mercoledì 24 aprile 2013

“Il reddito sociale garantito come reddito primario e istituzione del comune”*

di Laurent Baronian/Carlo Vercellone

il carattere specificamente monetario del rapporto capitale-lavoro costituisce l’unico punto di partenza adeguato per una riflessione sulla moneta del comune. Questa riflessione farà emergere perché la nozione di reddito sociale garantito corrisponde ad un’istituzione del comune volta a rendere la creazione monetaria endogena non solo al capitale ma anche alla riproduzione autonoma della forza lavoro

(…) Dall’analisi delle asimmetrie che strutturano il capitalismo come economia monetaria della produzione, ci è possibile delineare la posta in gioco principale di ciò che dovrebbe essere una moneta del comune: una moneta endogena alla riproduzione della forza lavoro perché attenuerebbe il vincolo monetario al rapporto salariale, assicurando allo stesso tempo la validazione sociale delle ricchezze prodotte da forme di produzione e di soddisfacimento dei bisogni alternativi ai rapporti mercantili.
Notiamo che, prima della svolta monetarista e dell’instaurazione delle autonomie delle banche centrali, la regolazione amministrata keynesiana dell’offerta di moneta aveva permesso, sotto forma di un compromesso istituzionalizzato, lo sbocciare di alcune di queste dimensioni. In particolare, il legame tra Banca Centrale e Tesoro pubblico aveva autorizzato una monetizzazione dei conflitti sociali, favorito il finanziamento del salario socializzato e dei servizi collettivi del Welfare (Chesnais, 2011, p.31).
Si tratta senza dubbio di una delle ragioni che spiega perché la resistenza allo smantellamento del pubblico sia tanto il terreno di nostalgie stataliste quanto uno dei terreni fondamentali di elaborazione della problematica del comune (Negri, 2012).
In questo quadro, la proposta di un reddito sociale garantito incondizionato ed indipendente dal lavoro salariato è quella che ci sembra maggiormente incarnare una nuova tappa di socializzazione dell’economia. Essa s’iscrive in un progetto di società e di demercantilizzazione dell’economia in cui il rafforzamento dei diritti collettivi legati al sistema di protezione sociale (pensioni, sanità, sussidio disoccupazione, ecc.) andrebbe di pari passo con il passaggio da un modello di Welfare-State ad un modello di commonfare.
In effetti, analogamente alla tematica del comune, la riflessione attorno alla proposta di un reddito sociale garantito (RSG) attraversa sempre più il dibattito sulle alternative alla crisi del capitalismo cognitivo e finanziarizzato. Tuttavia, la maggior parte delle formulazioni del RSG restano ancorate ad una concezione che ne fa un reddito secondario relativo alla redistribuzione ed alla gestione statuale classica dello Stato-provvidenza.
Nel nostro approccio, il RSG deve, al contrario, allo stesso tempo essere pensato come una istituzione del comune ed un reddito primario per gli individui, vale a dire un reddito che risulta direttamente dalla produzione e non dalla redistribuzione. Queste due dimensioni, reddito primario e istituzione del comune, sono peraltro strettamente intrecciate tanto sul piano dell’organizzazione della produzione, quanto su quello dello statuto della moneta e del modo di distribuzione.
Un reddito primario dunque, perché la proposta del RSG riposa su di un riesame ed un’estensione del concetto di lavoro produttivo che si tratta di prendere in considerazione alla luce di due dimensioni.
