giovedì 7 luglio 2022

Il MARXISMO E LA "QUESTIONE ROSA"

  - Annibale Raineri -




    L'attualità della Luxemburg riproposta da Giovanni Di Benedetto 

Quale può essere oggi un significante che sia in grado di attivare la costituzione di soggettività nell’epoca in cui il meccanismo sistemico strutturato intorno al soggetto-capitale, grazie alla potenza del sapere tecno-scientifico, sta inglobando ogni ambito del vivente?  


1. Il valore principale del libro di Giovanni Di Benedetto, La primavera che viene, attualità di Rosa Luxemburg, Mimesis 2021, è lo sforzo, ben riuscito, di ricostruire l’unità di Rosa Luxemburg nei differenti registri che compongono il suo essere singolare. Non era un’operazione semplice, anche perché andava contro una consolidata linea interpretativa che opponeva, da diversi ma convergenti punti di vista (cioè sia da “destra” che da “sinistra”), la Luxemburg teorica, la Luxemburg militante e la Luxemburg delle lettere. In particolare questa tendenza interpretativa oppone il modo d’essere della Luxemburg quale si manifesta nelle lettere a quello dei discorsi pubblici, l’afflato sentimentale (sia rivolto all’amato che alla natura), all’astrattezza della costruzione teorica marxista o alla durezza dei discorsi politici. 

Scrive Giovanni Di Benedetto: «Una descrizione che finisce per trasmettere l’immagine di un dissidio biografico e di una dissociazione esistenziale, e da qui, che arriva a mettere in discussione, in definitiva, l’attendibilità e il valore del suo messaggio, per delegittimarne il lascito teorico e pratico» (p. 73); o aggiungo io, per valorizzare unicamente la sua tensione etica e la sua capacità empatica, negando valore al suo impego di rivoluzionaria o al suo sforzo teorico, convinti in fondo che il mondo non possa essere cambiato e che quindi non valga la pena, o sia possibile, impegnarsi in tal senso. Lo sforzo ben riuscito di Giovanni Di Benedetto è, al contrario, quello di dimostrare che le due/tre Rosa Luxemburg sono in profonda armonia l’una con l’altra, che ciascuno dei piani che compongono la sua complessa singolarità renda conto degli altri, ed in qualche modo ne costituisca il presupposto, in un movimento di reciproca fondazione.

Il tema è quindi: come la specifica singolarità esistenziale di Rosa Luxemburg motivi (cioè costituisca il fondamento soggettivo, la sua vocazione) la specificità del suo impegno, cioè della forma che assume la sua pratica politica, e come la sua costruzione teorica dia conto del fatto che solo a partire da una tale posizione soggettiva (fatta di sensibilità, sentimentalità, relazione alla destinalità propria) sia possibile costruire una teoria orientata alla liberazione e non all’oppressione, e infine come tale teoria (con la conoscenza delle tendenze che operano con forza nella macchina sociale capitalistica) possa orientare la costruzione di soggettività collettive efficaci e non solo moralmente valide.

Detto più semplicemente: senza le lettere non si comprende appieno il senso della Rosa critica dell’economia politica né l’attivista rivoluzionaria, ma, reciprocamente, senza la teorica marxista e la sua teoria catastrofista non si comprende l’urgenza esistenziale dell’agire (che si alimenta del contemplare), e così via. Direi cioè che i tre piani del discorso in cui si articolano i testi che Rosa Luxemburg ci ha lasciato, costituiscono gli anelli di un nodo borromeo, per il quale sciogliendo uno qualsiasi dei tre anelli cade anche l’inanellamento degli altri due. Aver mostrato la vigenza di questo inanellamento è, per me, il senso ed il valore del lavoro che ci ha offerto Giovanni Di Benedetto.


2. Tralascerò sia l’aspetto dell’impegno politico – il modo specifico con cui Rosa Luxemburg tenta di costruire una soggettività collettiva – sia il tema del militarismo, così centrale nell’opera teorico-pratica di Rosa e così terribilmente attuale. I temi sono tantissimi e tutti decisivi per chi si senta interpellato dal presente. E tutti trovano in Rosa Luxemburg, come ce la restituisce Giovanni Di Benedetto, elementi essenziali per andare avanti nella comprensione e nell’azione. Direi che il libro è una vera miniera in tale direzione. Mi limiterò ad un solo punto che prova a mettere in relazione la teoria economica della Luxemburg e qualche elemento che emerge dalle lettere. Cioè i due estremi del discorso, gli anelli apparentemente più dissonanti. Andiamo con ordine.


3. Giovanni Di Benedetto inizia con l’esposizione dei testi teorici di Rosa Luxemburg in materia di critica dell’economia politica. Sono sessanta pagine che possono apparire pesanti e noiose, tranne a quella minoranza “specialistica” che si appassiona a questioni ritenute dai più seppellite dalla storia (e tranne la breve contingenza mediatica della crisi del 2008). Eppure sono pagine che considero essenziali. In esse Giovanni Di Benedetto mostra la sua competenza, confrontandosi direttamente col testo marxiano, in particolare col secondo libro del Capitale.

