mercoledì 18 gennaio 2023

DAL DIRITTO AL REDDITO

 -Antonio Minaldi-

  Ripartire da reddito e salari  

 contro il lavoro servile  

                  Il governo Meloni abolisce il reddito di cittadinanza attaccando “i furbetti del non lavoro”, e dicendo invece di volere aiutare chi è realmente bisognoso. Il discorso fila? Niente affatto! In realtà si tratta di un imbroglio     

Contro il lavoro servile

Dietro questo apparente buon senso dei nostri governanti ci sta una radicale inversione di tendenza rispetto ai requisiti di base che vengono richiesti a noi cittadini per avere accesso alla distribuzione della ricchezza socialmente prodotta. In pratica si passa dal principio del DIRITTO AL REDDITO quale condizione di inclusività sociale, al principio del DOVERE AL LAVORO. Quasi quasi qualcuno penserà che è anche giusto così! Mica si può avere tutto gratis nella vita! Unica obiezione del benpensante: E se il lavoro non c’è? E qui viene il bello! Si da il caso infatti che per i grandi pensatori, politici ed economisti neo liberisti, il lavoro c’è sempre e la disoccupazione non esiste!

Spieghiamo l’arcano: Nella logica per cui il mercato è bello e pensa a tutto da solo, il lavoro è una merce come un’altra e si regola attraverso la legge della domanda e dell’offerta che trova sempre un punto di equilibrio nel prezzo (senza crisi di sovrapproduzione e neppure di sottoconsumo). Il prezzo del lavoro si chiama salario e mette sempre tutto a posto. In soldoni: C’è una grande domanda di lavoro e poco lavoro disponibile? Non c’è problema! Basta accontentarsi di 600 euro al mese  per otto ore di lavoro al giorno e il problema è risolto! Neppure così? Poco male! Si vede che lavorerai dieci ore per 500 o magari 400 euro. Insomma se ti accontenti, in una logica al ribasso, il lavoro lo trovi sempre. E i disoccupati? Fannulloni che non vogliono lavorare!

In realtà ciò che rende impossibile accettare qualunque lavoro e a qualunque condizione non è “la pigrizia”, ma un dato culturale che si è sviluppato nel tempo, soprattutto grazie alle lotte popolari, e che si chiama semplicemente DIGNITA’ DEL LAVORO, che impone limiti e condizioni oltre le quali non si può andare. E’ questa la ragione per cui molti ritengono inaccettabile che i migranti lavorino nei campi a raccogliere pomodori per quattro soldi. Qualcuno pensa che siamo troppo pretensiosi? E allora pensate ai bambini del Congo che per tutta la giornata lavorano a mani nude nelle miniere per raccogliere le “terre rare”, essenziali per produrre e fare funzionare gli smartphone con cui ci facciamo tanti bei selfie per gli amici.

Quello che molti non capiscono è che in fondo il reddito di cittadinanza, dando a tutti il diritto di accesso alla ricchezza (seppure a condizioni minimali), ha contribuito ad elevare la DIGNITA’ DEL LAVORO, rendendo impossibile concepire come accettabile il lavoro sotto una certa soglia di retribuzione, fissata per l’appunto dall’entità del reddito.  (Che poi in pratica i percettori del reddito abbiano spesso lavorato in nero sta solo a testimoniare, da una parte l’insufficienza dello stesso reddito di cittadinanza, e per altro verso la persistenza della piaga del lavoro nero e sottopagato che dell’insufficienza del reddito si è giovato). 

Se invece si accetta la logica del DOVERE AL LAVORO, ogni altro discorso passa in second’ordine. Ecco perché, secondo i nostri attuali governanti (ma non solo secondo loro), chi percepisce il reddito deve accettare la prima offerta utile, ovunque e a qualunque condizione. Ecco perché la figura del “percettore di reddito” viene sostituita con quella di colui che è “OCCUPABILE”. Ed ecco perché se sei occupabile sono “cavoli tuoi” e non hai più nessun diritto; Perché colui che è occupabile, se vuole il lavoro lo trova e lo si può quindi considerare come già “occupato”. In conclusione: LA DISOCCUPAZIONE E’ UNA COLPA, perché la causa del non lavoro sei comunque sempre e solo tu!

