sabato 15 dicembre 2018

scie\ LA VARIABILITÀ DELLE INVARIANTI -Sandro Mezzadra- critica marxiana del capitalismo globale

Di che cosa siamo chiamati a parlare? Della critica del nostro presente facendo tesoro della lezione di Karl? O piuttosto della critica che quest’ultimo ha articolato nel corso della sua vita, in un tempo ormai lontano, di un modo di produzione capitalistico fin dalla sua origine “globale”? 
Trascorsa l’epoca della damnatio memoriae, quando la semplice menzione di Marx (in particolare in Italia) determinava commiserazione o alzate di ciglia, è bene resistere alla tentazione di applicare linearmente all’analisi del presente le categorie da lui elaborate. Profondamente “intempestivo” (…) Marx ha intrattenuto un rapporto complesso – di adesione e di scarto, di appropriazione e di sottrazione – con il proprio tempo. Il suo pensiero ne è fortemente segnato: leggere (o rileggere) oggi le sue opere significa esporsi a questa intempestività



Una lettura di Marx oggi piuttosto diffusa, tanto in Germania quanto nel mondo anglofono, una lettura che si definisce “nuova”, afferma che la critica marxiana assume come proprio oggetto “le determinanti essenziali del capitalismo, quegli elementi che devono rimanere invarianti indipendentemente da ogni variazione storica, cosicché si possa parlare di ‘capitalismo’ in quanto tale’” [M. Heinrich, 2012, p. 31]. Ora, che vi sia qualcosa di invariante nel capitalismo è evidente. Ma questa formulazione, qui ricordata per via della sua influenza, riduce la critica dell’economia politica al terreno della logica e azzera il rilievo di intere sezioni del Capitale – quella sulla “cosiddetta accumulazione originaria”, ad esempio, ma anche e soprattutto l’analisi della transizione dalla manifattura alla “grande industria”, che costituisce metodologicamente un modello per la messa a fuoco dei caratteri specifici assunti dal capitalismo in un’epoca storica (la metà dell’Ottocento) e in un luogo (l’Inghilterra) determinati. Più in generale, oscura un fatto per me cruciale, che Marx ha definito (fin dalle pagine dedicate alla borghesia nel Manifesto) con una chiarezza senza pari: ovvero il carattere rivoluzionario dell’oggetto della sua critica rivoluzionaria, il capitalismo.
Nei riguardi di quello che Marx chiama il “vecchio modo di vivere” (una formula in cui abbiamo imparato a ricomprendere configurazioni trascorse dello stesso rapporto di capitale) “il capitale opera distruttivamente”, si legge nei Grundrisse: esso “attua una rivoluzione permanente, abbatte tutti gli ostacoli che frenano lo sviluppo delle forze produttive, la dilatazione dei bisogni, la varietà della produzione e lo sfruttamento e lo scambio delle forze della natura e dello spirito” [K. Marx 1978, vol. II, p. 12] . Pensare con Marx oggi significa pensare (da rivoluzionari) questa “rivoluzione permanente”, indagare le trasformazioni che investono gli stessi “elementi invarianti” del capitalismo, dislocandoli e costringendoci a ridefinire la portata e l’oggetto della critica. Ogni volta, del resto, occorre ripetere e aggiornare un gesto fondamentale di Marx, quella che si è tentati di definire il suo rifiuto ante litteram di ogni “nazionalismo metodologico”: pensare con Marx significa cioè dispiegare la critica sul “mercato mondiale”. Quella di Weltmarkt  è una categoria che Marx definisce nel laboratorio filosofico giovanile a partire da un’originale riflessione sul suo nesso con la Weltgeschichte, la “storia del mondo” (nell’Ideologia tedesca, in particolare, e poi ancora nel Manifesto), per riempirla successivamente di determinazioni con il lavoro giornalistico degli anni Cinquanta per la New York Daily Tribune  [cfr. S. Mezzadra e M. Espinoza Pino, Carocci, 2018, pp. 177-208]. Nei Grundrisse il “mercato mondiale” appare come sintesi e condizione di possibilità (come “presupposto e risultato”) della “rivoluzione permanente” attuata dal capitale, della sua strutturale determinazione espansiva: “la tendenza a creare il mercato mondiale”, scrive qui Marx, “è data immediatamente nel concetto di capitale. Ogni limite si presenta qui come ostacolo da superare” [K. Marx, cit., vol. II, p. 9].
Ecco dunque un primo elemento “invariante” da inserire in una definizione di capitalismo coerente con la critica marxiana (non senza avvertire che il concetto di capitalismo non rientra nel lessico di Marx, che parlava piuttosto di “modo di produzione capitalistico” o di “formazione sociale” capitalistica). Il capitale come rivoluzione permanente costruisce la sua storia come “storia mondiale” e produce i propri spazi nell’orizzonte del “mercato mondiale”. Una volta posto quest’ultimo come “invariante” risalta immediatamente, tuttavia, il carattere astratto (che non significa “irreale”, evidentemente, considerata l’intensità della riflessione di Marx sugli effetti di realtà dell’astrazione) di questa invarianza. Il “mercato mondiale” cambia radicalmente nella storia, a partire dal momento della sua apertura attraverso la conquista, il colonialismo e il genocidio descritti nel capitolo 24 del primo libro del Capitale. L’organizzazione dei cicli egemonici, per riprendere un tema caro a Giovanni Arrighi, l’imperialismo, ma anche l’insorgenza anti-coloniale e i movimenti di liberazione ne modificano profondamente tanto la costituzione quanto l’impatto all’interno delle società dominate dal capitale (perché questo è un altro aspetto di formidabile originalità della riflessione marxiana sul mercato mondiale: all’interno del capitalismo la stessa esperienza dei singoli ne è condizionata). Certo un’invariante (poiché non è dato capitale nella sua accezione moderna senza di esso), il mercato mondiale – se è consentito il gioco di parole – si presenta come radicalmente variabile nella storia. E di questa variabilità dell’invariante la critica deve farsi carico.
