sabato 7 luglio 2018

abstract\ PROGETTO SOCIAL WALLET: DA WELFARE A COMMONFARE

-l. chiappini-

FINANZA COLLETTIVA CONTRO GLI UNICORNI

\nuovi modi di produzione e consumo culturale emergono dalla fase avanzata del postfordismo per ristrutturare una nuova divisione del lavoro su scala mondiale \se immaginassimo queste trasformazioni una ripetizione delle dinamiche fordiste perderemmo di vista le novità introdotte sul piano globale \il mancato approfondimento delle mutate condizioni economiche comprometterebbe la spinta radicale della critica lasciando i nuovi territori socio-tecnologici al pionierismo capitalista


CommonFare è una piattaforma bottom-up, che adotta un approccio cooperativo per un tipo di welfare complementare a quello tradizionale. La sua missione è la diffusione di una forma partecipativa di assistenza sociale basata su un network collaborativo, atto a sviluppare nuovi modi per rispondere collettivamente ai problemi quotidiani. Un esempio delle pratiche adottate da CommonFare potrebbe essere il concetto di commoncoin. Questa forma di moneta collettiva è più un mezzo di scambio per creare circuiti economici alternativi, che un deposito di valore come la criptovaluta ordinaria.
Simile a commoncoin, è il fenomeno dei broodfonds Olandesi, un collettivo che consente ad imprenditori indipendenti di fornirsi reciprocamente un congedo per malattia temporaneo. Il minimo raccomandato è di 25 persone; la dimensione massima è di 50 persone. Da questa prospettiva, CommonFare può essere visto come una versione bottom-up auto-organizzata dello stato sociale. Un’altra iniziativa è il social wallet. Tale progetto illustra le potenzialità implicite di una rete come CommonFare enunciate pocanzi. La domanda che sta alla base di questo tipo di iniziative è: come ripensare l’estrema individualizzazione del soggetto in una forma sociale di finanza o reddito? Questa è anche la domanda che Andrea Fumagalli ha posto nel suo ultimo libro, Economia politica del comune.
Per capire come il social wallet può rispondere a questa domanda, e quali alternative presenta, consideriamo questo dispositivo più da vicino. Come un portafoglio tradizionale, da cui prende il nome, un social wallet offre un posto sicuro in cui conservare denaro o altre forme di valuta. Tuttavia, a differenza di un portafoglio tradizionale, il social wallet non solo permette di archiviare e conservare valore per usarlo nel momento del bisogno, ma anche di condividerlo e renderlo accessibile a un gruppo più ampio di persone – come un collettivo o una comunità che ha interessi in comune o che lavora su uno stesso progetto – creando nuove possibilità comunitarie e in un certo qual modo pubbliche, ma ritenendo comunque alcune caratteristiche del privato cui s’ispira. Utilizzando infrastrutture digitali a questo scopo, il social wallet rende la condivisione più facile e permette di immagazzinare valore in forme più varie e con una capacità potenzialmente illimitata.
La fase sperimentale del social wallet è iniziata nel 2013 come parte di un progetto dell’Unione Europea chiamato D-CENT. Il progetto in sé puntava alla creazione di uno strumento di policy-making collaborativo, per migliorare la progettazione partecipativa e i dispositivi digitali per consentire ai cittadini di esprimere le loro opinioni, come strumenti decentralizzati per coinvolgere le persone nella partecipazione pubblica. In questo senso il progetto era volto a costruire strumenti per la privacy, per la democrazia diretta e per l’empowerment economico. Uno di questi strumenti era un portafoglio digitale, inizialmente chiamato freecoin. Originariamente, questo dispositivo avrebbe dovuto funzionare principalmente come un incentivo per i privati a partecipare a processi decisionali pubblici. Mentre questa visione iniziale del dispositivo era strutturata come parte di un’applicazione più massiccia e monolitica – vale a dire un progetto software che includeva un sistema per l’autenticazione e l’autorizzazione, col passare del tempo il sistema è stato progressivamente suddiviso in più moduli, rendendolo più agile e adattabile.
