martedì 16 novembre 2021

HANNAH ARENDT: ROSA LUXEMBURG, UN’EROINA DELLA RIVOLUZIONE

 -Daniela Musumeci-          Sulla recensione della biografia di Nettl 

 L’interesse per questa recensione del 1966 che diventa un breve, succoso saggio è motivato da diverse ragioni: fa piazza pulita del pregiudizio USA, legato alla propaganda durante la Guerra Fredda, secondo cui l’antistalinismo di Arendt sarebbe tout court antibolscevismo, e dell’altrettanto radicato pregiudizio, anch’esso legato alla “caccia alle streghe” degli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, per il quale le critiche di Luxemburg a Lenin coinciderebbero con un suo rifiuto del comunismo russo; ci mostra una Arendt vicina al socialismo consiliare e libertario della Luxemburg e attenta, come sempre, alla complessità sociale, e una Luxemburg coraggiosa, perché in fondo politicamente isolata, proprio per la sua lucidità preveggente, nonostante quelli che, a detta di Arendt, furono suoi errori di interpretazione. Ne diamo qui una succinta sintesi



I    Arendt inizia lamentando l’oblio in cui si è fatta cadere la figura di R.L., di gran lunga più lucida e influente, a suo parere, dei socialisti suoi contemporanei, Lenin e Trotzskij inclusi. La sua peculiarità e l’originalità delle sue idee, sia nell’SPD sia nella Spartakus Bund dipenderebbero dalla sua precedente esperienza nel partito socialista polacco, con forte presenza ebraica, che A. definisce un “gruppo di pari”, e dalla sua frequentazione non solo amorosa ma anche politica con Leo Jogisches. Seguendo il biografo Nettl, nel primo capitolo del saggio, A. ricostruisce la vita di R.L. e la sua personalità intellettuale: il trasferimento in Germania dalla Polonia per proseguirvi il suo lavoro politico, la carcerazione a Varsavia durante la rivoluzione del 1905 e l’altra in Germania durante la guerra, la sua presenza in Russia con Lenin nel ‘18, l’insurrezione spartachista che le costò la vita. Dopo l’assassinio, la pubblicazione delle sue lettere (a Leo Jogisches e a Karl Liebknecht) fece giustizia dell’immagine propagandistica di “Rosa, la Rossa” come “sanguinaria” e “femmina litigiosa”. A. sostiene che le idee e gli scritti di R.L. possono ancora contribuire a creare una “Nuova Sinistra”, che L’Accumulazione del Capitale utilizza parametri di analisi economica nuovi e diversi da quelli del marxismo tradizionale, poiché volti a esplorare “l’imperialismo”, e che la sua visione della rivoluzione, nata dal basso e non imposta dall’alto come quella bolscevica, lungi dalla strumentalizzazione delle sue critiche a Lenin operata durante la guerra fredda, possa invece prospettare un socialismo consiliare e libertario. Secondo A. ne L’Accumulazione del Capitale L. fa i conti con il mancato crollo del capitalismo preconizzato da Marx e indaga le cause della sua continua crescita, rinvenendole nella progressiva conquista di settori precapitalistici della produzione che vengono fagocitati entro il meccanismo del profitto. L’accumulazione, dunque, non sarebbe una legge dotata “di ferrea necessità”, ma un procedimento che subisce aggiustamenti continui, che si nutre di fattori esterni al sistema e che non si arresterà sino all’asservimento di tutta la terra. Lenin giudicò questa interpretazione un “errore fondamentale” rispetto alla dialettica hegeliana e marxista (come sappiamo per lui l’imperialismo conduce inevitabilmente alla guerra e la guerra, altrettanto inevitabilmente, alla rivoluzione). L., invece, vede tutta la complessità dei processi storici: nel descrivere “l’imperialismo” denuncia, per esempio, “le torture subite dai Negri in Sudafrica”, avverte A.


II   Il secondo capitolo è interessante perché qui A. in qualche modo si riconosce in R.L. in quanto ebrea, sia pure ebrea polacca, educata già dalla famiglia a valori di solidarietà e all’impegno culturale e sociale, e sottolinea la particolarità del partito socialdemocratico polacco che ha il pregio di essere “un gruppo di pari” e non una struttura verticistica, anche se ha i limiti di trascurare “la questione ebraica” e il problema dell’indipendenza della Polonia dalla Russia, in nome non solo dell’internazionalismo proletario ma del diffuso sentimento ebraico di appartenenza europea. Le classi medie ebraiche colte di tutta Europa, infatti, si ritenevano “Buoni Europei” per antonomasia. “La madrepatria dei lavoratori di tutto il mondo” poi “è la Russia sovietica”, come recita uno slogan condiviso, sbagliando secondo A., anche da Rosa.


III   Il terzo capitolo è dedicato alla vita privata di R.L., al suo amore tormentato e geloso per Leo e al suo successivo matrimonio pro forma. Viene quindi esaminata la sua rottura con Plechanov, l’uscita dall’SPD e la fondazione della Spartakus Bund, negli anni della prima guerra mondiale, come “ideale gruppo di pari”.


IV   A. passa poi ad esaminare quelli che a suo dire sono i due errori principali di R. L.: l’incomprensione della necessità dell’indipendenza della Polonia e il misconoscimento di alcuni contenuti condivisibili, secondo lei, del revisionismo. Secondo L., la Polonia non deve staccarsi dalla Russia, poiché il suo decollo industriale dipende interamente dal mercato sovietico (ancora Russia patria dei lavoratori!). Nel revisionismo di Bernstein, poi, sarebbe contenuta un’analisi economica di grande concretezza, più vicina alle idee di Kausky e Luxemburg di quanto essi non siano disposti ad ammettere: “il moderno proletariato non stava diventando sempre più povero, ma al contrario migliorava le sue condizioni”, pertanto più difficile era interpretarne bisogni e aspirazioni. Secondo A., invece, sia l’SPD sia, più tardi, la sinistra di Luxemburg, Bebel e Liebknecht rifiutarono le tesi di Bernstein di ordine riformistico per non snaturare la propria identità di “Stato nello Stato”, il proprio isolamento nella durezza e nella purezza (da pariah, scrive A.), per meritare “l’invidia e l’ammirazione dei socialisti di tutto il mondo” restando “i nemici mortali della società esistente” con un programma repubblicano e rivoluzionario irrinunciabile.


Dopo il fallimento della Rivoluzione del 1905, che lei dichiarò “l’esperienza più felice della mia vita” nella quale aveva per la prima volta vissuto la partecipazione ai consigli operai (futuri soviet), Rosa cercò di aprire un dibattito dentro la SPD circa le condizioni che rendono possibile una rivoluzione mondiale, a partire dallo smontaggio delle minime situazioni di ingiustizia sociale locale, ma il partito non la seguì. Allo scoppio della guerra, conobbe momenti di sconforto che la condussero vicino al suicidio. Nel ’18 in Russia contestò a Lenin la verticizzazione e la burocratizzazione del partito e della società tutta, foriere di “un collasso morale” della Russia futura. E soprattutto gli rimproverò la tesi del ‘tanto peggio tanto meglio’: l’auspicio della guerra come occasione per lo scoppio della rivoluzione, quando invece essa è “il più terribile dei disastri”. 

L’esperienza dei consigli, insieme con lo studio del capitalismo di seconda fase, resta dunque fondativa del suo socialismo consiliare e libertario, alternativo al socialismo reale di Lenin e ai suoi esiti nello stalinismo. Perciò, a detta di A., R.L. è ancora attuale e va studiata.