-franco
«bifo» berardi-
SARÀ
CAPACE LA GENERAZIONE IPERCONNESSA DI PRODURRE COSCIENZA COLLETTIVA?
Secondo il punto di
vista di Bifo quella della resistenza è solo una inutile retorica, giacché il
fenomeno del razzismo va oltre la dimensione di una destra minoritaria e
aggressiva: “abbiamo a che fare con un fenomeno di razzismo di massa”
La
resa dei conti con l’eredità del colonialismo
Una
lettura evoluzionista di Marx – e non la lettura politico-volontarista che ha
prevalso nella tradizione leninista, o quella legal-razionalista che ha
prevalso nella tradizione socialdemocratica – permette di comprendere quello
che sta succedendo e forse anche di intravedere una strategia che ci permetta
di intuire come si esce da un’apocalisse a questo punto inevitabile. La prima
considerazione, è che la mano invisibile del Capitale neoliberale si incarna
nel nazismo, e che non c’è affatto opposizione tra nazismo e liberismo. Al
contrario: è il liberismo che ha prodotto le condizioni del social-nazionalismo
e dello sterminio di massa che esso porta inevitabilmente con sé.
In
uno scritto del 1962, Günther Anders formula l’agghiacciante ipotesi che il Nazismo
del XX secolo non è stato che un esperimento: una prova generale in qualche
teatro di provincia, in preparazione della vera rappresentazione destinata ad
avvenire in un futuro tecnologicamente perfezionato. Quel futuro è adesso.
Inoltre
lo stesso Anders definisce l’essenza del nazismo come disumanità che non ha più
bisogno della mano umana per compiersi, come automatismo tecnico del disumano.
Auschwitz e Hiroshima sono stati per Anders l’annuncio del nazismo a venire.
Siamo cresciuti credendo che il nazismo fosse scomparso con Hitler, ma ci
sbagliavamo: il nazismo pienamente sviluppato è quello dell’automazione del
disumano, che segue alla sconfitta dell’internazionalismo.
La
politica di respingimento – unico comun denominatore di tutti i governi europei
senza differenza sostanziale tra quelli che sono ancora definibili come
«liberal-democratici» e quelli che sono entrati nella fase apertamente
social-nazionalista – non è un fenomeno politico congiunturale, ma una reazione
profonda che va letta entro un contesto evolutivo di lungo periodo. In questo
senso, i discorsini mielosi dei «democratici umanitari» lasciano il tempo che
trovano perché sono fondati su valutazioni di corto periodo e perché nascondono
una sostanziale ipocrisia. Lo stanziamento provvisorio o definitivo dei
migranti che sono giunti in Europa negli ultimi vent’anni è pesato interamente
sulle aree urbane povere e sui ceti sociali più disagiati.
Inoltre:
è vero che il sistema previdenziale italiano può reggersi soltanto grazie
all’apporto dei lavoratori migranti, ed è vero che un certo quantitativo di
migranti è indispensabile per l’equilibrio economico di paesi demograficamente
declinanti. Ma noi dobbiamo affrontare una prospettiva più lunga: quella di una
migrazione prolungata e massiccia, provocata dal collasso dell’ecologia di
intere aree africane, e dal caos politico provocato dalle guerre che
sconvolgono aree crescenti del continente euroasiatico.
Siamo
entrati in un processo di riequilibrio demografico planetario che non può
essere gestito con gli strumenti della politica democratica. E infatti la
democrazia sta crollando ovunque per lasciare il passo alla violenza del
razzismo e alla guerra. Al di là delle politiche di sterminio che il governo di
Salvini sta applicando nel Mediterraneo, quale strategia si sta delineando per
il prossimo futuro?
Il
disegno di Salvini è quello di ricostituire condizioni di controllo militare
del territorio africano da cui la migrazione deriva. Quanto agli investimenti
economici nel territorio africano, sarebbe ingenuo credere che questi abbiano
un carattere benevolo. Gli investimenti europei non hanno mai smesso di
sfruttare lavoro a basso costo e territori ricchissimi di materie prime. Si
tratta di un progetto colonialista classico di sfruttamento economico e di
intervento militare nel cuore dell’Africa, che ben presto porterà a una serie
di conflitti intereuropei per la spartizione del continente. La Cina segue con
attenzione questo processo, e non possiamo escludere che nel medio periodo il
continente africano diventi il territorio di una guerra sinoeuropea o
addirittura intereuropea (si veda a tal proposito questo interessante documento
neocolonialista di Francesco Sisci, che interpreta con intelligenza il punto di
vista cinese).
Mi
fa orrore dire quello che sto dicendo, ma l’orrore non sta nelle mie parole
bensì nella realtà che esse descrivono: l’Olocausto del secolo passato rischia
di impallidire di fronte alle proporzioni dell’Olocausto che è già iniziato nel
Mediterraneo e che rischia di estendersi e prolungarsi negli anni che verranno.