Vorrei indicare due altri elementi “invarianti” che Marx ci propone per la definizione del capitalismo, due elementi fondamentali che condividono con il mercato mondiale, sia pure in modi diversi, il paradosso dalla variabilità dell’invariante. “Il movimento del capitale”, scrive notoriamente Marx, “è senza misura” [K. Marx, 1975, p. 184]. “Soltanto il moto incessante del guadagnare” è il fine del capitalista [Ivi, p. 185]. Se ne potrebbero derivare considerazioni sulla soggettività di quest’ultimo, che come l’uomo di cui parla Hobbes negli Elementi di legge naturale e politica appare impegnato in una corsa che non ha “altra meta, né altro premio che l’essere davanti” [Th. Hobbes, 1985, p. 75]. Più rilevante in questa sede è sottolineare come la valorizzazione e l’accumulazione senza limiti di capitale siano certamente un tratto costitutivo del capitalismo, di cui definiscono in termini molto generali la norma (nel doppio significato di “normalità” e di “regola” fondamentale, da imporre su e attraverso altre regole). Il valore, scrive ancora Marx, “si trasforma in un soggetto automatico” passando attraverso “le forme fenomeniche particolari assunte alternativamente nel ciclo della sua vita” [K. Marx, Il capitale, Libro primo, cit., p. 186]. Ma queste forme fenomeniche (il denaro, la merce) rimandano a processi specifici di produzione, storicamente mutevoli tanto quanto l’alternanza delle “forme fenomeniche” attraverso cui si dispiega la valorizzazione. L’accumulazione senza limiti di capitale muta dunque di qualità e significato al ritmo di queste mutazioni storiche.
Non si tratta del resto di una trasformazione inerente soltanto al movimento “automatico” del valore, come è evidente laddove si consideri il terzo elemento “invariante” del capitalismo nella prospettiva marxiana: il capitale, si legge nelle ultime pagine del Capitale, “non è una cosa, ma un rapporto sociale tra persone mediato da cose” [Ivi, p. 941]. In questione sono qui le figure soggettive il cui rapporto costituisce il capitale, e la convinzione di Marx (da saggiare nel nostro presente) è che l’“autovalorizzazione” del capitale non sia altro che un’apparenza – e che le fonti del valore risiedano al di fuori di esso, nel suo “incontro” con l’altro da sé, ovvero con il lavoro. È quasi inutile aggiungere come da questo punto di vista siano ancora più intense e drammatiche (nel senso che incidono corpi e “anime”) le trasformazioni del “rapporto”, ben oltre la definizione che ne diede lo stesso Marx nella terza sezione del quarto capitolo del Capitale, dedicato alla “compera e vendita della forza-lavoro” (ovvero all’analisi del contratto di lavoro salariato “libero”).
Mettere a confronto Marx “con il nostro tempo” significa per me estrapolare dal suo tempo queste tre “invarianti” profondamente variabili e porre domande essenziali rispetto alla forma che oggi assumono. Che cos’è il “mercato mondiale”, come si organizza, attraverso quali tensioni e squilibri di potere si articola nel tempo della globalizzazione e delle sue periodiche crisi? Come si determinano la valorizzazione e l’accumulazione del capitale in un’epoca caratterizzata da processi di finanziarizzazione che sembrano riproporre ed esaltare l’immagine del valore come “soggetto automatico”? E a fronte di questi processi il capitale continua a essere un rapporto sociale? Come si trasformano, in particolare le figure soggettive di questo rapporto, che – nella prospettiva marxiana – non può che essere segnato dallo sfruttamento e dall’antagonismo?


M. Heinrich, An Introduction to the Three Volumes of Karl Marx’s Capital, New York: Monthly Review Press, 2012

K. Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica, 2 voll., Firenze, La Nuova Italia, 1978

S. Mezzadra e M. Espinoza Pino, Cartografie globali. Il concetto di mercato mondiale in Marx tra giornalismo e teoria, in S. Petrucciani (a cura di), Il pensiero di Karl Marx. Filosofia, politica, economia, Roma, Carocci, 2018

K. Marx, Il capitale. Critica dell’economia politica, Libro primo, Il processo di produzione del capitale, Torino, Einaudi, 1975

Th. Hobbes, Elementi di legge naturale e politica, Firenze, La Nuova Italia, 1985
  
dall'intervento PER LA CRITICA DEL CAPITALISMO GLOBALE: UN PROGETTO “MARXIANO”?presentato al convegno internazionale “200 Marx. Il futuro di Karl”, Roma, 14 dicembre 2018   (per la lettura integrale EuroNomade)