6.202.700 di
spagnoli (il 27,16% della popolazione attiva) sono senza lavoro. I componenti di due
milioni di famiglie sono disoccupati. Il tasso della disoccupazione
giovanile è schizzato al 57,22%. Anche i maggiori sindacati scendono sul sentiero di guerra contro le politiche di austerità del governo
Il
governo del Pp, che aveva vinto le ultime elezioni al grido di «abbatteremo la
disoccupazione», si trova ora a dover fare i conti con la quota di disoccupati
più alta della storia del paese. A quasi due anni dall’insediamento del
governo, i proclami di Rajoy si sono frantumati contro un muro di 6.202.700
senza lavoro. Un dato colossale: il 27,16% della popolazione attiva – secondo
lo studio trimestrale dell’Instituto nacional de estadistica pubblicato ieri –
non ha un lavoro; ben l’1,14% in più rispetto al quarto trimestre 2012.
E
intanto ieri una concentrazione di indignados convocata dalla piattaforma ¡En
pie! è partita dalla centrale Plaza de Neptuno con l’intenzione di portare la
sua «protesta di resistenza attiva» alle porte del Parlamento. In serata la
mobilitazione era ancora in corso, e tra i manifestanti si contavano già
quattro arrestati e 15 fermi preventivi.
Con
il primo maggio alle porte, i sindacati maggioritari (Ugt e Ccoo) annunciano
battaglia e chiedono l’abbandono delle politiche di austerità, che il Pp ha
applicato con uno zelo senza precedenti. Di certo – nonostante il governo
faccia acrobazie circensi per convincere del contrario – il loro effetto
sull’occupazione è nefasto. Da quando Rajoy è alla Moncloa, la percentuale dei
senza lavoro è aumentato di 7 punti (dal 20 al 27% circa).
Ma
dal Pp arrivano surreali dichiarazioni in senso contrario: «L’economia spagnola
si riprenderà molto prima del previsto», ha dichiarato il ministro dell’Economia
De Guindos, che – nonostante i 1.172.800 posti di lavoro bruciati sotto il
governo dei popolari – continua a ripetere lo slogan con impassibilità. Venuto
meno il secondo dei due termini del binomio sombrilla-ladrillo
(ombrellone-mattone) che ha retto per troppo tempo l’economia spagnola, il
paese si trova a dover affrontare il problema (inimmaginabile fino a prima del
2007, cioè dello scoppio della bolla immobiliare) dell’esclusione sociale e del
dilagante aumento della povertà.
Quasi
due milioni di famiglie spagnole hanno tutti i componenti disoccupati:
1.906.100 nuclei familiari, per l’esattezza; cioè 72.400 in più rispetto ai
dati dell’ultimo trimestre dell’anno scorso. Molte di queste famiglie vivono
(anzi malviven, come si dice molto efficacemente in spagnolo) con l’assegno di
disoccupazione o con la pensione di qualche parente anziano. Per ora. Perché le
prossime sforbiciate del governo potrebbero abbattersi proprio sul sussidio per
i disoccupati (che già ha subito pesanti ritocchi) e sulle pensioni di
anzianità, con grande soddisfazione della Commissione Ue. Bruxelles, con il
comissario Olli Rehn, ha ricordato che «in Spagna esistono ancora grossi
squilibri macroeconomici» che devono essere ristabiliti «con il consolidamento
fiscale, necessario per contenere l’aumento del debito».
E
se i pensionati tremano, i giovani continuano a essere la categoria più
penalizzata: tra i minori di 25 anni il tasso di disoccupazione schizza al
57,22%, scoprendo uno dei lati più inquietanti dell’emergenza lavoro in Spagna. Un altro preoccupante allarme arriva dai parados
de larga duración, cioè dai disoccupati che non lavorano da più di un anno: se
ne contano 2.901.100, a conferma della condizione cronica che ha ormai assunto
il problema. In questo desolante quadro la via di fuga verso l’estero è sempre
più battuta dai giovani.
Molti
se ne vanno in cerca del primo lavoro, mentre altri inseguono un miglioramento
delle condizioni lavorative, che in Spagna è poco meno che un’utopia: basti
dire che in tre mesi il numero dei contratti a tempo indeterminato è diminuito
di 385.300 unità. Il governo la chiama flessibilità, ma si tratta di
precarietà, fomentata dall’ultima riforma del lavoro del Pp. Ma non sono solo
gli spagnoli a lasciare il paese. Emigrano anche persone di altre nazionalità
(soprattutto sudamericani), che, arrivate in Spagna nell’epoca dorata, tornano
nei paesi d’origine alimentando il fenomeno – indicativo del clima che si
respira – dell’emigrazione di ritorno.
Fonte:
il manifesto