martedì 11 marzo 2025

UN REGOLAMENTO EUROPEO SUI RIMPATRI

-Fulvio Vassallo Paleologo-

 tra deterrenza e protezione dei diritti umani

La nuova proposta di Regolamento sui rimpatri non comprende espressamente l’introduzione di “Hub di rimpatrio” in paesi terzi, come strutture detentive da destinare a richiedenti asilo che hanno ricevuto un diniego sulla loro istanza di protezione

1. Il Parlamento europeo in seduta plenaria esamina oggi a Strasburgo una nuova proposta di Regolamento sui rimpatri presentata dal Commissario europeo per le migrazioni Brunner, che costituisce un ulteriore passo nella direzione della esternalizzazione dei controlli di frontiera e delle procedure di allontanamento forzato, 

Mentre fino allo scorso anno si pensava ad una nuova direttiva in materia di rimpatri, per superare la precedente Direttiva 2008/115/CE, i legislatori europei stanno cercando di imporre adesso un Regolamento che dovrebbe essere immediatamente esecutivo in tutti gli Stati membri, riducendo le distanze tuttora esistenti a livello di legislazione nazionale e di prassi operative. Un tentativo che appare ancora lontano da una compiuta realizzazione anche per la peculiare procedura legislativa che si dovrà seguire.

La nuova proposta di Regolamento sui rimpatri non comprende espressamente l’introduzione di “Hub di rimpatrio” in paesi terzi, come strutture detentive da destinare a richiedenti asilo che hanno ricevuto un diniego sulla loro istanza di protezione. La proposta di regolamento della Commissione Europea sui rimpatri prevede soltanto ” la possibilità di rimpatriare” persone “nei confronti delle quali è stata emessa una decisione di rimpatrio verso un Paese terzo con il quale esiste un accordo o un’intesa di rimpatrio (Hub di rimpatrio)”. Ma “la possibilità di “rimpatriare” i migranti irregolari verso tali Paesi, di cui non sono cittadini, dovrebbe essere soggetta a condizioni specifiche per garantire il rispetto dei diritti fondamentali delle persone interessate”, e “”un accordo o un’intesa può essere concluso solo con un Paese terzo dove sono rispettati gli standard e i principi internazionali in materia di diritti umani, in conformità con il diritto internazionale, compreso il principio di non respingimento”. Inoltre “tale accordo o intesa deve stabilire le modalità di trasferimento, nonché le condizioni per il periodo durante il quale il cittadino del paese terzo soggiorna nel Paese, che può essere a breve o più lungo termine. Tale accordo o intesa è accompagnato da un meccanismo di monitoraggio per valutare in modo continuo l’attuazione dell’accordo e tenere conto di eventuali cambiamenti delle circostanze nel Paese terzo. I minori non accompagnati e le famiglie con minori sono esclusi dal rimpatrio in un Paese con il quale esiste un accordo o un’intesa di rimpatrio”.

Le determinazioni finali sulla nuova proposta di Regolamento dovranno essere assunte con una complessa procedura di co-decisione, oltre che dal Parlamento, da parte del Consiglio UE, a maggioranza qualificata, da almeno 15 dei 27 Stati membri, che rappresentino almeno il 65 per cento della popolazione dell’Ue, Un consenso molto ampio che ancora oggi non appare affatto scontato. La proposta del nuovo Regolamento sui rimpatri dovrà dunque passare attraverso un processo di negoziazione molto lungo, tra il Consiglio e il Parlamento europeo, ed è ben difficile che trovi immediata applicazione entro la prossima estate, come auspicava il governo italiano. Già oggi il dibattito alla sessione plenaria del Parlamento europeo a Strasburgo, che si potrà seguire in diretta, si annuncia infuocato. Ma si tratta solo di un dibattito, le decisioni vere, e i punti di mediazione, matureranno a livello di Consiglio UE, Senza una lista comune di paesi terzi sicuri, che ancora manca, e senza un imponente impegno finanziario da parte dell’Unione Europea e degli Stati membri, i nuovi Hub per i rimpatri, al di fuori delle frontiere europee resteranno l’ennesima occasione di propaganda elettorale, che le peggiori destre hanno raccolto dall’aula di Strasburgo, per rilanciare i loro messaggi di odio e falsificazione contro le persone migranti. e chi li assiste.