Al momento in cui scriviamo, nel luglio 2018, il social wallet è ancora in una fase pilota. Il nucleo dello strumento è completamente funzionale, ma gli sviluppatori continuano a migliorare e ad aggiungere funzionalità in modo dinamico, come mi ha spiegato Aspasia Beneti, capo sviluppatore dello strumento di Dyne.org in un’intervista:
“Uno dei piloti è Macao, a Milano. È un collettivo di artisti. Si organizzano in modo molto progressivo, ad esempio con la distribuzione di un reddito base ogni mese. Stanno provando cose diverse. Prima c’era una persona che compilava Excel-file e teneva le note manualmente. Ora, usano un social wallet interno per essere più efficienti. Hanno un portafoglio completo in funzione, che parte da un codice di base specialmente adattato alle loro esigenze. Lo usano per distribuire il reddito base, ma anche per scambiare monete quando organizzano eventi, e possono anche guadagnare più monete, ad esempio occupandosi di spazi pubblici o contribuendo ai beni comuni urbani.”
Macao è una piccola comunità che utilizza il proprio portafoglio sociale per scopi interni. Ciò significa che non hanno bisogno di un intero sistema blockchain per organizzare le loro attività. Il collettivo ha scelto di concentrarsi sulla trasparenza interna. Uno dei pilastri del social wallet, infatti, è mantenere il sistema semplice da usare e riconfigurare per i vari utenti. In questo senso anche il progetto di Macao dipende dall’API del social wallet, il componente principale, a partire da cui chiunque può creare la propria interfaccia in modo generico e configurabile.
Partendo da questa descrizione, il social wallet potrebbe apparire come un prodotto di nicchia per un collettivo di artisti. Ma questa interpretazione sarebbe limitata, dal momento che questo dispositivo ha ben più interessanti possibilità, e infatti produce già una riappropriazione critica di spazi e alternative tecno-socio-economiche. Per cogliere meglio queste possibilità, vogliamo considerare un altro esempio, il Santarcangelo Festival, uno spin-off di Macao.
Fondato nel 1975, Santarcangelo è uno dei festival teatrali più noti in Italia. Per l’edizione 2018 si attendono circa 10.000 visitatori. Mentre anche questo caso si sforza di coinvolgere i cittadini nella sperimentazione tecno-sociale del social wallet, la differenza principale con il caso di Macao è il tentativo di essere più interattivi con visitatori e rivenditori. Ad esempio, Santarcangelo ha un’app per la realtà augmentata che consente di leggere il programma del festival e la Santa Coin che si basa sull’API del social wallet. Uno degli aspetti più interessanti è l’adattamento per le persone che non hanno uno smartphone. Oltre alla versione digitale, Santarcangelo offre un QR code, che può essere stampato su carta. All’ingresso, i visitatori possono scambiare euro per Santa Coin. La moneta può essere utilizzata nei bar e nei negozi, dal parrucchiere a caffè e altri punti vendita che hanno aderito. Dal punto di vista degli organizzatori, questo è il modo più semplice per verificare quanto il festival fattura e in quale misura l’iniziativa ha un impatto sull’economia locale.
In questo senso, ci si potrebbe chiedere: Qual è la differenza tra un social wallet e un token? Beneti spiega:
“Ci sono molte somiglianze tra i due. Una delle principali differenze è che il social wallet è digitalizzato, quindi non hai la plastica, come nel caso dei token o delle monete-gettone che si usano ai festival e altri eventi. È più sostenibile dal punto di vista ambientale. Potrebbe essere qualsiasi cosa, un codice QR stampato su un pezzo di carta. È riutilizzabile, quindi puoi usarlo come portafoglio. Come portafoglio elettronico, è un’estensione del token perché puoi usarlo di nuovo e mettere più soldi su di esso. Puoi controllare le tue transazioni e puoi scannerizzarle. Penso che questo sia noto come top-up in Inghilterra. È più trasparente per gli utenti e il festival”.

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