DIALOGO CON GIORGIO GRAPPI, BRETT NEILSON E
NED ROSSITER
la logistica è
fuoriuscita dall’ambito prettamente ingegneristico o manageriale entro cui era
racchiusa fino a qualche anno fa, presentando una inedita e produttiva
prospettiva utile alla comprensione del presente politico globale
Ci piacerebbe iniziare
con una panoramica generale sul perché per voi la logistica rappresenta oggi un
punto di vista attraverso il quale è possibile analizzare le dinamiche del
capitalismo globale. In altre parole: perché la logistica è stata per voi e per
le vostre ricerche un tema e una prospettiva importante?
Rossiter:
È spesso difficile spiegare e catturare il senso delle massicce trasformazioni
avvenute nel mondo negli ultimi venti/quarant’anni, trasformazioni impresse
dalla forza della globalizzazione oltre a un livello meramente esperienziale.
Come è possibile rendere concreta l’intensa astrazione della globalizzazione? È
un punto sul quale continuano a misurarsi molte discipline, noi inclusi. Non
siamo mai stati particolarmente entusiasti di percorrere in solitaria il mondo
della produzione teorica, e come soggetto di studio la logistica ci permette di
ricercare un modello di produzione del sapere attraverso un modello più
socialmente espansivo. Uno studio critico della logistica ci fornisce un qualcosa
di tangibile con cui è possibile registrare il cambiamento a differenti
scalarità. La nostra ricerca collettiva negli ultimi anni ci ha permesso di
concretizzare un’idea di come i sistemi tecnici, i software di management e le
infrastrutture delle supply chain governino il lavoro e la vita all’interno di
economie estrattive. Abbiamo inoltre rilevato come la logistica costituisca un
nuovo orizzonte del controllo utilizzando tecniche di governance algoritmica
che si manifesta in un variegato spettro di assetti istituzionali, inclusa
l’università. Sebbene il lavoro nei porti o nei magazzini possa apparire agli
antipodi rispetto alla routine nelle università, i sistemi di software
utilizzati nella gestione del lavoro di supply chain rendono chiara un’architettura
di relazioni che in realtà connette settori industriali e istituzionali
distinti. In altre parole la logistica ci racconta qualcosa di non così ovvio
anche rispetto alle università.
Neilson:
A mio avviso, la logistica offre una peculiare angolatura analitica sul
capitalismo contemporaneo e risulta dunque molto importante domandarci se
questo consenta un’analisi differente rispetto all’adozione di altre
prospettive. Se guardiamo alla finanza, ad esempio, notiamo che il
coordinamento e il controllo dei canali del capitale avviene attraverso
processi di calcolo estremamente astratti ma che hanno potenti effetti
materiali sui territori. Se invece guardiamo ai processi estrattivi possiamo
osservare come le operazioni del capitale si sviluppano nelle relazioni di
scambio e impoverimento che riguardano il pianeta Terra, l’intera biosfera e
differenti tipologie di collettività umane. Io penso che la logistica fornisca
un’angolatura privilegiata sulla circolazione del capitalismo contemporaneo,
garantendoci dunque di tracciare le variazioni nei modelli produttivi
attraverso e oltre la vecchia questione della globalizzazione sollevata da Ned.
Possiamo approcciare la questione attraverso la prospettiva tecnica o con
quella dei software, ma un altro sguardo possibile che dobbiamo considerare è
quello della soggettività rispetto alla logistica. Dobbiamo porci una questione
irrisolta, domandandoci: «la logistica tenta di aggirare la soggettività, o
piuttosto produce una sua specifica forma di soggettività?».
Grappi:
Ciò che per me è stato interessante nel lavorare sulla logistica è prima di
tutto che in qualche modo essa impone di riportare l’elaborazione teorica sulla
globalizzazione e sul capitalismo alla sua dimensione concreta e materiale. Se
a livello basilare la logistica attiene al campo della circolazione, essa
tuttavia ha un rilievo anche rispetto a come la produzione viene continuamente
organizzata e riorganizzata, inclusa la linea di produzione. Per me che sono in
qualche modo arrivato «tardi» sul tema, dopo aver studiato le prospettive
postcoloniali sulla globalizzazione, la logistica rappresenta un metodo per
confrontarsi con ciò che potremmo chiamare una sorta di dimensione
costituzionale della globalizzazione e una via per osservare e connettere
assieme differenti tipologie di processi, dai più semplici e materiali livelli
della produzione al ruolo delle tecnologie informazionali. In secondo luogo la
logistica è anche una logica politica di frammentazione e comando che si
espande ben oltre questi terreni, permeando le società contemporanee. Per me
confrontarsi con questo doppio volto della logistica è anche un modo per
ripensare cosa possa essere una critica dell’economia politica del globale nel
presente. Ciò impone di andare oltre le risposte pre-confezionate per
comprendere gli attuali processi in atto, e ci forza a pensare congiuntamente
la dimensione economica e quella politica del capitalismo contemporaneo.