2. In ogni caso , soprattutto in materia di trattenimento amministrativo in frontiera, e rimpatri si dovrà tenere conto del REGOLAMENTO (UE) 2024/1349 del 14 maggio 2024, che stabilisce una procedura di rimpatrio alla frontiera, già adottato nell’ambito del Patto europeo sulla migrazione e l’asilo dello scorso anno. Secondo questo Regolamento, che riguarda i richiedenti asilo denegati, se una decisione di rimpatrio non può essere “applicata” entro 12 settimane dall’arrivo in frontiera si continua ad applicare la Direttiva rimpatri 2008/115/CE, fatta salva la possibilità di un respingimento in frontiera. Direttiva rimpatri a suo tempo definita come la “Direttiva della vergogna”, che oggi appare eccessivamente garantista, e che adesso si vorrebbe superare (abrogare) con il nuovo Regolamento sui rimpatri in discussione oggi al Parlamento europeo. Si dovrà considerare che “Quando è seguita la procedura di rimpatrio alla frontiera, è opportuno applicare talune disposizioni della direttiva 2008/115/CE che disciplinano elementi della procedura di rimpatrio alla frontiera che non sono contemplati dal presente regolamento, in particolare: definizioni, disposizioni più favorevoli, principio di non respingimento (non-refoulement), interesse superiore del minore, vita familiare e stato di salute, pericolo di fuga, obbligo di cooperare, termine per la partenza volontaria, decisione di rimpatrio, allontanamento, rinvio dell’allontanamento, rimpatrio e allontanamento di minori non accompagnati, divieti d’ingresso, garanzie in attesa di rimpatrio, trattenimento, condizioni di trattenimento, trattenimento di minori e di famiglie, situazioni di emergenza. Per ridurre il rischio di ingresso e di spostamenti non autorizzati di cittadini di paesi terzi e di apolidi in soggiorno irregolare sottoposti alla procedura di rimpatrio alla frontiera, al cittadino di paese terzo in soggiorno irregolare dovrebbe essere concesso un termine per la partenza volontaria. Tale termine per la partenza volontaria dovrebbe essere concesso solo su richiesta e non dovrebbe superare i 15 giorni, né conferire il diritto di ingresso nel territorio dello Stato membro interessato”.

In base all’art.5 del REGOLAMENTO (UE) 2024/1349 del 14 maggio 2024, sul Trattenimento, “È possibile sottoporre a trattenimento la persona che non era in stato di trattenimento nel corso della procedura di asilo alla frontiera e che non ha più diritto di rimanere né è autorizzata a rimanere, se sussiste un rischio di fuga ai sensi della direttiva 2008/115/CE, se tale persona evita od ostacola la preparazione del rimpatrio o la procedura di allontanamento ovvero se rappresenta un pericolo per l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale. Il trattenimento può essere imposto soltanto come misura di ultima istanza se risulta necessario sulla base di una valutazione individuale di ciascun caso e se non è possibile applicare efficacemente altre misure meno coercitive. È possibile continuare a trattenere, al fine di impedirne l’ingresso nel territorio dello Stato membro interessato, prepararne il rimpatrio o effettuarne l’allontanamento, la persona che era in stato di trattenimento nel corso della procedura di asilo alla frontiera e che non ha più diritto di rimanere né è autorizzata a rimanere. In ogni caso Il trattenimento amministrativo dei richiedenti asilo denegati ha durata quanto più breve possibile ed è mantenuto solo finché sussiste una prospettiva ragionevole di allontanamento. In base alla vigente legislazione europea i casi di trattenimento sono dunque ammessi soltanto alle frontiere degli Stati membri, o nelle immediate vicinanze, dunque all’interno del territorio nazionale, e non c’è ancora alcuna base legale a livello europeo per Hub o centri Hotspot destinati ai rimpatri ed ubicati in paesi terzi ritenuti sicuri.


