RAZZISMO,
CONFINI, MARGINALITÀ
L’intero
percorso delle migrazioni che sono iniziate insieme ai processi di
decolonizzazione ha riproposto la questione in termini differenti, ma, al tempo
stesso, ha in vari modi proseguito il progetto coloniale dell’Occidente. Le
diverse pratiche coloniali hanno determinato un’eredità che ha condizionato la
gestione delle migrazioni, che hanno assunto non solo l’immagine della
differenza etnica, neorazziale, ma anche quella dell’assimilazione come
processo evolutivo, dell’idea cioè che sussistesse una superiorità delle
società di arrivo, un’emancipazione che non è solo economica
Liberare le migrazioni
I
migranti sono ormai tra i principali attori di conflitti sociali in varie aree
del pianeta (Mezzadra e Neilson 2013; Avallone 20l5b). Il loro protagonismo
sociale e politico va oltre la storica problematica di integrazione nei paesi
di arrivo e riguarda la crescente difficoltà nella costruzione di spazi di vita
e l’impossibilità di rientrare nel sistema economico globale per una parte
sempre più ampia degli abitanti del pianeta: si riferisce, cioè, allo status di
esclusione permanente che si prospetta a vari strati dell’umanità. Di fronte a
questa esplosione di esperienze conflittuali, Mezzadra e Neilson descrivono la
moltiplicazione dei confini come uno dei processi fondamentali per la
sopravvivenza del sistema economico globale. Un processo che si realizza in uno
spazio eterogeneo, caratterizzato da alti livelli di controllo sulla libertà di
movimento degli individui. La moltiplicazione dei confini corrisponde, nel
quadro proposto dai due autori, alla moltiplicazione e parcellizzazione del
lavoro e definisce, ormai, un fenomeno capillare in cui aumentano i confini
fisici anche interni alle vecchie strutture geopolitiche. La divisione globale
del lavoro determina la nascita di nuove forme di parcellizzazione sociale.
Le
categorie tradizionali di sovranità e potere costituente, legate all’esistenza
di confini stabili, sono state rimesse in discussione, ma non sostituite
dall’individuazione di nuove categorie interpretative soprattutto di fronte ad
una situazione in cui è il potere economico che istituisce i confini, mentre
quello politico li gestisce in subordine. Tale processo può definire anche il
percorso in cui la dimensione di marginalità propria dei migranti si estende ad
un numero sempre più ampio di abitanti del pianeta e non dipende solo dallo
spostamento fisico. Secondo la definizione classica del dibattito critico, lo
spazio politico neoliberale si definisce come schema in cui si muovono
liberamente capitali e merci, ma non gli esseri umani, così anche la
costruzione di nuove forme di identità globale passa dalla moltiplicazione dei
confini. In questo quadro l’esigenza di procedere a diverse forme di
decolonizzazione dell’analisi postcoloniale è sempre più pressante. Non si
tratta solo di analizzare o contrastare la costruzione del migrante come
nemico, ma anche di confrontarsi con la nascita di nuove forme di
conflittualità che non rivendicano integrazione, nell’accezione tradizionale
del termine. Si può partire dall’assunto che la definizione territoriale della
categoria di migrazione corrisponde ormai evidentemente ad un solo aspetto del
processo. Il problema si può inquadrare come la questione dell’ampliamento del
numero di persone collocate oltre il margine, la linea che divide l’accesso
alla ricchezza dall’esclusione permanente. Quella linea non corrisponde più
alla struttura territoriale costruita dal progetto coloniale dell’Occidente, è
un prodotto diretto di quella storia, ma non corrisponde più alla
differenziazione territoriale tra paesi dominatori e colonie.
La
crisi della sovranità moderna si evidenzia chiaramente nel mantenimento delle
formule di controllo prive di territorio e consenso. I migranti portano alla
luce la permanenza di elementi forti, di un’eredità coloniale nella struttura
stessa delle domande poste dalle scienze sociali. Come suggerisce la lettura di
Sayad, non possiamo pensare di ricostituire il passato alla ricerca di forme
sociali pre-esistenti la modernità e il capitalismo, non può esistere cioè una
scienza sociale non coloniale nei suoi assunti. Può esisterne una
decolonizzata, che assolva anche al ruolo storico di sapere di opposizione.
Mezzadra
S. e Neilson, 2013. Confini e frontiere. La moltiplicazione del lavoro nel
mondo globale. Bologna: Il Mulino
Avallone
G., 2015b. Trabajo vivo y políticas neoliberales en la agricultura europea. In
Ramírez Melgarejo A., ed., 2015. Las (des) regulaciones del trabajo en la
crisis. Comprender los cambios del trabajo asalariado y su relación con las
políticas de ajuste y austeridad. Murcia: Ediciones de la Universidad de
Murcia, 7-14
pubblichiamo un abstract dell’Introduzione a Decolonizzare le migrazioni. Razzismo, confini, marginalità, di Gennaro Avallone e Salvo Torre. Il libro, a cura di Tindaro
Bellinvia e Tania Poguisch, è recentemente uscito per Mimesis Edizioni