E non dovremmo illuderci che l’orrore possa essere confinato al territorio
oltremare: il terrorismo islamico del primo decennio del secolo è stato solo
l’annuncio del terrorismo di nuova generazione che colpirà le metropoli europee
nel corso della guerra coloniale che stiamo avviando, come prevede Zbigniew
Brzezinski nel saggio Toward a Global Realignment.
Per
ricostruire la genealogia della situazione in cui ci troviamo oggi, dobbiamo
risalire ai cinque secoli di colonialismo e di terrore bianco contro le
popolazioni del pianeta. L’internazionalismo fu un tentativo di affrontare
quell’eredità in modo consapevole e strategicamente solidale, attraverso una
redistribuzione egualitaria delle risorse e attraverso una restituzione di
quello che lo schiavismo e lo sfruttamento coloniale hanno sottratto ai popoli
del sud del mondo. Ma l’eclisse della prospettiva comunista ha aperto le porte
di un inferno nel quale tutti rischiamo di sprofondare. A meno che…
A
meno che cosa?
Evoluzione
e coscienza etica
A
questo punto il Marx evoluzionista che abbiamo deciso di adottare ci suggerisce
due cose: la prima è che non ci sarà resistenza politica o militare contro il
nazismo, perché la guerra contro il caos è solo uno strumento del caos, e anche
perché il potere attuale non è fondato sulla volontà politica, ma su una catena
di automatismi tecno-linguistici che vanno smantellati linguisticamente e
tecnicamente.
La
seconda è che solo una forza più grande e più adatta a sopravvivere potrà
sconfiggere e rovesciare il nazismo tecnologizzato: e quella forza è la
coscienza dell’intelletto generale.
Non
c’è dubbio sul fatto che l’intelletto generale (milioni di lavoratori cognitivi
nella rete) è più grande e più forte del sistema tecnocapitalista, dal momento
che soltanto l’intelletto generale può generare, produrre e gestire giorno dopo
giorno quel sistema. Ma le condizioni
politiche entro cui questo accade non sono state decise dall’intelletto
generale, che anzi è costretto a subirne le conseguenze nelle forme di
esistenza (materiale e soprattutto psichica) dei soggetti cognitivi. Soltanto
l’azione consapevole e coordinata dei lavoratori cognitivi può dunque
decostruire e riprogrammare l’automa tecnico che produce miseria, alienazione e
infine guerra. Ma il punto è questo: può il lavoro cognitivo esprimere quella
coscienza collettiva che, sola, può permettergli di organizzarsi autonomamente,
cioè di esercitare la sua funzione di creazione continua del mondo al di fuori
del comando capitalistico e della funzione profitto?
Recentemente
la mia attenzione è stata catturata da un evento che si è verificato negli
uffici della Google corporation. Quattromila dipendenti della più potente
centrale della net-economica globale hanno firmato una lettera di protesta
contro la decisione dell’azienda di collaborare con il Pentagono alla dotazione
di intelligenza artificiale per i droni da combattimento. Dopo alcuni mesi di
discussione, Google ha deciso di rinunciare all’accordo con il Pentagono che
rappresentava un grosso affare sul piano economico, ma rischiava di aprire un
conflitto di lungo periodo con i suoi lavoratori e di rovinare l’immagine di
un’azienda che si vanta di fare soltanto del bene.
Questo
episodio mi è parso segnalare una cosa importantissima: esiste la possibilità
di una fuoriuscita dall’inferno in cui il neoliberismo prima e il
social-nazionalismo adesso ci hanno proiettato. Sta nelle mani e nelle teste di
alcuni milioni di lavoratori cognitivi che posseggono la potenza di bloccare,
sabotare, smantellare gli automatismi tecnici che muovono la macchina globale.
E posseggono anche la potenza per riprogrammare la macchina globale producendo
automatismi tecnici guidati da un principio di sobrietà, di uguaglianza e di
pace.
Ma
quella possibilità non è affatto a portata di mano: perché la soggettività che
ne possiede la chiave è al momento socialmente frammentata, psichicamente
fragile e incapace di solidarietà. Quattromila persone che lavorano per Google
hanno firmato una lettera di protesta contro la subordinazione del loro lavoro
a un’azienda militare, certo; ma gli altri settantaseimila dipendenti dell’azienda,
quella lettera non l’hanno firmata. Solo un risveglio della coscienza etica di
alcuni milioni di lavoratori cognitivi sparsi nel mondo ma connessi nella rete
può attualizzare la possibilità.
DOBBIAMO
CHIEDERCI SE I LAVORATORI COGNITIVI
DELLA
GENERAZIONE IPERCONNESSA
SONO
IN GRADO DI ESPRIMERE COSCIENZA
E PARTICOLARMENTE COSCIENZA COLLETTIVA
L’evoluzione
è un processo che si svolge secondo linee che sono essenzialmente indipendenti
dalla volontà umana; ma nella sfera umana la coscienza ha una funzione
evolutiva importante. La coscienza non è un effetto della volontà, bensì una
funzione interna al processo cognitivo, che rende possibile la produzione e la
riproduzione del dominio.