3. L’Agenzia europea per i diritti fondamentali ha ribadito come il fatto che i campi di detenzione, intesi come Hub per i rimpatri o centri Hotspot, eventualmente attivati in futuro in paesi terzi , per processare le domande di asilo, vengano costruiti al di fuori dell’Unione non esonera dall’osservanza del vigente diritto euro-unionale, poiché gli Stati membri e Frontex rimarrebbero “responsabili delle violazioni dei diritti nei centri e durante qualsiasi trasferimento”. In nessun caso poi i centri di detenzione in Albania potranno trasformarsii in “Hub per i rimpatri “, magari per stranieri irregolari già presenti in Italia, destinatari di un provvedimento di allontanamento forzato, senza una sostanziale integrazione del Protocollo Italia-Albania che Edi Rama, sotto elezioni, non sembra affatto disposto ad accettare. Queste strutture detentive in territori extra-UE sono da anni al centro della propaganda dei partiti populisti e nazionalisti che si sono affermati in diversi Stati membri, e sono sostenute al momento “come un possibile deterrente per l’immigrazione irregolare” da “Austria, Bulgaria, Repubblica Ceca, Danimarca, Germania, Grecia, Italia, Lettonia e Malta”. Ma sono gli stessi partiti di destra che non trovano una intesa a livello europeo per la prevalenza degli interessi nazionali, da cui derivano rapporti fortemente diversificati con i paesi terzi.


4. Ursula von der Leyen, e il Commissario UE Brunner, insistono su “nuove regole” sui rimpatri, per renderli “più semplici, più rapidi e più efficienti”, e sembrano disposti ad accelerare il passo anche sulla creazione di centri hotspot per la esternalizzazione delle procedure di asilo al di fuori dell’Unione europea, proposta da non confondere con gli “hub per i rimpatri”, che si rivolgerebbero a persone già destinatarie di un provvedimento di allontanamento forzato ricevuto in un paese europeo. Entrambe le ipotesi sono attualmente in contrasto con la vigente Direttiva rimpatri 2008/115/CE, che non si era riusciti a modificare lo scorso anno, quando erano stati approvati i Regolamenti attuativi del Patto europeo sulla migrazione e l’asilo, per divergenze tra i paesi membri, divergenze che non sembrano affatto superate neppure oggi. In ogni caso non saranno gli ordini europei di rimpatrio ed i divieti di ingresso che avranno effetto deterrente e daranno maggiore efficienza alle procedure di rimpatrio forzato nei paesi di origine, mentre sembra sempre più lontana l’adozione da parte degli Stati membri di una lista comune di “paesi di origine sicuri” verso i quali rimpatriare con procedure accelerate in frontiera i richiedenti asilo denegati. Viene comunque confermata la progressiva erosione del diritto di asilo previsto dalla Convenzione di Ginevra del 1951, che molti paesi membri considerano ormai da superare, anche se questo ulteriore passaggio, già anticipato nelle prassi di polizia, necessita di una radicale abrogazione degli articoli 18 e 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che ancora oggi non appare in vista. Le violente controversie sulla qualificazione dei paesi di origine sicuri e le difficoltà procedurali, come la contrazione estrema dei tempi burocratici, con limitazione del diritto effettivo di difesa, sono destinate a proseguire, ed anzi ad intensificarsi, dopo l’approvazione del nuovo Regolamento sui rimpatri, che mira soprattutto ai richiedenti asilo che ricevono un diniego, piuttosto che ad immigrati irregolari già presenti da tempo sul territorio dei paesi membri. La prospettiva di hub per i rimpatri nei paesi terzi non si presta comunque ad una applicazione su vasta scala, al di là della portata propagandistica che i governi tendono ad attribuirle. Senza alcuna certezza sulla possibilità di un effettivo rimpatrio, il trasferimento di migranti irregolari, destinatari di provvedimenti di espulsione negli Stati membri, verso centri di detenzione denominati “Hub per i rimpatri”, ed ubicati nei paesi terzi, appare una prospettiva non praticabile su larga scala, andrebbe prevista nell’ambito di accordi bilaterali che ad oggi non sono in vista, ed in ogni caso non potrebbe contribuire ad aumentare l’effettività delle procedure di rimpatrio con accompagnamento forzato. Per i richiedenti asilo denegati le prospettive di trasferimento verso paesi terzi sicuri sono significativamente diverse, e costituiscono ancora una soluzione eccezionale. Sono vietati i rimpatri dei minori stranieri non accompagnati, a meno che non siano nel loro “superiore interesse”.

