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tesi principale sostenuta da Scavino è che l’elaborazione teorica
dell’operaismo, nata all’inizio degli anni Sessanta e proseguita lungo tutto il
decennio, abbia prodotto diversi tentativi di dare organizzazione e prospettiva
rivoluzionaria alle lotte operaie dell’epoca e che Potere Operaio sia stato
quello più genuino, più conseguente sul piano politico. Al tempo stesso,
proprio l’esaurirsi del progetto politico di PO rappresenta secondo l’autore,
la dimostrazione del fallimento di questi tentativi (epilogo che accumuna
Potere Operaio ad altri gruppi “gemelli”, anche se ideologicamente più spuri,
come ad esempio Lotta Continua)
Il
primo volume si divide in due parti. Nella prima viene inizialmente analizzato
il retroterra teorico di PO, attraverso l’elaborazione e l’esperienza delle
riviste operaiste che si sono succedute: dai “Quaderni Rossi” (dal 1961 fino
alla spaccatura interna del 1963), passando poi per “Classe Operaia”
(1964-1967) e l’effimera esperienza di “Contropiano” (nata nel 1968 dalle
ceneri di “Classe Operaia”, ma che già nello stesso anno e dopo solo due numeri
vedeva lasciare uno dei suoi fondatori, Toni Negri, per dissidi interni).
L’autore prosegue poi ricostruendo la formazione di quello che oggettivamente
sarebbe diventato il central core di Potere Operaio, cioè il gruppo di
Marghera, composto da alcuni militanti politici legati inizialmente al Psi
(Negri, Bianchini, Tolin, ecc.) e da diversi attivisti sindacali e avanguardie
di fabbrica (fra i quali svetta la personalità di Italo Sbrogiò). Si trattava
di un gruppo che, prima attraverso il giornale socialista “Progresso veneto” e
poi, a partire dal 1° maggio 1967, con “Potere Operaio” di Marghera, aveva
messo in piedi un vero e proprio intervento politico nelle mobilitazioni
operaie della zona, acquisendo man mano una certa consistenza organizzativa e
uscendo da una dimensione esclusiva da gruppo di intellettuali, seppur
militanti. La prima parte del libro termina poi con l’esplosione del
Sessantotto e l’incontro del gruppo di Marghera col movimento studentesco, sia
veneto, sia soprattutto romano (attraverso le figure di Piperno e Scalzone). La
seconda parte affronta il periodo in cui il gruppo cerca di accelerare sul
piano dell’organizzazione politica, prima con la nascita del giornale “La
Classe”, poi con la partecipazione alle lotte autonome che esplosero alla Fiat
nella primavera del ’69, ancora con l’esperienza dell’Assemblea operai-studenti
a Torino nell’estate-autunno del ’69, infine con le contraddizioni che
all’interno di essa emersero con l’altra area politica che si stava formando in
quel momento, legata al movimento studentesco torinese e trentino e al Potere
Operaio toscano, e che avrebbe dato poi vita a Lotta Continua. Fu a cavallo di
questi eventi che fu presa la decisione di fondare un nuovo settimanale, questa
volta nazionale e non solo veneto, che avrebbe sostituito “La Classe”: “Potere
Operaio”. Il volume si conclude con l’esperienza fallimentare di fusione col
Manifesto (convegno operaio di Milano, 1971) che, al di là degli esiti per
l’appunto negativi (per molti versi anche prevedibili, viste le profonde
differenze di impostazione teorica e di visione strategica) dà conto di come le
questioni della costruzione di un movimento politico veramente di massa e della
lotta per il “potere” fossero diventati quelle centrali per PO.
L’operazione
culturale fatta da Marco Scavino su questa prima fase della vita di Potere
Operaio non è solo cronologica, l’autore non si limita esclusivamente a una
ricostruzione in ordine temporale degli eventi, sebbene ovviamente egli ci
ricordi che questa rappresenta la linea su cui il libro si muove.
*recensione
di Alberto Pantaloni (“Quando l’operaismo si fece progetto politico: la storia di Potere Operaio”)per Effimera
MARCO SCAVINO, Potere operaio. La storia. La teoria”, DeriveApprodi, Roma 2018, pp. 185,vol. I
MARCO SCAVINO, Potere operaio. La storia. La teoria”, DeriveApprodi, Roma 2018, pp. 185,vol. I