Cosa
significa coscienza? Per fare semplice una questione infinitamente complessa,
dirò che coscienza è la funzione di auto-situazionamento di un organismo. Ogni
organismo è situazionato: gli uccelli volano in cielo e i pesci nuotano in
mare; grazie alla coscienza, gli umani possono modificare il loro situazionamento
nel contesto e possono modificare il contesto stesso in funzione dei loro
interessi e delle loro intenzioni. La coscienza implica un porsi all’esterno di
sé e agire sul sé situazionato.
Le
formiche, le api, i ragni svolgono azioni estremamente elaborate, coordinate,
in qualche modo intelligenti: ma non sono in grado di modificare le condizioni
del loro lavoro, non sono in grado di riflettere e di agire coscientemente.
I
lavoratori cognitivi sono posti nella condizione di produrre software,
progetti, oggetti, algoritmi, sostanze e relazioni. Il loro comportamento
coordinato non è dissimile da quello delle formiche o delle api: la conoscenza
(o piuttosto le informazioni funzionali inscritte nel loro cervello collettivo)
gli permette di svolgere la funzione che è stata loro assegnata dall’ambiente
sociale in cui si trovano, ma la conoscenza non gli permette di cambiare le
condizioni stesse in cui si trovano.
Se
mi è permesso di saltare molti passaggi logici, direi che la coscienza è la
funzione di mutamento del processo cognitivo che si manifesta in condizione di
sofferenza. Il disagio, la sofferenza psichica, la non adesione al proprio
essere situazionato, la percezione dolorosa del dolore dell’altro, è ciò che
spinge gli umani a compiere un passaggio che né le formiche né i ragni sono in
grado di compiere: riprogrammare il contesto. Riprogrammare il funzionamento
semiotico, psichico economico dei segni prodotti dall’uomo. Riprogrammare il
contesto patogeno per non riprodurre all’infinito la sofferenza.
La
coscienza etica non è adesione volontaristica a valori universali, come
pretendeva il pensiero universalista, illuminista o socialista, ma è un effetto
della distonia estetica, del disagio psichico, della sofferenza. Ora dobbiamo
chiederci se i lavoratori cognitivi della generazione iperconnessa sono in
grado di esprimere coscienza e particolarmente coscienza collettiva. È su
questo punto che la nostra ricerca deve concentrarsi.
L’APOCALISSE IN CORSO COSTITUISCE LA
CONDIZIONE
ENTRO LA QUALE PUÒ VERIFICARSI (O PUÒ NON
VERIFICARSI)
IL RISVEGLIO DELLA COSCIENZA ETICA
DEL LAVORO COGNITIVO
Sappiamo
che l’intensificarsi della connessione e l’accelerazione degli stimoli
infoneurali sta producendo un aumento strabiliante della sofferenza psichica.
Si vedano a questo proposito i dati raccolti negli ultimi decenni da Monitoring
the Future (dal 1976 al 2015), dal Youth Risk Behavior Surveillance System (dal
1991) e dal General Social Survey (dal 1972), riportati da Jean M. Twenge nel
libro Iperconnessi (Einaudi). Da questi dati emerge con chiarezza un incremento
della sofferenza psichica, della propensione al suicidio e alla solitudine.
Queste tendenze dovrebbero spingere gli iperconnessi (e quindi in primo luogo
coloro che quotidianamente creano e sviluppano l’automa globale produttivo) a
cercare un mutamento. Ma purtroppo cresce al tempo stesso un’incompetenza
emozionale e relazionale che rende gli iperconnessi incapaci di solidarietà, di
empatia e di azione conflittuale. Il conflitto sembra essere intollerabile alla
snowflake generation.
In
questo scarto tra sofferenza e incompetenza emozionale si gioca probabilmente
la possibilità di un processo di autorganizzazione del lavoro cognitivo che
renda possibile (o impossibile?) nel prossimo futuro lo smantellamento dell’automa
globale capitalista e la sua riprogrammazione secondo linee di sobrietà,
egualitarismo e solidarietà.
L’apocalisse
in corso costituisce la condizione entro la quale può verificarsi (o può non
verificarsi) il risveglio della coscienza etica del lavoro cognitivo. Il trauma
che si sta producendo non sconvolgerà soltanto le strutture della vita sociale,
le istituzioni politiche ed economiche, ma anche l’equilibrio psicocognitivo. È
forse sul piano neuroevolutivo che il prossimo passaggio storico si
verificherà.
Il nuovo libro
Futurabilità di Franco «Bifo» Berardi uscirà a fine agosto per la collana Not
di NERO (not.neroeditions.com)
immagine: Takeshi Murata, Problem Areas