Secondo Mike Johnson, speaker della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti, le proteste di sabato 18 ottobre sarebbero state popolate da "marxisti, socialisti, sostenitori di Antifa, anarchici e pro-Hamas". Se non si trattasse della dichiarazione di una delle cariche più importanti dell'architettonica istituzionale statunitense, si potrebbe forse salutare con un sorriso la rappresentazione di questa improbabile reunion.
È invece parte di un discorso politico chiaro, volto a delegittimare le persone – più di 7 milioni – che hanno deciso di opporsi a Trump e all'accelerazione autoritaria che questi ha impresso alla sua seconda presidenza. Le proteste, che si sono svolte in maniera coordinata in più di 2700 località, avrebbero dimostrato che negli Stati Uniti vi è una solida quinta colonna che odia l'America. L'entourage di Trump ha prontamente denunciato il carattere violento di queste manifestazioni. In un paese in cui, soltanto nel 2024 – stando ai dati elaborati dal Pew Research Center – circa 47.000 persone sono decedute per colpi di arma da fuoco, evidentemente piazze gremite che fanno risuonare il motto 'No Kings!' superano la soglia massima di violenza sopportabile.
Mentre la destra statunitense rispolvera il vecchio copione maccartista, con la dovuta nuance di arabofobia richiesta dai tempi, milioni di persone sembrano decise a riprendere possesso degli spazi pubblici. Le dichiarazioni raccolte in varie città dai media internazionali mostrano una consapevolezza diffusa: gli Stati Uniti attraversano una crisi storica, a cui Trump non può – e non intende – porre rimedio. Non è un caso che il No Kings Day si sia celebrato durante la terza settimana di shutdown del governo statunitense.
Lo spegnimento del governo implica che circa 1.4 milioni di impiegati federali sono forzatamente in ferie non retribuite, oppure continuano a lavorare senza percepire uno stipendio. La causa immediata è la mancanza di un accordo in seno al Congresso, rispetto al piano di spesa per i servizi governativi del prossimo periodo. Più precisamente, la contesa ruota attorno a un punto specifico della politica economica per il 2026, che in estate Trump ribattezzò come il suo 'One Big Beautiful Bill'. I Democratici hanno infatti dichiarato di non voler retrocedere rispetto alla drastica riduzione dei fondi destinati al sistema sanitario, che è perlopiù dominato dalle assicurazioni private.
In questo quadro non privo di tensioni, all'indomani di un giro di valzer attorno al Nobel per la Pace, il movimento No Kings! ha rivolto la propria attenzione non solo alla politica fiscale di Trump. Al centro delle proteste – che hanno raggiunto anche lo stato fortino di Trump, la Florida – vi è ancora il punto centrale delle mobilitazioni dello scorso giugno: la politica fascista di aggressione diretta e arresti arbitrari nei confronti di persone classificate come irregolari. Migrare è un crimine agli occhi di Trump, che soffia sulle braci della xenofobia per finanziare ciò che Alberto Toscano ha acutamente descritto come il suo racket razzista.
Dilagando in tutti e cinquanta gli stati, il grido No Kings! porta dunque in sé un messaggio che è fondamentale decifrare e riarticolare, da questa parte dell'Atlantico: le comunità si stringono attorno a chi rischia una marginalizzazione senza ritorno, a chi è maggiormente esposto alla violenza fisica e ideologica dell'Internazionale fascista che ha disperatamente bisogno di tenere in moto la macchina della guerra: altrimenti i finanziamenti si spengono, le carriere si interrompono, la povertà crescente rischia di rilevarsi ingiustificabile. Il rimedio è quello antico: la retorica del terrorismo, di cui gli Stati Uniti detengono certamente il primato ma non l'esclusiva.
Tentando di scrollarsi di dosso le responsabilità per l'impasse del governo federale, Trump ha offerto al mondo un altro esempio di come si articoli il fascismo e l'autoritarismo in questo secolo. Avendo prima negato di essere un re alle telecamere di Fox News, il presidente degli Stati Uniti ha poi condiviso sul suo profilo Truth – social da lui stesso creato nel 2022 – un video deep fake che lo mostra alla guida di un velivolo militare, dal quale rilascia liquami sulle persone riunite nei vari cortei di protesta. Oltre a un costume da Top Gun – mimetica e maschera dell'ossigeno –, nel suo stesso video Trump indossa una corona. James David Vance non si è perso d'animo e ha subito rincarato la dose, postando un video in cui il presidente, in abiti regali, brandisce una spada. Dinnanzi a lui, persone in ginocchio giurano fedeltà al tycoon.
No Kings! è dunque una forte opposizione a una concezione della politica che prevede l'impiego arbitrario di violenza militare per reprimere le comunità, per troncare i vincoli di solidarietà in cui si riproducono le risorse per combattere il fascismo. Nei giorni in cui questo tema produce un conflitto interno allo stesso sistema federale statunitense, le proteste No Kings! hanno avuto una eco anche sul vecchio continente, in cui le oligarchie a servizio del capitale si stanno ponendo un problema politico della massima rilevanza: come reagire allo strabordare di un movimento sociale rinnovato, prima che esso sia in grado di tracciare le linee che collegano il genocidio della popolazione palestinese alla portata globale della guerra. Prima che uniscano i punti tra una profonda crisi economica e la corsa al riarmo. Prima, cioè, che per re, vassalli e valvassori sia troppo tardi.