La prima concepisce il lavoro produttivo, secondo la tradizione dominante nell’economia politica, come il lavoro che produce del valore e del plusvalore. Si tratta qui della constatazione secondo cui assistiamo, oggi, ad un’estensione importante dei tempi di lavoro, al di fuori della giornata ufficiale di lavoro, che sono direttamente o indirettamente implicati nella formazione del valore captato dalle imprese. A questo proposito, il RSG corrisponderebbe, in parte, alla remunerazione sociale di questa dimensione sempre più collettiva di un’attività creatrice di valore, che si estende sull’insieme dei tempi sociali, dando luogo ad un’enorme massa di lavoro non riconosciuta e non retribuita. È, peraltro, importante notare come questo aumento del lavoro non pagato si apparenti, in forme inedite, con un aumento del plusvalore assoluto che risulta dalla combinazione di due tendenze maggiori. Da una parte, proviene dalla maniera stessa in cui la pressione congiunta della precarietà e delle nuove forme di management della soggettività enfatizza, a vantaggio delle imprese, un tratto intrinseco del lavoro cognitivo: quello di essere un’attività di produzione, di riflessione e di scambio di saperi che si svolge tanto fuori quanto durante l’orario contrattuale di lavoro. D’altra parte, proviene anche dal ruolo crescente del lavoro del consumatore e specialmente dall’appropriazione privata del lavoro gratuito effettuato da una moltitudine d’individui sulle reti del Web. Il capitale, attraverso soprattutto un piccolo numero di grandi imprese americane, è in realtà arrivato a controllare una gran parte dell’infrastruttura materiale ed immateriale di internet (Baronian, 2011), espropriando questo spazio del comune e trasformando in merci le creazioni e le identità numeriche degli utilizzatori.
Contro la tradizione della teoria economica, per contro, la seconda dimensione rinvia al lavoro produttivo concepito come lavoro produttore di valori d’uso, fonte di una ricchezza che sfugge alla logica mercantile e a quella del lavoro salariato subordinato. In questa prospettiva, il RSG corrisponderebbe simultaneamente alla validazione sociale e ad un mezzo di finanziamento di questa rete densa di attività non mercantili che la società del General Intellect crea, al di là del salariato. Si tratta, insomma, di rompere con l’identificazione storica abusiva che il capitalismo ha stabilito tra lavoro e lavoro-salariato e, con essa, tra lavoro salariato e diritto al reddito. Detto altrimenti, si tratta di affermare che il lavoro può essere improduttivo di capitale, ma ciononostante produttivo di ricchezze non mercantili e perciò, trovare la sua contropartita in un reddito. Questo è peraltro il caso, da un punto di vista strettamente teorico, per le attività realizzate in seno ai servizi pubblici che producono ricchezza e non valore. Il carattere incondizionato del RSG si distingue, tuttavia, in modo radicale, dal salario versato agli impiegati di questi servizi, perché non si fonda né su di un lavoro dipendente, né tantomeno implica da parte dei beneficiari una qualunque dimostrazione di utilità sociale della loro attività. Anche in questo senso, il RSG non attiene alla sfera pubblica, quella della «burocrazia professionale» e del coordinamento amministrativo, ma al comune. Esso presuppone un’attività creatrice di ricchezze ed una cooperazione produttiva che si sviluppa a monte ed in modo autonomo rispetto alle logiche amministrative e del privato, anche quando le attraversa e contribuisce alla loro riproduzione.