Proviamo a concentrarci
un attimo su un punto di vista storico. Tutti voi affermate che la logistica ha
una lunga storia. Tuttavia molti libri e molti autori affermano che, nonostante
ciò, la logistica continua ad essere una sorta di «scatola nera». Per voi per
quale motivo ciò avviene? E ritenete che strutturare un approccio genealogico
alla logistica possa permettere di illuminare questa «scatola nera»?
Neilson:
Solitamente si afferma che la logistica ha una storia militare e che si è
riversata anche in ambito civile solo nel periodo successivo alla Seconda
guerra mondiale. In prima battuta la metafora della «scatola nera» forse
riflette dei sentimenti di paranoia rispetto al militare, alla segretezza che
circonda i codici militari ecc… Penso che una delle ragioni per cui la metafora
della «scatola nera» risulta così diffusa sia legata con il training di persone
come noi, che siamo interessati alla logistica per i motivi cui abbiamo
accennato nelle precedenti risposte. Noi chiaramente non puntiamo a comprendere
i dettagli tecnici di come operano gli algoritmi logistici o i complessi metodi
di coordinamento degli impiegati della logistica. La metafora della scatola
nera è spesso un modo per descrivere le nostre scarse conoscenze su questi
processi. Al contrario, la metafora dell’«aprire la scatola nera» è molto
retorica perché non significa che possiamo e finanche vogliamo comprendere le
tecniche, le tecnologie e i codici che fanno funzionare la logistica. Indica
semplicemente che tutti questi fattori sono importanti. Non sono molto
d’accordo con il ricorso a questa metafora perché consente di proiettare
fantasie e paranoie all’interno della nostra analisi. Credo che come
ricercatori critici interessati alla logistica abbiamo il compito di iniziare a
comprendere questi processi non a partire dalle ragioni tecniche, ma da quelle
politiche.
Rossiter:
Per tutte le lacune conoscitive che possiamo avere rispetto alle operazioni
tecniche relative ai sistemi di software e all’ingegneristica che sottendono la
formazione delle infrastrutture per lo sviluppo dei terminal intermodali, dei
porti ecc…, è possibile comunque affermare una cosa rispetto alla «scatola
nera»: che tutte quelle cose sono costitutive e producono in maniera concreta.
E producono cose che non possono essere contenute all’interno della «scatola
nera». In questo senso la scatola nera rende possibile un mondo che può essere
indagato, che è disponibile a una esternalità, e la vita quotidiana delle
persone viene trasformata in modi che non sono riducibili alla logica
parametrica della «scatola nera». In questo senso possiamo anche parlare di una
politica parametrica.
Grappi:
Vorrei solo aggiungere che l’idea di aprire la «scatola nera» suggerisce che
sia necessario per la teoria politica comprendere la dimensione politica di
cose che vengono supposte come tecniche. Possiamo pensare al ruolo della
burocrazia o dell’amministrazione di uno Stato e formulare una sorta di
parallelismo per sostenere che nel funzionamento del capitale le procedure
tecniche, le infrastrutture, i metodi di misura hanno una dimensione
costitutivamente politica che dobbiamo riconoscere e comprendere. Sono
d’accordo con Brett, l’idea che ci sia un qualcosa che sta impattando sulle
nostre vite e che avviene al di là del nostro sguardo è una trappola teorica e
dobbiamo dunque superare l’idea della «scatola nera» per aggiornare la nostra
capacità di pensare «i segreti laboratori della produzione», per riprendere
l’espressione marxiana: piuttosto che evocare una sorta di forza oscura, abbiamo
bisogno di giusti strumenti critici per sviluppare una comprensione politica di
come funzionano gli oggetti tecnici e le procedure di cui stiamo parlando.
Questo vale anche rispetto al riconoscere che ciò che viene usualmente nominato
come dimensione immateriale, rispetto al software e alle tecnologie
informazionali, è in effetti intimamente integrato in processi estremamente
concreti che determinano le nostre vite e i modi in cui si scontrano capitale e
lavoro oggi.
L’ultima domanda è
legata a quello cui accennava ora Giorgio rispetto a quella che potremmo
definire come la «politica della logistica» e al fatto che di solito la
logistica propone un’immagine di sé che tende a depoliticizzare tutti i suoi
aspetti in quanto ambiti tecnici. Sappiamo tuttavia che negli ultimi anni sono
emerse in tutto il mondo nuove forme di «soggettivazione» all’interno del
settore logistico. Più in generale crediamo che oggi la logistica delinei un
campo di tensione. I suoi processi sono continuamente contestati, e facciamo riferimento
anche al tema delle infrastrutture nonché ai loro possibili usi differenti.