Ai sensi dell’attuale direttiva sulla procedura di asilo (articolo 38(2)) e del futuro regolamento sulla procedura di asilo (articolo 59(4)), i trasferimenti verso i paesi terzi sicuri sono permessi solo se esiste “un collegamento tra il richiedente e il paese terzo in questione sulla base del quale sarebbe ragionevole per lui o lei recarsi in quel paese”. Anche se il futuro regolamento sulla procedura di asilo, che si applicherà da giugno 2026, include una disposizione per la revisione del concetto di “Paesi terzi sicuri” entro giugno 2025 (articolo 77), la possibilità di un accordo tra i paesi membri su una lista comune appare ancora molto lontana. Si tratta di categorie sempre più sfumate che tendono a trasferire dalla giurisdizione, e dal potere legislativo, ai governi il potere di stabilire e controllare le regole procedurali sull’accesso alle procedure di asilo e sui rimpatri di coloro che ottengono un diniego, fatti salvi i diritti di difesa previsti dalle Costituzioni nazionali, dalla Carta dei diritti fondamentali UE, dalla Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo, oltre che dalle Convenzioni ONU.


5. Il nuovo progetto (draft) di Regolamento rimpatri mira a garantire l’effettivo rimpatrio e la riammissione dei cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente, in linea con l’approccio globale di cui agli articoli 3, 4, lettera h), e 5, lettera e), del regolamento (UE) 2024/1351. ll regolamento istituisce un sistema comune per il rimpatrio dei cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente nell’Unione, conformemente ai diritti fondamentali riconosciuti in particolare dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (la “Carta”) nonché agli obblighi applicabili ai sensi del diritto internazionale, compresi quelli in materia di protezione dei rifugiati e diritti umani.

L’ articolo 2 individua l’ ambito di applicazione del Regolamento che si applica ai cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente nel territorio degli Stati membri, dunque non è applicabile al di fuori degli Stati membri. Gli Stati membri possono derogare alle disposizioni del Regolamento per coloro che sono soggetti a un respingimento alle frontiere esterne conformemente all’articolo 14 del Regolamento (UE) 2016/399; e per coloro che sono fermati o intercettati dalle autorità competenti in relazione all’attraversamento illegale via terra, via mare o via aria della frontiera esterna di uno Stato membro e che non hanno successivamente ottenuto un’autorizzazione o un diritto di soggiorno in tale Stato membro. Queste disposizioni confermano che il Regolamento non è applicabile in paesi terzi, come si vorrebbe sostenere con la istituzione di Hub per i rimpatri o di centri Hotspot per richiedenti asilo. Una ulteriore conferma arriva dal successivo articolo 6 secondo cui “Gli Stati membri mettono in atto misure efficaci e proporzionate per individuare i cittadini di paesi terzi che soggiornano illegalmente nel loro territorio in vista dell’esecuzione della procedura di rimpatrio e per effettuare eventuali verifiche supplementari necessarie, comprese eventuali verifica di vulnerabilità e sicurezza”.

Il successivo articolo 9 prevede il riconoscimento e la esecuzione delle decisioni di rimpatrio emesse da un altro Stato membro. Ancora una volta si tratta evidentemente dell’allontanamento dal territorio nazionale e non dal territorio di un paese terzo., come nei casi di rimpatri volontari (art.13) o nei casi di dilazione del termine di rimpatrio (art.14) o di rimpatri di persone particolarmente pericolose (art..16).

