-Patrizia Cecconi-
Le ipocrisie di Israele e dell’Occidente che dipingono il genocidio di Gaza come una giusta guerra di difesa dei diritti civili: "Parafrasando il Vangelo si potrebbe dire che l’Occidente vede la pagliuzza nell’occhio dell’altro, ma non vede la trave nel suo"
Ricordate Sakineh Ashtiani? Il tribunale iraniano la condannò a morte per aver ammazzato il marito, folgorandolo nella vasca da bagno con due cavi elettrici. Probabilmente il marito era cattivissimo e Sakineh non ne poteva più, così, aiutata dal suo nuovo compagno, decise di liberarsene. Venne scoperta e condannata. Per sua fortuna si disse che il barbaro tribunale iraniano la condannava alla lapidazione e questo scosse le nostre coscienze e iniziò una campagna internazionale a suo favore accompagnata dall’immagine di un bellissimo volto giovane incorniciato da un chador nero.
In seguito ai tanti appelli che tutti noi, contrari alla pena di morte, firmammo, il tribunale iraniano affermò che non sarebbe stata lapidata ma “solo” impiccata. Per fortuna era solo il primo passo. La povera Sakineh aveva trovato il suo Gesù al pari della Maddalena – l’adultera condannata duemila anni fa alla lapidazione dai tribunali ebraici – nella grande forza dei media e di milioni di noi, sinceramente contrari a qualunque pena di morte, nonché di molti governi occidentali che si attivarono per salvarle la vita. Avvenne il miracolo: la famiglia dell’ucciso non chiese vendetta e questo, per la legge iranica, può cambiare la sentenza, così, anche se colpevole di uxoricidio, la sentenza di morte si trasformò in dieci anni di galera che poi si convertirono in otto quando l’allora presidente Rouhani le concesse la grazia per buona condotta.
A quel punto la foto di Sakineh, così dignitosamente bella che avrebbe mosso a compassione anche il più cinico dei nostri connazionali, lasciò il posto alla sua vera immagine: un fisico pesante, un volto non bellissimo, un grossolano foulard annodato alla contadina e, insomma, un insieme che certamente non avrebbe ottenuto lo stesso effetto, fortunatamente positivo, della precedente immagine. Potere dell’intelligenza comunicativa!
Non ebbe la stessa fortuna un’altra donna accusata di uxoricidio, non nell’oscurantista Repubblica iraniana, ma negli illuminati Stati Uniti. L’allora Segretario di Stato Hillary Clinton aveva appena tuonato contro l’Iran accusandolo di non rispettare le libertà fondamentali dei propri cittadini (includendovi forse anche il diritto all’uxoricidio) ma non ebbe niente da dire, al pari di tanti altri governi e organizzazioni internazionali per salvare la vita di 53 donne condannate a morte negli evoluti States né, in particolare, per salvare la vita a Teresa Lewis la quale, pochi giorni dopo le focose esternazioni della Clinton, sarebbe stata giustiziata. Non la salvò nemmeno il suo conclamato ritardo mentale. Il procuratore generale respinse la domanda di grazia, ma non mi risulta che i media e i social si riempissero di insulti verso chi l’aveva mandata a morte, non in Iran ma in Virginia.
Parafrasando il Vangelo si potrebbe dire che l’Occidente vede la pagliuzza nell’occhio dell’altro, ma non vede la trave nel suo. E l’Iran di sicuro di pagliuzze ne ha molte e le vediamo tutte, ma il nostro sguardo è così attratto da quelle pagliuzze da non vedere i tanti travi nell’occhio dell’Occidente, in primis dei sanguinari democratici Stati Uniti.
Il ricordo della vicenda di Sakineh Ashtiani e della meno fortunata Teresa Lewis, è risalito alla mia mente osservando l’improbabile vicenda della bella Ahoo Daryaei ripresa in un video di alcuni minuti, inviato non si sa da chi, mentre girava seminuda e nell’indifferenza generale, tra uomini di diverse età e donne coperte e velate. Video che a pochi istanti dal suo arrivo sui nostri social aveva già prodotto effluvi di ammirazione e vignette osannanti al presunto coraggio di una ribelle contro l’oscurantismo islamico!
