i pazienti venivano curati a casa e monitorati
costantemente dallo staff sanitario appositamente costituto”.
Pertanto,
è anche sulla base di questa esperienza che la Rete degli ambulatori popolari e gratuiti – di
cui Costa è presidente – intende raccogliere il filo rosso della società della cura che
al tempo del coronavirus era riconosciuta come una necessità ineludibile da
tutti reclamata: si riteneva essa fosse ontologicamente fondante di una nuova
comunità sociale globale. Il rilancio di tale necessità non è venuto meno con
la fine della crisi epidemiologica. Anzi, a maggior ragione è urgente adesso,
proprio quando tutti i buoni propositi sulla società della cura sono stati
dimenticati, per non dire traditi dall’intero ceto politico, rivendicarne il
suo inveramento.
Infatti,
passata la fase pandemica, s’è ripresa la solita ultradecennale politica
economica di definanziamento del
servizio sanitario nazionale – così come unanimemente assentivano i medici
convenuti alla Camera del Lavoro – con il varo sistematico di manovre di
bilancio improntate, alternativamente sia dal ceto di centrodestra sia da
quello di centrosinistra, su un ventaglio di misure articolate soltanto
su tagli di spesa.
L’effetto
macroscopico, di queste politiche economiche scellerate, è la situazione
incancrenita delle lunghissime liste d’attesa che il sistema non riesce più a
soddisfare. Ma non soltanto questo. È stato evidenziato l’allarmante fenomeno
della “rinuncia alla cura”, dati gli eccessivi costi che sempre più larghe
fasce di popolazione non riescono più a sostenere, anche per prestazione
sanitarie pur regolate sotto regime sovvenzionato o convenzionato per effetto
di ticket insostenibili. Senza contare quelle fasce di popolazione che versano
in povertà assoluta e che da anni non effettuano più esami diagnostici o visite
specialistiche oppure, ancora peggio, non si recano più dal loro medico di base
perché tanto non avrebbero di che pagarsi le medicine prescritte.
A
partire da questo quadro politico-sociale, i presidi ambulatoriali popolari che
operano in diversi quartieri della città (al Borgo Vecchio, presso il
Centro Sociale ‘Anomalia’; allo ZEN, promosso – in collaborazione
con Save the
Children – dall’associazione ‘Zen Insieme’; a
Brancaccio, presso il Centro Padre Nostro; nel Centro storico, presso il
Centro sociale ‘ex Karcere”; a Sant’Erasmo, dal CISS presso la Casa della
Cooperazione) hanno – in raccordo con La
Rete di Medici Volontari che in questi anni non hanno fatto
mancare il loro fondamentale apporto all’attività dei presidi ambulatoriali
succitati – deciso di costituirsi in soggetto giuridico, formalizzando la
registrazione dell’associazione di volontariato sociale che permetterà
alla Rete degli
ambulatori popolari e gratuiti di cooperare in modo integrato,
aprendosi anche alla partecipazione di quanti “desiderano contribuire al
benessere della comunità, sia attraverso il volontariato medico, sia con il
sostegno di risorse e strumenti”.
La
missione dell’associazione reticolare, così come veniva precisato in tutti gli
interventi, «è quella di ridurre le disuguaglianze nell’accesso alla salute,
offrendo un’alternativa concreta e gratuita alle visite specialistiche e alle
consulenze mediche». Quindi un diverso approccio
umano e professionale, come uno degli obiettivi metodologici
da raggiungere. Infatti, è stato più volte ribadito che l’impegno comune di
tutti gli associati è quello di creare nei presidi «un ambiente accogliente,
dignitoso e rispettoso per chiunque abbia bisogno di supporto sanitario».
Insomma un progetto importante ed ambizioso, proposto dentro un contesto socio-economico ostile che i promotori conoscono molto bene e che, tuttavia, sono ben determinati a perseguire, affinché si possa facilitare l’accesso universalistico alla sanità per la tutela della salute, ma anche verso un nuovo modello del SSN basato sulla Società della cura. In questo senso, dicono gli associati, «questa rete di ambulatori rappresenta una risorsa essenziale. Lavoriamo per abbattere le barriere economiche e sociali e creare un sistema che metta al centro la salute e la dignità di ogni persona». Ecco perché come Pressenza, lo ribadiamo ancora una volta, staremo dalla loro parte.