L’articolo 17 del progetto di Regolamento “rimpatri” richiama la possibilità di rimpatriare cittadini di paesi terzi che hanno ricevuto una decisione di rimpatrio in un paese terzo con cui esiste un accordo o un’intesa per il rimpatrio (cd. “hub di rimpatrio”). La possibilità di rimpatriare migranti irregolari in tali paesi dovrebbe essere subordinata a condizioni specifiche per garantire il rispetto dei diritti fondamentali delle persone interessate. Si prevede al riguardo che un accordo o intesa può essere concluso con un paese terzo solo se sono rispettati gli standard e i principi internazionali sui diritti umani conformi al diritto internazionale, incluso il principio di non respingimento. Si aggiunge poi che unn accordo o un’intesa stabilisce le procedure applicabili al trasferimento di cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente dal territorio degli Stati membri al paese terzo di cui al paragrafo ; le condizioni di soggiorno del cittadino di paese terzo nel paese terzo compresi i rispettivi obblighi e responsabilità dello Stato membro e di tale paese terzo; ove applicabile, le modalità di rimpatrio nel paese di origine o in un altro paese in cui il cittadino di un paese terzo decide volontariamente di rimpatriare, e le conseguenze nel caso in cui ciò non sia possibile; d. gli obblighi del paese terzo di cui alla seconda frase del paragrafo 1; e. un organismo o meccanismo indipendente per monitorare l’effettiva applicazione dell’accordo o dell’intesa; Si devono prevedere in sede di accordo con gli Stati terzi le conseguenze da trarre in caso di violazioni dell’accordo o dell’intesa o di cambiamenti significativi che incidono negativamente sulla situazione del paese terzo”. Prima di concludere un accordo o un’intesa gli Stati membri ne informano la Commissione e gli altri Stati membri. inoltre I minori non accompagnati e le famiglie con minori non possono essere “rimpatriati in un paese terzo”. Si tratta evidentemente di trasferimenti individuali di persone in stato di irregolarità già presenti sul territorio nazionale, anche se si tratta di richiedenti asilo denegati, ferma l’applicazione delle garanzie di difesa e di ricorso previste da altri legislativi dell’Unione europea o dalla legislazione interna dei paesi membri. La limitata previsione di hub per i rimpatri non fornisce alcuna copertura alla diversa previsione di rimpatri diretti dall’Albania verso i paesi di origine sicuri, previsti dal Protocollo Italia-Albania, che riguarda richiedenti asilo in procedura accelerata in frontiera che non hanno mai fatto ingresso fisico in Italia, a parte il trasferimento sulla nave militare che li ha soccorsi. Mentre i cd. hub per i rimpatri sono strutture destinate nei paesi terzi al trattenimento di persone, in condizioni di irregolarità già presenti in Italia, che risultino destinatarie di un provvedimento di espulsione o di allontanamento forzato.

L’art.26 del Regolamento stabilisce poi un diritto al ricorso effettivo contro le decisioni di rimpatrio, i termini dell’appello, mentre l’effetto sospensivo dei ricorsi, è garantito dal successivo articolo 28 secondo cui ai cittadini di paesi terzi è concesso il diritto di presentare una domanda di sospensione dell’esecuzione di una decisione di rimpatrio prima che sia scaduto il termine entro il quale possono esercitare il loro diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un’autorità giudiziaria di primo grado. L'autorità giudiziaria ha il potere di decidere, in seguito a un esame sia dei fatti che degli elementi di diritto, se l’esecuzione della decisione di rimpatrio debba essere sospesa in attesa dell’esito del ricorso. L’esecuzione della decisione di rimpatrio è sospesa quando vi è il rischio di violazione del principio di non respingimento. L’intera parte che riguarda il rimpatrio attraverso paesi terzi sembra particolarmente orientata a costringere le persone ad optare per i rimpatri volontari assistiti dall’OIM, ma pure in questo caso si tratta di procedure che, anche per ragioni di costi, sarà ben difficile applicare su vasta scala.