E non finisce qui! I nostri governanti, abolendo il reddito di cittadinanza e dicendo di voler sostenere solo chi ne ha veramente bisogno, hanno preso due piccioni con una fava. Per un verso, come detto, hanno creato L’OCCUPABILE come nuovo schiavo del ricatto del lavoro, per altro verso hanno creato la figura del “BISOGNOSO”, colui che non può accedere al lavoro, o perché bambino oppure anziano, o ancora perché disabile, o per una qualche altra ragione che lo pone comunque in una condizione di minorità. Mentre L’OCCUPABILE deve ripagare il suo debito con la società attraverso la completa sottomissione al lavoro obbligato, il BISOGNOSO resterà sempre in debito verso un ordine costituito che lo terrà in vita attraverso generose pratiche assistenziali (alla vecchia maniera democristiana), malgrado la sua inutilità sociale (a che serve infatti chi non può lavorare?).

Contro questa logica che crea legami debitori col potere è necessario riaffermare una logica legata ai diritti: DIRITTO AL REDDITO E AD UNA VITA DECOROSA, come diritto alla partecipazione alla distribuzione della ricchezza socialmente prodotta, e DIRITTO ALLA SCELTA LIBERA DI UN LAVORO DIGNITOSO, come diritto a dare il proprio contributo al benessere comune, non segnano la distanza tra fannulloni e lavoratori come vorrebbero farci credere, ma sono due facce della stessa medaglia, tra loro complementari, come lo sono d’altronde tutti i diritti.   

  

Ripartire da reddito e salari

A sorpresa Goldman Sachs ha mutato le previsioni sullo stato dell’economia nella zona euro per l’anno in corso. Si è passati da una possibile recessione tecnica, valutata intorno al meno 0,1%, ad una crescita attesa del prodotto interno lordo dell’ordine dello 0,6%. La causa principale di questa aspettativa più ottimistica, è data dal netto calo del prezzo del gas naturale. Inutile dire (di passaggio) che, come al solito, le previsioni per il nostro paese (stavolta stranamente in compagnia della Germania) sono meno rosee rispetto ad altri, come per esempio Francia e Spagna.

Buone notizie anche sul fronte dell’inflazione, rispetto al quale si sottolinea che il picco massimo è già stato raggiunto, con le ultime proiezioni che vedono l’aumento dei prezzi al 6,3% nel 2023, per poi calare al 3,4%  nel 2024 e al 2,3% nel 2025. Malgrado tutto ciò, pare che la BCE non abbia nessuna intenzione di modificare la sua politica di lotta all’inflazione basata sul mantra neo liberista dell’aumento dei tassi d’interesse. Ne fanno fede le recenti dichiarazioni dei suoi massimi esponenti, dal vicepresidente De Guidos che prende in considerazione i 50 punti base come una sorta di aumento standard dei tassi,  alla Schnabel, membro del consiglio direttivo, che parla di “significativi rialzi” perché “l’inflazione non scenderà da sola”. Lo scorso 15 dicembre, d’altra parte,  l’Eurotower aveva già portato gli interessi al 2,50% (rifinanziamento principale), al 2,75% (rifinanziamento marginale)  e al 2,00% (depositi presso la banca centrale). Ma non basta: Molti scommettono che ci saranno ancora due aumenti di 50 punti base nei mesi di febbraio e marzo fino a portare il tasso di rifinanziamento principale al 3,50%. La giustificazione di una politica così fortemente recessiva starebbe nella considerazione che se è vero che l’inflazione generale tende a calare, il dato core (i prezzi al consumo con scorporati quelli dell’energia e dell’alimentare) tende invece a salire (5,2% il dato del 2022).