Vorremmo dunque chiedervi qualche considerazione sul tema logistica e
contrologistica, sulla politica della logistica…
Rossiter:
È una domanda difficile perché la contrologistica può anche rafforzare la
logistica, il sistema dominante del controllo e della governance oggi. Se la
logistica opera come sistema cibernetico che incorpora la contingenza, non è
allora la contrologistica solo un’altra esternalità che può essere incorporata
e quindi svuotata del proprio potenziale politico? Come operare logisticamente
all’interno della logistica è ciò che stanno ponendo in molti come tema. Come
poter intervenire concretamente è davvero una domanda difficile, che non può
che essere sempre circostanziata e situata anche perché l’immagine o la
fantasia della logistica è quella di una interoperabilità universale, mentre
sappiamo che ci sono molti modi e istanze nei quali l’interoperabilità può
essere rotta. Quindi come intervenire nella logistica diviene anche una
questione di come produrre forme di anonimato che turbano, se non proprio
rifiutano, l’incorporazione o l’espropriazione all’interno dei sistemi di
valorizzazione. Una delle cose che vediamo è inoltre che il capitalismo logistico
ha ovviamente dei limiti. In questo senso le infrastrutture divengono
continuamente ridondanti, superate dagli sviluppi tecnologici, dalle diverse
innovazioni e dalla logica dell’obsolescenza delle merci. Il pianeta e anche lo
spazio che lo circonda sono popolati da infrastrutture obsolete: spazzatura.
Una contrologistica dovrebbe dunque domandarsi se sia possibile riusare queste
machine per produrre differenti soggettività, differenti immaginari estetici,
differenti tipi di possibilità che non siano regolate dall’accumulazione del
capitale. In proposito vedo anche una politica dell’obsolescenza e
dell’esaurimento.
Neilson:
Il modo classico per porre la questione è relativa a ciò che i sindacalisti a
volte chiamano «posizione strategica». I lavoratori della logistica hanno una
posizione strategica all’interno delle supply chain perché le loro azioni
possono avere effetti di rallentamento o blocco a cascata che si diffondono
lungo tutta la catena. Ma la logistica dispone anche di mezzi estremamente sofisticati
per bypassare tali azioni o interruzioni, indipendentemente che si tratti di
scioperi dei lavoratori o di tempeste (solo per fare due esempi). Si potrebbe
anche riformulare la domanda se si pensa al cosiddetto capitalismo logistico e
alla maniera in cui esso posiziona i soggetti. Penso al modo in cui Stefano
Harney e Fred Moten hanno descritto la jaywalking (il crimine di
attraversamento illegale della strada) che ha fatto da scintilla per i riot di
Ferguson. Per loro il jaywalking è un modo di ribellione attiva contro il
capitalismo logistico. In questa istanza, non c’è la forma politica dello
sciopero ma quella del riot. Ci sono molti dibattiti su come queste due
modalità di azione politica possono interrompersi a vicenda. Il tema della
logistica e della contrologistica deve assolutamente considerare la questione
della soggettività, ma penso che limiteremmo l’analisi se collocassimo queste
soggettività unicamente all’interno della forza-lavoro logistica, perché la
logistica ha anche molte implicazioni nel come pensiamo al capitalismo oltre
alla sfera della produzione in senso stretto.
Grappi:
Credo sia importante comprendere e pensare la logistica «oltre» la logistica
nel senso ristretto dell’industria logistica, che è solo una parte di ciò che
significa la logistica. Allo stesso tempo bisogna pensare alla circolazione
assieme alle altre dimensioni che sono impattate dalla logistica. Ho
l’impressione che i discorsi sulla contrologistica producano ciò cui ha appena
accennato Brett, conducendo all’idea che un piccolo gruppo di persone capace di
bloccare un flusso di merci o una linea di trasporto abbia un potere gigante, e
che dunque non sia necessario pensare a fondo cosa significa organizzarsi
politicamente in queste circostanze, ma che appunto basti effettuare dei
blocchi in qualche punto. Io penso invece che sia necessaria una miglior
comprensione della logistica anche per pensare seriamente cosa possa
significare una contrologistica o, per dirla meglio, cosa possa significare
agire politicamente nei «mondi logistici», per richiamare il nome di un
progetto nel quale abbiamo lavorato tutti e tre. Per fare solo un esempio, se
pensiamo a come lavora una supply chain abbiamo differenti opzioni. Possiamo
focalizzarci su specifiche supply chain, e ciò produce modelli di
organizzazione e azione sindacale che provano a comprendere e ad agire in
quella specifica catena industriale. Ma possiamo anche pensare a come una
supply chain e più in generale la logistica sia capace di avvantaggiarsi delle
differenze e degli squilibri tra differenti condizioni locali, e perfino a
livello locale come condizioni che sono molto differenti e frammentate (dalle
quelle formalizzate e standardizzate fino ai livelli più informali
dell’economia) sono incluse negli stessi processi. Questo apre a un intero
spettro di differenti questioni politiche che andrebbero esplorate più in
profondità. Per me pensare alla politica in relazione alla logistica è una
sfida, e pensare a cosa possa significare un’infrastruttura politica di fronte
alla logistica è una questione cruciale, che in qualche modo riporta in auge il
tema del partito: cosa significa oggi organizzarsi per poter effettivamente
incidere.