In base all’art.31 della proposta di Regolamento sui rimpatri gli Stati membri devono stabilire misure alternative al trattenimento. Secondo il successivo articolo 32 “Il trattenimento è mantenuto per il periodo più breve possibile e finché sono soddisfatte le
condizioni stabilite dall’articolo 29 e finché è necessario per garantire il rimpatrio con successo”. E ancora si prevede che “Il trattenimento non supera i 12 mesi in un dato Stato membro. Il trattenimento può essere prorogato per un periodo non superiore ad altri 12 mesi in un dato Stato membro qualora la procedura di rimpatrio possa durare più a lungo a causa della mancanza di cooperazione da parte del cittadino di un paese terzo interessato o di ritardi nell’ottenimento della documentazione necessaria dai paesi terzi.” Non si vede davvero come periodi tanto lunghi di trattenimento amministrativo siano compatibili con le strutture di detenzione esistenti in territorio europeo, in condizioni tanto degradate da costituire spesso luoghi di trattamenti inumani, e che potrebbero finire rapidamente ingolfate se non si praticheranno termini molto più brevi di detenzione in vista dei rimpatri. Si tratta comunque di previsioni particolarmente vessatorie che non incideranno sul numero dei rimpatri effettivamente eseguiti, perché è ormai un dato di comune esperienza che se il paese di origine che deve accettare il rimpatrio forzato non risponde nei primi mesi, non arriverà più una risposta positiva sulla richiesta di collaborazione.

Gli articoli 42 e seguenti del progetto di Regolamento stabiliscono gli elementi di un sistema comune europeo per i rimpatri costituito da: una procedura comune per il rimpatrio dei cittadini di paesi terzi che non hanno diritto di soggiornare nell’Unione, compresa una procedura comune di riammissione come parte integrante della stessa; da un sistema di riconoscimento ed esecuzione delle decisioni di rimpatrio tra gli Stati membri; Si prevede quindi un rilevante ruolo nella gestione dei rimpatri forzati che si aggiunge ai compiti già svolti per l’Agenzia per il controllo delle frontiere esterne (FRONTEX). Ma sulla base dei Regolamenti Frontex questa agenzia non è autorizzata ad operare attività di rimpatrio da paesi terzi verso i paesi di origine, e dunque non potrà operare in Hub per i rimpatri in paesi terzi.


6. E’ evidente come l’intero sistema dei rimpatri si basi su accordi con i paesi di origine al fine della riammissione dei loro cittadini. Accordi che, a parte il precedente degli accordi multilaterali tra gli Stati membri e la Turchia nel 2016,che prevedevano il trasferimento forzato dalla <Grecia di richiedenti asilo non turchi, rimangono accordi bilaterali, sui quali si infrangono le politiche nazionali di rimpatrio “di massa”. Le statistiche italiane in materia di rimpatri forzati mostrano spesso dati forniti dal Viminale espressi soltanto in termini percentuali, ma il numero di stranieri irregolari effettivamente rimpatriati ha oscillazioni da un anno all’altro di poche centinaia di persone.

Ad ogni tappa del fallimento di sistema del governo Meloni in materia di immigrazione ed asilo ritorna il richiamo ad appoggi che arriverebbero da Bruxelles sulla esternalizzzione delle procedure in frontiera per i richiedenti asilo e sulla gestione comune dei rimpatri con accompagnamento forzato. Una propaganda ormai dilagante, malgrado solenni smentite che arrivano dai giudici italiani e dalle Corti internazionali, spaccia il numero estremamente ridotto di espulsioni e respingimenti effettivamente eseguiti come se si trattasse di una conseguenza del sostanziale blocco delle procedure accelerate in frontiera e dei centri di accoglienza/detenzione costruiti in Albania, una responsabilità che si attribuisce alla magistratura “ideologica”. Si nasconde all’opinione pubblica che la maggior parte delle persone straniere in condizioni di irregolarità sul territorio nazionale, che dovrebbero essere espulse, non sono richiedenti asilo provenienti da paesi di origine definiti come “sicuri“, e denegati per manifesta infondatezza della domanda, ma immigrati che da anni si trovano e lavorano sul nostro territorio.