Esiste, infatti, un rapporto complesso, fatto allo stesso di tempo di antagonismo e di complementarietà, tra queste due forme di lavoro produttivo. Nel capitalismo cognitivo, l’espansione del lavoro libero che produce il comune, va infatti spesso di pari passo con la sua subordinazione al lavoro sociale produttore di valore, in ragione stessa delle tendenze che spingono verso uno sfumarsi della separazione tra lavoro e non lavoro, sfera della produzione e sfera della riproduzione.
L’instaurazione di un RSG, non solo riconoscerebbe questa seconda dimensione del lavoro produttivo, ma soprattutto favorirebbe la sua emancipazione dalla sfera della produzione del valore e del plusvalore. In quest’ottica, l’attenuamento del vincolo al rapporto salariale consentito dal RSG, più ancora che una riduzione del tempo legale di lavoro, permetterebbe agli individui di ritrovare il controllo del loro tempo e la gestione delle attività che non hanno altra finalità che in se stesse. Costituirebbe così un vero investimento sociale e una liberazione di energie creative per assicurare, per esempio, la riproduzione dei comuni informazionali e della conoscenza, di cui lo sviluppo è stato sensibilmente ostacolato dalla mancanza di tempo di cui sono affetti i lavoratori cognitivi (Aigrain, 2008).
Il RSG si presenta così su più punti come un’istituzione del comune al servizio del comune. Prima di tutto, perché il RSG non attiene alla sfera pubblica ma corrisponde « in fin dei conti, alla messa in comune di una parte di ciò che è prodotto in comune, deliberatamente o no » (Gorz, 2003, p.101) e ciò, al di fuori di ogni logica contributiva che cercherebbe un rapporto di misura e proporzionalità tra sforzo individuale e diritto al reddito. In questa prospettiva, seguendo la tradizione mutualista all’origine del sistema di protezione sociale in Francia, le risorse raccolte per finanziare il RSG potrebbero essere messe in una cassa comune gestita direttamente dai lavoratori.
In secondo luogo, il RSG, in quanto reddito primario, presuppone e rilancia lo sviluppo del comune stesso. Lo rilancia nella misura in cui favorirebbe l’esodo dal lavoro salariato e lo sviluppo di forme di cooperazione fondate su regole di coordinazione distinte da quelle del pubblico e del mercato. Lo presuppone nella misura in cui la sua instaurazione implica dei meccanismi di risocializzazione della moneta e dei redditi che rendono la riproduzione della forza lavoro indipendente dalla circolazione del denaro in quanto capitale.
(Concludendo) In quanto prodotto dello scambio delle merci, la moneta è l’espressione di un rapporto sociale tra produttori privati indipendenti, individui, comunità e imprese capitaliste. Qualsiasi sia dunque la forma e le condizioni di circolazione della moneta, la sua presenza significa che l’attività dei produttori acquisisce il suo carattere di lavoro sociale in modo indiretto, per mezzo dello scambio dei prodotti del lavoro come merci. É possibile che una forma monetaria attenui alcuni dei vincoli posti dalla produzione capitalista, ma le contraddizioni che la moneta del comune vuole superare sono destinate a rinascere in un modo o nell’altro, e ciò fintanto che le trasformazioni del modo di produzione attuale saranno limitate alla sfera della circolazione. Tali trasformazioni, tuttavia, potrebbero accelerare ed orientare le mutazioni in corso del lavoro sociale, favorendo l’attenuamento del vincolo al rapporto salariale ed un’articolazione altra tra comune, pubblico e privato. In questo senso, in due modi almeno, la proposta del RSG si smarca dall’ipotesi proudhoniana del credito gratuito.
In primo luogo, il RSG va al di là della semplice prospettiva di una democratizzazione del credito, per pensare la moneta del comune come uno strumento che può attenuare, per l’insieme della forza lavoro, il vincolo al rapporto salariale. Esso non si attacca, infatti, al salto mortale della merce, ma a quello della forza lavoro, per rompere il circolo vizioso che fa della sua vendita la condizione di accesso al reddito. Certo, attenuando il vincolo al rapporto salariale, il RSG può anche giocare il ruolo di una sorta di forma di credito gratuito che permetterebbe di democratizzare l’economia di mercato, offrendo più autonomia alla produzione mercantile semplice rispetto al capitale. Ma è soltanto in un modo accessorio che la garanzia di un reddito sufficiente può ugualmente favorire l’accesso allo statuto di produttore privato indipendente. Il suo primo ruolo è quello di sostenere, non il produttore individuale e la sua merce, ma l’intellettualità diffusa nella sua attività collettiva di produzione non mercantile.
In secondo luogo, il credito, anche quando è attribuito gratuitamente, implica una doppia condizionalità, portatrice di un rapporto di dipendenza: quella legata all’esame stesso della viabilità mercantile del progetto produttivo che è l’oggetto di una domanda di credito, e quella legata all’estinzione successiva del debito prodotto dalla creazione iniziale di moneta. Il RSG rompe questa logica di dipendenza legata al credito e al debito, perché il suo carattere incondizionato è anche il mezzo per assicurare l’autonomia delle attività che partecipano alla costruzione sociale del comune.

* estratto da Moneta del comune e reddito sociale garantito (http://www.uninomade.org/moneta-del-comune-e-reddito-sociale-garantito/)