Di che cosa siamo chiamati
a parlare? Della critica del nostro presente facendo tesoro della lezione di
Karl? O piuttosto della critica che quest’ultimo ha articolato nel corso della
sua vita, in un tempo ormai lontano, di un modo di produzione capitalistico fin
dalla sua origine “globale”?
Trascorsa l’epoca della damnatio memoriae, quando la semplice menzione di Marx (in particolare in Italia) determinava commiserazione o alzate di ciglia, è bene resistere alla tentazione di applicare linearmente all’analisi del presente le categorie da lui elaborate. Profondamente “intempestivo” (…) Marx ha intrattenuto un rapporto complesso – di adesione e di scarto, di appropriazione e di sottrazione – con il proprio tempo. Il suo pensiero ne è fortemente segnato: leggere (o rileggere) oggi le sue opere significa esporsi a questa intempestività
Trascorsa l’epoca della damnatio memoriae, quando la semplice menzione di Marx (in particolare in Italia) determinava commiserazione o alzate di ciglia, è bene resistere alla tentazione di applicare linearmente all’analisi del presente le categorie da lui elaborate. Profondamente “intempestivo” (…) Marx ha intrattenuto un rapporto complesso – di adesione e di scarto, di appropriazione e di sottrazione – con il proprio tempo. Il suo pensiero ne è fortemente segnato: leggere (o rileggere) oggi le sue opere significa esporsi a questa intempestività
Una
lettura di Marx oggi piuttosto diffusa, tanto in Germania quanto nel mondo
anglofono, una lettura che si definisce “nuova”, afferma che la critica
marxiana assume come proprio oggetto “le determinanti essenziali del
capitalismo, quegli elementi che devono rimanere invarianti indipendentemente
da ogni variazione storica, cosicché si possa parlare di ‘capitalismo’ in
quanto tale’”
[M.
Heinrich, 2012, p. 31]. Ora,
che vi sia qualcosa di invariante nel capitalismo è evidente. Ma questa
formulazione, qui ricordata per via della sua influenza, riduce la critica
dell’economia politica al terreno della logica e azzera il rilievo di intere
sezioni del Capitale – quella
sulla “cosiddetta accumulazione originaria”, ad esempio, ma anche e soprattutto
l’analisi della transizione dalla manifattura alla “grande industria”, che
costituisce metodologicamente un modello per la messa a fuoco dei caratteri
specifici assunti dal capitalismo in un’epoca storica (la metà dell’Ottocento)
e in un luogo (l’Inghilterra) determinati. Più in generale, oscura un fatto per
me cruciale, che Marx ha definito (fin dalle pagine dedicate alla borghesia nel Manifesto) con una
chiarezza senza pari: ovvero il carattere rivoluzionario
dell’oggetto della sua critica rivoluzionaria,
il capitalismo.
Nei
riguardi di quello che Marx chiama il “vecchio modo di vivere” (una formula in
cui abbiamo imparato a ricomprendere configurazioni trascorse dello stesso
rapporto di capitale) “il capitale opera distruttivamente”, si legge nei Grundrisse: esso
“attua una rivoluzione permanente, abbatte tutti gli ostacoli che frenano lo
sviluppo delle forze produttive, la dilatazione dei bisogni, la varietà della
produzione e lo sfruttamento e lo scambio delle forze della natura e dello
spirito”
[K. Marx 1978, vol. II, p. 12] . Pensare con Marx
oggi significa pensare (da rivoluzionari) questa “rivoluzione permanente”,
indagare le trasformazioni che investono gli stessi “elementi invarianti” del
capitalismo, dislocandoli e costringendoci a ridefinire la portata e l’oggetto
della critica. Ogni volta, del resto, occorre ripetere e aggiornare un gesto
fondamentale di Marx, quella che si è tentati di definire il suo rifiuto ante litteram di
ogni “nazionalismo metodologico”: pensare con Marx significa cioè dispiegare la
critica sul “mercato mondiale”. Quella di Weltmarkt
è una categoria che Marx definisce nel laboratorio filosofico giovanile a
partire da un’originale riflessione sul suo nesso con la Weltgeschichte, la
“storia del mondo” (nell’Ideologia tedesca,
in particolare, e poi ancora nel Manifesto),
per riempirla successivamente di determinazioni con il lavoro giornalistico
degli anni Cinquanta per la New York Daily Tribune [cfr. S. Mezzadra e M. Espinoza Pino, Carocci, 2018, pp.
177-208].
Nei Grundrisse il
“mercato mondiale” appare come sintesi e condizione di possibilità (come
“presupposto e risultato”) della “rivoluzione permanente” attuata dal capitale,
della sua strutturale determinazione espansiva: “la tendenza a creare il mercato mondiale”,
scrive qui Marx, “è data immediatamente nel concetto di capitale. Ogni limite
si presenta qui come ostacolo da superare” [K. Marx, cit., vol. II, p. 9].
Ecco
dunque un primo elemento “invariante” da inserire in una definizione di
capitalismo coerente con la critica marxiana (non senza avvertire che il
concetto di capitalismo non rientra nel lessico di Marx, che parlava piuttosto
di “modo di produzione capitalistico” o di “formazione sociale” capitalistica).
Il capitale come rivoluzione permanente costruisce la sua storia come “storia
mondiale” e produce i propri spazi nell’orizzonte del “mercato mondiale”. Una
volta posto quest’ultimo come “invariante” risalta immediatamente, tuttavia, il
carattere astratto (che non significa “irreale”, evidentemente, considerata
l’intensità della riflessione di Marx sugli effetti di realtà dell’astrazione)
di questa invarianza. Il “mercato mondiale” cambia radicalmente nella storia, a
partire dal momento della sua apertura attraverso la conquista, il colonialismo
e il genocidio descritti nel capitolo 24 del primo libro del Capitale.