Per esigenze di “difesa dei confini europei”, termine che di giorno in giorno assume una rilevamza diversa, dovendosi ricercare piuttosto una “difesa comune europea”, rispetto alle guerre in corso ed agli accordi in vista tra Putin e Trump, si cerca adesso di adottare con un Regolamento europeo nuove regole che, al di là delle solenni affermazioni di principio, e degli organismi di monitorraggio, possano facilitare i rimpatri forzati anche a scapito dei diritti di difesa e dei principi in materia di libertà personale sanciti dalle Costituzioni nazionali e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. E poi, quante risorse europee resteranno effetivamente spendibili per una politica dei rimpatri in cui, al di là della propaganda elettorale, nessuno ha mai creduto davvero ? Le trattative sul futuro Regolamento “rimpatri” saranno fortemente condizionate dalla necessità di reperire fondi immensi, se davvero si vuole perseguire la politica dei rimpatri di massa. Una politica che l’Unione europea non potrà sostenere, oltre che per ragioni giuridiche, e politiche, anche per gli ingenti costi econimici che comporta. Il numero degli immigrati irregolari presenti in territorio europeo può diminuire soltanto con estese procedure di regolarizzazione permanente e con un pieno riconoscimento della protezione internazionale e dei regimi nazionali di protezione speciale.

L’Italia, al di là della recente sentenza della Corte di Cassazione sul caso Diciotti, non si presenta al tavolo del negoziato europeo con le carte in regola, soprattutto per le numerose condanne inflitte dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo, per trattenimenti arbitrari in frontiera, sanzionati anche da una cospicua giurisprudenza domestica in materia di procedure accelerate di asilo e di trattenimento amministrativo. Sono queste le vere ragioni che hanno scatenato una rabbiosa reazione del governo italiano, di fronte alle decisioni dei giudici che non hanno convalidato misure di trattenimento adottate dai questori nel corso delle cd. procedure accelerate in frontiera, bloccando di fatto l’attuazione del Protocollo con l’Albania. Una serie di precedenti che, al di là della futura decisione della Corte di Giustizia UE sulla categoria dei paesi di origine sicuri e dei correlati diritti di difesa da riconoscere ai richiedenti asilo, potrebbero assumere rilievo anche a livello europeo, dove si richiama in diversi passaggi della nuova proposta di Regolamento “rimpatri” la prevalenza dei diritti fondamentali della persona sulle esigenze di proteggere i confini degli Stati attraverso le procedure di trattenimento amministrativo e i decreti di espulsione con accompagnamento forzato. Esattamente come si legge nella recente sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite sul caso Diciotti, e come ancora in precedenza veniva stabilito dalla sentenza n.105/2001 della Corte Costituzionale.


7. Una politica comune dei rimpatri non è neppure ipotizzabile se l’Unione europea non avrà una politica estera comune nei confronti dei paesi di origine, in alcuni dei quali sta crescendo in modo esponenziale l’influenza di altri paesi terzi, come la Turchia, la Russia. la Cina, e persino degli Stati Uniti, che ne possono condizionare le scelte di governo, all’insegna di una feroce spartizione delle risorse naturali, che conta molto più dei propositi europei di rimpatri di massa. Una politica estera verso i paesi dai quali provengono migranti forzati, costretti all’ingresso irregolare dalla mancanza di canali legali, si costruisce soltanto con la cooperazione economica in materia di migrazioni per lavoro e studio, di protezione dei richiedenti asilo e e di sviluppo sostenibile, non con i voli di rimpatrio, con le forniture di armi e con la militarizzazione delle frontiere, dietro cui si cela la collaborazione con autorità statali che, come è emerso nel caso Almasri, non rispettano i diritti umani.


fonte: A-dif.org/2025/03/11