a differenza dei grillini o addirittura degli “eversivi” neo-salviniani, i gilet gialli anno
avuto finora meno bisogno degli italiani scontenti di raggrupparsi dietro a un
(nuovo) papà da celebrare. [Bisogna] provare a pensare la sua originalità,
riconoscendolo come una creazione collettiva, e non come la semplice replica di
modelli d’organizzazione e lotta già codificati storicamente in seno a
istituzioni, partiti, organizzazioni sindacali. Il primo segno evidente
d’originalità politica è riscontrabile proprio nella difficoltà che testimoni e
commentatori esterni hanno nel situarlo “politicamente”. Non si tratta di
prendere qui per buone le ripetute affermazioni di apoliticità degli
sparpagliati portavoce del movimento. Sappiamo come la giurata apoliticità sia
quasi sempre maschera, nei fatti, di mentalità e rivendicazioni reazionarie. Il
punto è che questa presunta apoliticità del movimento ha prodotto nell’arco di
un mese di mobilitazione collettiva uno stravolgimento del dibattito mediatico
e politico in Francia
Salario
Dal 17 novembre, prima
data di manifestazioni non autorizzate e di blocchi del traffico su scala
nazionale, non solo i dibattiti, animati dai soliti giornalisti e personalità
politiche, si sono moltiplicati in TV e sulla stampa, ma si sono dovuti concentrare
sulle rivendicazioni del movimento, che nel frattempo si erano ampliate e
radicalizzate. Questo ha comportato anche la comparsa, negli studi televisivi,
di persone che ne erano state fino ad allora escluse: uomini e donne dai
profili sociali differenti – ma senza legami con il mondo politico,
giornalistico o della ricerca universitaria – che si presentavano come
portavoce più o meno riconosciuti del movimento. Se la scintilla della
contestazione era nata da una petizione in rete contro il rincaro dei carburanti,
dovuto a una ecotassa, oggi lo scontro con il governo tocca direttamente la
questione dei bassi salari. È interessante constatare come i gilet gialli
abbiano fatto loro il linguaggio delle varie destre e sinistre di questi anni,
che hanno messo tra parentesi il concetto di “salario”, troppo legato al lavoro
dipendente e alla questione di classe, per sostituirgli quello più neutro e
interclassista di “potere d’acquisto”.
Rappresentanza
Nonostante le enormi aspettative che
il movimento ha suscitato anche nelle file della sinistra anticapitalista, un
esame delle sue rivendicazioni lo colloca su di una linea riformista. Se i
gilet gialli non si battono per una restaurazione della triade Dio Patria e
Famiglia, non hanno neppure l’obiettivo di creare una società senza classi.
Innanzitutto la composizione sociale del movimento non è costituita né dagli
strati più poveri né dagli esclusi della società francese. Si sono mossi i ceti
medi e popolari più recentemente impoveriti o a rischio d’impoverimento,
quelli, insomma, che nei confronti del modello sociale
francese avevano ancora delle aspettative, pur sentendosi
traditi dalle istituzioni politiche e dai corpi intermedi (sindacati inclusi).
Appare, quindi, inquietante che per rivendicare degli obiettivi di politica
sociale in gran parte riformistici (rispetto almeno alle politiche neoliberali
e di austerità degli ultimi decenni), il movimento abbia dovuto dotarsi di
forme d’organizzazione radicali, legate alla democrazia diretta, e a forme di
lotta altrettanto radicali (dalla disubbidienza civile allo scontro di strada e
alla devastazione di beni).
Territorio
Il
movimento dei gilet gialli è stato caratterizzato non solo da una dimensione
sociale, ma anche da una dimensione territoriale. Alcuni commentatori hanno
tentato di leggere il conflitto secondo coordinate previsibili: grandi centri
urbani, dalle mentalità avanzate e “ambientaliste”, e zone rurali, dalle
mentalità reazionarie e “inquinanti”. Se lo schema avesse funzionato, avremmo
assistito a un piccolo capolavoro di mistificazione. È stato Hervé Le Bras,
specialista della storia sociale e demografica, ha smentire tra i primi la
sovrapposizione tra gilet gialli e aree di voto lepeniste (…) Più in generale,
il fatto di aver preso le mosse dal territorio ha voluto dire, paradossalmente,
essere più inclusivi, accogliendo in sé salariati, ma anche pensionati,
disoccupati, piccoli imprenditori, commercianti, tutto un mondo, ad esempio,
che i sindacati faticano a raggruppare. Inoltre, salendo con determinazione a
Parigi per manifestare anche senza autorizzazione, i gilet gialli hanno
invitato tutti gli incazzati della capitale e dintorni: studenti, gruppi
radicali di sinistra, e probabilmente anche gente venuta dalle periferie. I
gruppi radicali più spregiudicati, compresi alcuni collettivi queer,
hanno infatti capito quello che i sindacati nazionali, come la CGT, non hanno voluto capire: sono scesi in
piazza con il movimento, malgrado esso esprima al suo interno anche attitudini
razziste e sessiste, e lo fanno con l’intento esplicito di portare, su questi
temi, la consapevolezza delle lotte contro le discriminazioni di genere e di
razza.
Conclusione
Per
ora l’ossessione identitaria e la fissazione sul migrante non sono state
preponderanti all’interno di questo movimento, che ha trovato anzi entusiasti
compagni di tumulto nelle correnti più inquiete della sinistra anticapitalista
e sta risvegliando anche i sindacati più combattivi. Difficile prevedere gli
effetti di quello che sta accadendo in Francia sulle prossime elezioni europee.
Difficile capire se i frutti di questa durissima lotta saranno alla fine
raccolti da Marine Le Pen (…) È comunque chiaro che, anche in una democrazia
europea dal governo moderato, affinché una contestazione sociale ottenga un margine significativo d’ascolto mediatico e
politico, un certo grado di violenza risulta indispensabile. Fino a quando
qualche auto non brucia e qualche vetrina non finisce in pezzi, nulla acquista
rilevanza per la stampa e i governi. Non è certo una bella notizia per la
democrazia.