lunedì 9 luglio 2018

scie \DECOLONIZZARE LE MIGRAZIONI

– g.avallone/s.torre-

RAZZISMO, CONFINI, MARGINALITÀ


L’intero percorso delle migrazioni che sono iniziate insieme ai processi di decolonizzazione ha riproposto la questione in termini differenti, ma, al tempo stesso, ha in vari modi proseguito il progetto coloniale dell’Occidente. Le diverse pratiche coloniali hanno determinato un’eredità che ha condizionato la gestione delle migrazioni, che hanno assunto non solo l’immagine della differenza etnica, neorazziale, ma anche quella dell’assimilazione come processo evolutivo, dell’idea cioè che sussistesse una superiorità delle società di arrivo, un’emancipazione che non è solo economica

Liberare le migrazioni
I migranti sono ormai tra i principali attori di conflitti sociali in varie aree del pianeta (Mezzadra e Neilson 2013; Avallone 20l5b). Il loro protagonismo sociale e politico va oltre la storica problematica di integrazione nei paesi di arrivo e riguarda la crescente difficoltà nella costruzione di spazi di vita e l’impossibilità di rientrare nel sistema economico globale per una parte sempre più ampia degli abitanti del pianeta: si riferisce, cioè, allo status di esclusione permanente che si prospetta a vari strati dell’umanità. Di fronte a questa esplosione di esperienze conflittuali, Mezzadra e Neilson descrivono la moltiplicazione dei confini come uno dei processi fondamentali per la sopravvivenza del sistema economico globale. Un processo che si realizza in uno spazio eterogeneo, caratterizzato da alti livelli di controllo sulla libertà di movimento degli individui. La moltiplicazione dei confini corrisponde, nel quadro proposto dai due autori, alla moltiplicazione e parcellizzazione del lavoro e definisce, ormai, un fenomeno capillare in cui aumentano i confini fisici anche interni alle vecchie strutture geopolitiche. La divisione globale del lavoro determina la nascita di nuove forme di parcellizzazione sociale.
Le categorie tradizionali di sovranità e potere costituente, legate all’esistenza di confini stabili, sono state rimesse in discussione, ma non sostituite dall’individuazione di nuove categorie interpretative soprattutto di fronte ad una situazione in cui è il potere economico che istituisce i confini, mentre quello politico li gestisce in subordine. Tale processo può definire anche il percorso in cui la dimensione di marginalità propria dei migranti si estende ad un numero sempre più ampio di abitanti del pianeta e non dipende solo dallo spostamento fisico. Secondo la definizione classica del dibattito critico, lo spazio politico neoliberale si definisce come schema in cui si muovono liberamente capitali e merci, ma non gli esseri umani, così anche la costruzione di nuove forme di identità globale passa dalla moltiplicazione dei confini. In questo quadro l’esigenza di procedere a diverse forme di decolonizzazione dell’analisi postcoloniale è sempre più pressante. Non si tratta solo di analizzare o contrastare la costruzione del migrante come nemico, ma anche di confrontarsi con la nascita di nuove forme di conflittualità che non rivendicano integrazione, nell’accezione tradizionale del termine. Si può partire dall’assunto che la definizione territoriale della categoria di migrazione corrisponde ormai evidentemente ad un solo aspetto del processo. Il problema si può inquadrare come la questione dell’ampliamento del numero di persone collocate oltre il margine, la linea che divide l’accesso alla ricchezza dall’esclusione permanente. Quella linea non corrisponde più alla struttura territoriale costruita dal progetto coloniale dell’Occidente, è un prodotto diretto di quella storia, ma non corrisponde più alla differenziazione territoriale tra paesi dominatori e colonie.
La crisi della sovranità moderna si evidenzia chiaramente nel mantenimento delle formule di controllo prive di territorio e consenso. I migranti portano alla luce la permanenza di elementi forti, di un’eredità coloniale nella struttura stessa delle domande poste dalle scienze sociali. Come suggerisce la lettura di Sayad, non possiamo pensare di ricostituire il passato alla ricerca di forme sociali pre-esistenti la modernità e il capitalismo, non può esistere cioè una scienza sociale non coloniale nei suoi assunti. Può esisterne una decolonizzata, che assolva anche al ruolo storico di sapere di opposizione.

Mezzadra S. e Neilson, 2013. Confini e frontiere. La moltiplicazione del lavoro nel mondo globale. Bologna: Il Mulino

Avallone G., 2015b. Trabajo vivo y políticas neoliberales en la agricultura europea. In Ramírez Melgarejo A., ed., 2015. Las (des) regulaciones del trabajo en la crisis. Comprender los cambios del trabajo asalariado y su relación con las políticas de ajuste y austeridad. Murcia: Ediciones de la Universidad de Murcia, 7-14

pubblichiamo un abstract dell’Introduzione Decolonizzare le migrazioni. Razzismo, confini, marginalità, di Gennaro Avallone e Salvo Torre. Il libro, a cura di Tindaro Bellinvia e Tania Poguisch, è recentemente uscito per Mimesis Edizioni

per la lettura integrale dell'Introduzione vai su Effimera.org