L’organizzazione dei cicli egemonici, per riprendere un tema caro a Giovanni
Arrighi, l’imperialismo, ma anche l’insorgenza anti-coloniale e i movimenti di
liberazione ne modificano profondamente tanto la costituzione quanto l’impatto
all’interno delle società dominate dal capitale (perché questo è un altro
aspetto di formidabile originalità della riflessione marxiana sul mercato
mondiale: all’interno del capitalismo la stessa esperienza dei singoli ne è
condizionata). Certo un’invariante (poiché non è dato capitale nella sua
accezione moderna senza di esso), il mercato mondiale – se è consentito il
gioco di parole – si presenta come radicalmente variabile nella storia. E di
questa variabilità dell’invariante la
critica deve farsi carico.
Vorrei
indicare due altri elementi “invarianti” che Marx ci propone per la definizione
del capitalismo, due elementi fondamentali che condividono con il mercato
mondiale, sia pure in modi diversi, il paradosso dalla variabilità
dell’invariante. “Il movimento del capitale”, scrive notoriamente Marx, “è
senza misura” [K.
Marx, 1975, p. 184]. “Soltanto il moto
incessante del guadagnare” è il fine del capitalista [Ivi, p. 185]. Se ne potrebbero
derivare considerazioni sulla soggettività di quest’ultimo, che come l’uomo di
cui parla Hobbes negli Elementi di legge naturale e
politica appare impegnato in una corsa che non ha “altra meta,
né altro premio che l’essere davanti” [Th. Hobbes, 1985, p. 75]. Più rilevante in
questa sede è sottolineare come la valorizzazione e l’accumulazione senza
limiti di capitale siano certamente un tratto costitutivo del capitalismo, di
cui definiscono in termini molto generali la norma (nel
doppio significato di “normalità” e di “regola” fondamentale, da imporre su e
attraverso altre regole). Il valore, scrive ancora Marx, “si trasforma in un
soggetto automatico” passando attraverso “le forme fenomeniche particolari
assunte alternativamente nel ciclo della sua vita” [K. Marx, Il capitale, Libro
primo, cit., p. 186].
Ma queste forme fenomeniche (il denaro, la merce) rimandano a processi
specifici di produzione,
storicamente mutevoli tanto quanto l’alternanza delle “forme fenomeniche”
attraverso cui si dispiega la valorizzazione. L’accumulazione senza limiti di
capitale muta dunque di qualità e significato al ritmo di queste mutazioni
storiche.
Non
si tratta del resto di una trasformazione inerente soltanto al movimento
“automatico” del valore, come è evidente laddove si consideri il terzo elemento
“invariante” del capitalismo nella prospettiva marxiana: il capitale, si legge
nelle ultime pagine del Capitale, “non è
una cosa, ma un rapporto sociale tra
persone mediato da cose”
[Ivi, p.
941].
In questione sono qui le figure soggettive il cui rapporto costituisce il
capitale, e la convinzione di Marx (da saggiare nel nostro presente) è che
l’“autovalorizzazione” del capitale non sia altro che un’apparenza –
e che le fonti del valore risiedano al di fuori di esso, nel suo “incontro” con
l’altro da sé, ovvero con il lavoro. È quasi
inutile aggiungere come da questo punto di vista siano ancora più intense e
drammatiche (nel senso che incidono corpi e “anime”) le trasformazioni del
“rapporto”, ben oltre la definizione che ne diede lo stesso Marx nella terza
sezione del quarto capitolo del Capitale,
dedicato alla “compera e vendita della forza-lavoro” (ovvero all’analisi del
contratto di lavoro salariato “libero”).
Mettere a
confronto Marx “con il nostro tempo”
significa per me estrapolare dal suo tempo
queste tre “invarianti” profondamente variabili e porre domande essenziali
rispetto alla forma che oggi assumono. Che cos’è il “mercato mondiale”, come si
organizza, attraverso quali tensioni e squilibri di potere si articola nel
tempo della globalizzazione e delle sue periodiche crisi? Come si determinano
la valorizzazione e l’accumulazione del capitale in un’epoca caratterizzata da
processi di finanziarizzazione che sembrano riproporre ed esaltare l’immagine
del valore come “soggetto automatico”? E a fronte di questi processi il
capitale continua a essere un rapporto sociale? Come si trasformano, in
particolare le figure soggettive di questo rapporto, che – nella prospettiva
marxiana – non può che essere segnato dallo sfruttamento e dall’antagonismo?
M. Heinrich, An
Introduction to the Three Volumes of Karl Marx’s Capital, New York:
Monthly Review Press, 2012
K.
Marx, Lineamenti fondamentali della
critica dell’economia politica, 2 voll., Firenze, La Nuova Italia,
1978
S.
Mezzadra e M. Espinoza Pino, Cartografie globali. Il
concetto di mercato mondiale in Marx tra giornalismo e teoria, in
S. Petrucciani (a cura di), Il pensiero di Karl Marx.
Filosofia, politica, economia, Roma, Carocci, 2018
K.
Marx, Il capitale. Critica
dell’economia politica, Libro primo, Il
processo di produzione del capitale, Torino, Einaudi, 1975
Th.
Hobbes, Elementi di legge naturale e
politica, Firenze, La Nuova Italia, 1985
dall'intervento PER LA CRITICA DEL CAPITALISMO GLOBALE: UN PROGETTO “MARXIANO”?presentato al convegno internazionale “200 Marx. Il futuro di Karl”, Roma, 14 dicembre 2018 (per la lettura integrale EuroNomade)