Andiamo alle tesi di Rosa Luxemburg: da un lato Rosa Luxemburg sembra ritenere che, per la formazione della coscienza (di classe ?) dei lavoratori, l’essenziale sia costituito dal Primo libro de Il capitale. Le appare in fondo non casuale che sia l’unico libro che Marx ha completato, perché esso non è un testo di teoria economica, ma di critica, in cui si svela l’arcano della produzione del plus-valore. Rosa Luxemburg sembra dire che ad un lavoratore interessi, per la formazione della sua coscienza critica, essenzialmente una teoria dello sfruttamento. È questa una tesi tipicamente marxista e marxiana: il soggetto della rivoluzione è il proletariato in quanto prodotto del modo di produzione capitalistico. La contraddizione interna al processo di produzione capitalistico genererebbe, una volta che se ne prenda coscienza, la possibilità della rivoluzione. Per questo nella teoria l’essenziale è la teoria dello sfruttamento. Dall’altro lato Rosa Luxemburg si cimenta col tema dell’accumulazione, ed in esso critica la elaborazione di Marx, che sicuramento lo stesso Marx riteneva ancora inadeguata tanto da non aver mai pubblicato il secondo e terzo libro de Il capitale, essendo quelli editi successivamente soltanto l’assemblaggio fatto da Engels di manoscritti marxiani per altro di diversi periodi. Il punto di partenza è la forma di denaro che ha la ricchezza nelle società capitalistiche. Più esattamente le società capitalistiche sono strutturate nella forma di un sistema non solo dominato dal denaro, ma in cui il denaro è l’unico medium (pretende di essere). Rosa Luxemburg mostra come tale sistema sia impossibile in quanto sistema chiuso. La tesi di Rosa Luxemburg è nota: un tale sistema, se chiuso, non può reggere. Esso necessita di allargarsi continuamente ad ambiti non-capitalistici, in un processo di continuo inglobamento e colonizzazione che si estende non solo orizzontalmente (sul piano geografico), ma anche verticalmente, “saturando tutti gli ambiti e le sfere dell’esistenza” (p. 72), penetrando fin nei più intimi nuclei della vita, umana e non. Scrive Giovanni Di Benedetto: “Si tratta di una tendenza che è immanente al modo di produzione capitalistico e che, potenzialmente, come individua per tempo Luxemburg, è foriera di esiti catastrofici” (p. 72). Il carattere catastrofico del capitale non riguarda, cioè, soltanto il generarsi di crisi economiche (che anzi sono lo strumento sistemico per contrastare la tendenziale caduta del saggio di profitto), ma l’effetto necessario del processo di colonizzazione che il capitale mette in moto nei confronti dell’ambiente vitale in cui è immerso. Il modo di produzione capitalistico, come lo descrive Rosa Luxemburg e come ce lo restituisce Giovanni Di Benedetto, è quindi affetto da un’altra contraddizione rispetto a quella fra capitale forza-lavoro (direi sistematicamente più rilevante): da un lato il modo di produzione capitalistico è un sistema che necessita, per vivere, di un ambiente non-capitalistico (che costituisce in qualche modo la fonte della linfa vitale), ma dall'altro ingloba continuamente tale ambiente dentro il sistema, togliendo così “aria” al suo proprio respiro. Aggiungo io: la stessa contraddizione capitale-lavoro può essere interpretata secondo questo schema, essendo il lavoratore, in quanto essere umano, ambiente rispetto al sistema, il quale lo integra, lo “sussume” nella forma di forza-lavoro. Come si vede, questo schema teorico è del tutto diverso da quello che vede la contraddizione come interna al sistema, tal che il “becchino” del capitale sarebbe creato dal capitale stesso. Tuttavia anche questa seconda lettura ha una base nei testi marxiani, sebbene in modo subordinato. In questa prospettiva la contraddittorietà del sistema capitalistico offrirebbe solo la possibilità, e la necessità, che si dia una prospettiva rivoluzionaria, mentre la costruzione del suo soggetto, sarebbe interamente affidata all’opera della coscienza, a partire da ciò che vive come “ambiente del sistema”.