Diversi analisti tuttavia, compreso anche i CEO (amministratori) di alcune grandi banche, fanno notare come i danni per l’economia saranno enormi, senza neppure che ci sia alcuna garanzia di efficacia dei provvedimenti restrittivi adottati, che potrebbero essere giustificati solo in caso di un aumento dei prezzi dovuto ad una crescita della domanda, e non per fermare una inflazione dovuta ad un deficit dell’offerta come è quella che si è generata in questi anni ( e – ci permettiamo di aggiungere – come era quella degli anni settanta generata dalla crisi petrolifera, mentre siamo ancora in attesa che qualcuno ci riferisca di una significativa crisi inflattiva dovuta ad un eccesso di domanda, verificatasi nell’epoca del capitalismo maturo. Cosa che non ci risulta!).    

Inutile dire come, in questa situazione, a soffrirne saranno principalmente i disastrati conti pubblici del nostro paese. Già oggi il nostro decennale è quotato stabilmente oltre il 4% di interessi. L’unico in Europa su questi livelli insieme a quello greco, con cui fa a gara  per chi debba indossare la maglia nera. Inoltre nelle scellerate intenzioni della BCE c’è anche quella di interrompere gli acquisti di titoli di Stato dei paesi dell’eurozona Si tratta dell’ormai famoso Quantitative Easing, attraverso il quale si sono tenuti sotto controllo per diversi anni gli spread a vantaggio dei paesi più in difficoltà, e che ora, come già previsto dalla Banca Europea, non solo sarà interrotto, ma verrà addirittura sostituito col suo esatto opposto: Il Quantitative Tightening. Non più acquisto, ma vendita sul libero mercato dei titoli di Stato dei singoli paesi, posseduti dalla BCE, con l’effetto di fare lievitare i tassi d’interesse. Una politica che sembra quasi pensata apposta per affossare i paesi più in difficoltà, con l’Italia in testa, e alla quale bisogna comunque opporsi in ogni modo possibile

Un’ultima questione a completare e chiarire il quadro generale. Nell’analisi della situazione fatta da Goldman Sachs, dalla quale siamo partiti, si dice anche che uno degli effetti prevedibili dell’inflazione sarà un sostanzioso aumento delle retribuzioni in tutta l’area euro, che dovrebbe assestarsi nel primo semestre del nuovo anno intorno ad una media variabile tra il 3,5% e il 5,% di aumento mensile. Naturalmente non si entra nel dettaglio delle variabili situazioni dei singoli paesi. Noi italiani tuttavia abbiamo tutte le ragioni per essere preoccupati. Basterà ricordare come dall’entrata in vigore dell’euro le retribuzioni del lavoro dipendente, a differenza di quanto avvenuto in tutto il resto d’Europa, sono rimaste praticamente bloccate. Anzi possiamo dire che salari e stipendi (eccezion fatta per gli alti dirigenti) sono rimasti fermi a quelli della nascita dell’attuale Europa, ai tempi di Maastricht per capirci. Pensare ora che nei prossimi mesi possa verificarsi una così clamorosa inversione di tendenza è pura fantascienza. Anzi i probabili venti di recessione fanno pensare esattamente il contrario. Questo significa che, se si dovesse rivelare vera la previsione di un congruo aumento delle retribuzioni nel resto d’Europa, l’esito sarebbe semplicemente quello di un ulteriore accentuarsi della distanza tra le condizioni di vita dei ceti popolari di casa nostra rispetto a quanto avviene nel resto del continente.

Credo che dalle considerazioni fin qui fatte dovrebbe dedursi una chiara visione dei compiti di cui una vera sinistra radicale e di classe dovrebbe farsi carico, anche come sua specifica cifra identitaria. Dal punto di vista dei ceti popolari l’unico e solo problema legato all’inflazione è quello di salvaguardare il potere d’acquisto di redditi e salari:

Ripristinare la scala mobile per lavoratori/trici salariati/te, possibilmente attraverso un meccanismo egualitario che lega il recupero monetario al reddito medio disponibile nel paese (20.000 euro circa) e non alle singole retribuzioni.

Contributi di uguale consistenza per famiglie, lavoratori/trici del sommerso, disoccupati/te ed indigenti. (il reddito di cittadinanza andrebbe adeguato all’inflazione. Altro che essere abrogato!).