Voci storiche del femminismo pensante si sono prodigate in lodi sperticate senza neanche badare allo strano contesto in cui la bella desnuda passeggiava senza suscitare la minima reazione nei numerosi passanti in una Teheran che certo non brilla per tolleranza verso la libertà delle donne. In Italia l’avrebbero di sicuro fermata, come avvenne a Milano (vedi milanotoday.it) quando una giovane donna seminuda venne bloccata dai nostri agenti che, pur non essendo polizia morale, la coprirono e l’accompagnarono in ospedale per accertamenti psichiatrici. A nessuno venne in mente che volesse esibirsi contro il governo e nessuna strumentalizzazione seguì al fatto.
Il caso della bella Ahoo invece ha scatenato immediatissimamente l’ammirazione da parte di sedi e figure storiche del femminismo verso quel che è stato definito “un gesto di straordinario coraggio”, e guai a sollevare qualche dubbio, pena il passare per sostenitrici di regimi liberticidi, o per donne reazionarie nemiche delle donne libere e coraggiose, categoria dalla quale sono espunte le decine di migliaia di donne che vengono fatte a brandelli perché si oppongono, a mani nude, ai loro oppressori o perché provano a difendere la loro dignità di donne sotto una crudele e illegale occupazione. No, lì tutt’al più si versa una lacrimuccia di pietà. Quando si versa!
Insisto nel chiedermi come sia possibile che non sia venuta in mente a queste belle teste, solitamente pensanti, anche solo l’ipotesi di una strumentalizzazione del corpo della bella desnuda mentre i corpi di decine di migliaia di altre donne vengono smembrati senza che ciò faccia parlare di coraggio? Possibile che non sia venuto in mente che la povera Ahoo Daryaei possa essere utilizzata per iniziare il passaggio tipico delle cosiddette rivoluzioni colorate miranti al “regime change” deciso dalla super potenza USA come abbiamo visto fare decine di volte in numerosi paesi?
Ma forse a quelle belle teste non è venuto in mente solo perché, in modo totalmente involontario, sono vittime di un pensiero coloniale e vagamente suprematista nonché anti-islamico tout court, per cui, mentre si accusa uno Stato di cultura e fede islamica, dove manca il “sacrosanto” diritto alla minigonna e al libero orientamento sessuale, si butta in un angolo ogni possibile dubbio e si ripete acriticamente la versione lanciata dal guru di turno: omaggiare “una creatura così fiera e temeraria” e considerare stolto ogni dubbio su una possibile strumentalizzazione politica. Ipse dixit e discussione chiusa. Atteggiamento tipico, purtroppo, della logica del gregge, anche quando il pastore ha il mantello dell’alternativo!
È un gravissimo insulto alla ragione questo subire il fascino del guru da una parte e l’effetto alone prodotto dalla repressione delle manifestazioni di “donna, vita, libertà” dall’altro. Abolita ogni critica selettiva, l’Iran non ha nulla da salvare. Può anche essere bombardato e raso al suolo, non sarà un grosso danno. Credo sia necessario provare a rifletterci e, riflettendo, sarebbe bene anche ricordare che l’Iran non è l’Afghanistan. In Iran alle donne non è impedito studiare – anzi la popolazione universitaria è al 65% femminile – o guidare, lavorare, ricoprire cariche dirigenziali, far politica, divorziare e così via.
Togliamoci la lente involontariamente coloniale e proviamo a non lasciarci a nostra volta strumentalizzare in nome di quel sistema di valori che chiamiamo democrazia e che, mentre ci consentiva di batterci per salvare la vita dell’uxoricida iraniana Sakineh, ci faceva dimenticare la condanna a morte, eseguita negli stessi giorni in USA, dell’uxoricida americana Teresa Lewis condannata da un tribunale “democratico” occidentale.
E’ lo stesso involontario razzismo che non eleva a eroine, ma tutt’al più a povere vittime, le centinaia di ragazze palestinesi uccise perché gridavano contro l’occupazione o le decine di migliaia di donne colpevoli di essere madri, figlie o sorelle di resistenti o resistenti loro stesse.
Concludendo auguriamo ad Ahoo Daryaei di tornare al più presto a casa sana e salva e auguriamoci anche che torni la ragione a chi al momento l’ha messa a riposo dietro l’immagine di un Iran esclusivamente tiranno e maschilista, ma soprattutto lontano dai nostri “giusti” modelli culturali.
Articolo originale pubblicato su www.infopal.it