4. Che rapporto c’è fra questo nodo di teoria critica della società (e di azione politica) e la Rosa delle lettere? Anche dalle lettere emerge una dualità, ma non nella forma della contraddizione, piuttosto nella forma della polarità. Da un lato vi è lo sfondo su cui posa l’esistenza, l’essere più intimo e profondo di Rosa: un sentimento di profonda unione anzitutto con tutto ciò che vive, ma esteso all’intero di ciò che esiste. La dimensione fondante di questo modo d’essere di Rosa è il contemplare. Contemplare è anzitutto un sentire, ma genera un concepire (in carcere studia la geologia, tanto forte è il suo sentire l’unità mutevole del mondo!). La forza di empatia che emana dalle sue lettere è impressionante. E solo questo potente sentire spiega la sua dedizione alla vita di chiunque soffra, fino a donare la propria vita. Non si possono non sentire affinità fra questo modo d’essere e quello che in altri contesti nasce da un sentimento religioso. Dicevo di una polarità. Infatti da un lato c’è, sul fondo, l’aspirazione ad una vita contemplativa, ad una modalità d’essere come adesione alla immediatezza del vivere nelle sue più piccole, minuscole, espressioni, il piacere, la gioia che solo possono nascere dalla contemplazione di un paesaggio o dello spuntare delle nuove gemme, che attestano l’arrivo della primavera. Dall’altro lato, su questo sfondo si erge, improvviso, l’«Eccomi, sono qua», il non potersi sottrarre alla chiamata della storia. Le parole che, nelle lettere, Rosa usa in questa direzione non possono non richiamare anch’esse quelle che provengono dalla tradizione religiosa, da Lutero o da Abramo. C’è un potente sentirsi chiamati al quale non ci si può sottrarre. Non voglio naturalmente negare l’ateismo di Rosa Luxemburg, ma sottolineare la radice umanamente universale in questo rispondere a ciò che mi appella. Rosa ci dice, nelle lettere, che questo suo gettarsi nella mischia (ma io direi questo suo agire mossa da una passione di amore per l’altro) le è possibile solo in quanto da quello sfondo riceve l’energia vitale per non essere sopraffatta o inaridita (inariditi come invece sente i suoi compagni di partito). La soggettività di Rosa Luxemburg quindi, come l’accumulazione del capitale, ha una struttura duplice, ma tale duplicità, nel suo essere, costituisce un movimento vitale e non una dinamica catastrofica (direi vitale nel segno della morte).


5. Cosa lega queste due doppie strutture? Ma specialmente cosa ci insegna Rosa Luxemburg a partire da questa doppia duplicità? Verso quale prospettiva ci indirizza? Indicherò cosa Rosa Luxemburg mi ha suscitato negli ultimi anni, convinto che la lettura che ce ne ha offerto Giovanni Di Benedetto dia ulteriore conferma a questo possibile sviluppo di pensiero. La soggettività si costituisce a partire dall’irruzione di un significante che opera una cesura nell’ordine del discorso: è stato così per il movimento operaio con l’irruzione del significante “classe” e “lotta di classe” che ha permesso ai lavoratori di costituirsi in soggetto collettivo, lo è stato per il movimento delle donne, che, attraverso il significante “differenza sessuale” ha  costituito una soggettività autonoma (quindi non orientata al maschio, nell’aspirazione all’uguaglianza).

Qual è oggi il significante che potrebbe permettere di ridare ordine al discorso nella direzione di cammini di libertà, un significante che prenda il posto di “classe” o “lotta di classe”, non perché essi non abbiano più la capacità di designare qualcosa, ma perché non possono più svolgere, a mio avviso, la funzione “ordinatrice”, di produzione di senso, prima che di significato. Quale può essere oggi un significante che sia in grado di attivare la costituzione di soggettività nell’epoca in cui il meccanismo sistemico strutturato intorno al soggetto-capitale, grazie alla potenza del sapere tecno-scientifico, sta inglobando ogni ambito del vivente

Ebbene, io credo che le lettere ci offrano una indicazione in merito.

Si tratta di un significante che non compare spesso nei suoi testi, ma che, quando vi compare, lo fa mostrando la sua forza strutturante. Mi riferisco alla parola «umano». Un’analisi delle lettere potrebbe indicarci quale complessità abbia in esse questa parola, a quali diversi e molteplici sensi rimandi. Non ne farò nemmeno cenno. Mi limito a richiamare la famosissima lettera a Mathilde Wurm citata da Giovanni Di Benedetto (p. 201): «Procura allora di rimanere un essere umano. Rimanere un essere umano è la cosa principale. E questo vuol dire rimanere saldi e chiari e sereni, sì sereni malgrado tutto, perché lagnarsi è segno di debolezza. Rimanere umani significa gettare con gioia la propria vita “sulla grande bilancia del destino”, quando è necessario farlo, ma nel contempo gioire di ogni giorno di sole e di ogni bella nuvola; ah, non so scrivere una ricetta per essere umani; so soltanto come si è umani e anche tu lo sapevi sempre, quando andavamo a spasso per ore insieme nel Südender Feld e sul grano si stendeva la luce rossa del tramonto. Con tutto il suo orrore il mondo è così bello e sarebbe ancor più bello se non ci fossero più deboli e vigliacchi.» «Restiamo umani»: il grido di Vittorio Arrigoni, che tanto ha rappresentato nel nostro sentire. Non un imperativo, ma l’indirizzo di un desiderio. Il desiderio di restare umani, l’inestinguibile fonte vitale, energia di un ambiente irriducibile alla cattura colonizzatrice dentro il sistema del denaro-capitale, quel sistema che, per la sua logica immanente, conduce verso la catastrofe dell’inumano nella forma del «tutto è possibile».


Palermo 30 giugno 2022



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