-Francesco Maria Pezzulli-
Anche al Sud ci sono fredde sere d’inverno nelle quali il vento tira cosi forte da far chinare il capo e le nuvole, gravide di neve, coprono il cielo e le stelle. Sere come quella del 13 gennaio 2025, quando a Cosenza moriva il compagno e maestro Franco Piperno
Una vita piena e intensa quella di Franco, che ha lasciato il segno nella storia italiana come in tutti quelli che l’hanno conosciuto. Franco che a 23 anni viene espulso dal Partito Comunista per “deviazionismo di sinistra”, la stessa sorte che toccò nel decennio successivo ai compagni del Manifesto. Franco protagonista del movimento studentesco romano, delle lotte operaie alla Fatme nel polo industriale di Pomezia-Latina, in quelle dei tecnici all’Osservatorio di Frascati e con forza incredibile in quelle studentesche del lungo ’68 italiano. In proposito, per capire la caratura del giovane Piperno, bastano le parole di Toni Negri, suo grande amico, anche lui nostro amato maestro: «Per noi il ’68 si riapre il 2-3 settembre quando a Venezia, a Cà Foscari, si riunisce il movimento degli studenti. Meglio, finisce il ’68 studentesco, comincia un decennio rivoluzionario: questa grande e unica specialità italiana, fare del ’68 un decennio. È qui che incontro Piperno e Scalzone, leader indiscussi del movimento romano; ed è in questo momento che contro la lunga marcia attraverso le istituzioni si propone da parte nostra la linea autonoma e operaista».
E siamo solo all’inizio, Franco infatti è stato tra i fondatori di Potere Operaio ed anche suo segretario nazionale, nel 1972, a 29 anni, nel momento più duro della storia del gruppo, quando si pensa che è tempo di organizzare il “partito dell’insurrezione”. Franco e le riviste: La classe, Linea di Massa, Potere Operaio, Metropoli, Luogo Comune ed altre che non ricordo ma che possono essere facilmente individuate. Franco che è conosciuto, ammirato e temuto dai politici della prima repubblica e che tenta di salvare la vita di Aldo Moro. Franco coinvolto in quell’obbrobrio giudiziario che è stato il processo 7 aprile, quando attraverso il teorema Calogero si volle annientare la sinistra sovversiva extraparlamentare. Franco che dopo l’esilio parigino e canadese rientra in Calabria e insegna in Università (si dice fosse “severo”, per gli attuali criteri di valutazione, capace di farti ripetere l’esame due tre volte se non avevi fatto tutto il programma) e fonda, con altri, l’associazione Ciroma, che diviene Radio e contribuisce significativamente alla trasformazione cittadina. In questo periodo, per Franco la città (e non la metropoli) ha la dimensione appropriata per autogovernarsi attraverso l’assemblea di quartiere e gli istituti della democrazia diretta, ed una volta Assessore comunale – richiesto dal leader socialista Giacomo Mancini, che ha sempre avuto grande stima, vicinanza e affetto per Franco – agisce in tal senso: tenta l’autogoverno dei quartieri (tramite le “circoscrizioni”, ex organo municipale più vicino agli abitanti) con la macchina dell’assessorato e un manipolo di ciromisti. Da cosentino posso dire che in quella stagione le trasformazioni urbane e sociali furono evidenti e, seppur di breve durata, si è trattato di una esperienza «entrata nella memoria comune, come disse lui stesso, una sorta di sconfitta che ha aiutato la crescita della coscienza collettiva, imparare dai propri errori è il sentiero segreto che porta alla realizzazione». La Ciroma è stata la prova che quando sono rivisitati criticamente i “luoghi comuni” annidati nella mentalità di un meridionale l’azione collettiva può essere sbloccata.
Franco astronomo popolare che si reca sui monti di notte nei paesini calabresi (e non solo), per guardare le stelle, o meglio per condurre indimenticabili lezioni sugli astri, riempite di miti e di storia, che consentivano ai partecipanti di assaltare poeticamente il cielo.
E non abbiamo detto di Franco Piperno fisico di rilievo internazionale, che ha insegnato in Italia e all’estero, e che dalle sue cattedre ha sempre duramente criticato la tecno scienza in quanto «furiosa applicazione della scienza alla valorizzazione del capitale […] che si è via via dislocata all’interno del complesso militare industriale ed è caratterizzata da costi immani e da decine e decine di migliaia di ricercatori che lavorano in un regime di fabbrica di tipo fordista».
Franco è stato tutto questo e molto altro ancora. Nella sua vita straordinaria, rivolta al “buon vivere”, ha sempre compreso per agire contro il sistema ingiusto nel quale viviamo, come fanno i comunisti rivoluzionari e, cosi scrivendo, mi ritorna il tono suadente della sua voce che puntualizza che lui preferisce parlare di trasformazioni radicali (piuttosto che di rivoluzione) e che il comunismo non lo si deve attendere o inventare ma cominciare a praticare nel proprio presente quotidiano.
Di Franco mi rimangono tante cose. Il suo sguardo intenso, impossibile da evitare, il suo bel sorriso, spesso insinuante e complice, l’oratoria magistrale, affascinante e magnetica, ed anche il fatto che ogni volta che ci incontravamo, prima di ogni cosa, mi chiedeva di Carlo, un compagno con il quale si sono voluti sempre sinceramente bene.
Mi ricordo ovviamente gli interventi nei seminari di sudcomune, come quando verso il termine di una sua relazione ci fu un movimento tellurico, e lui, con lo stesso tono utilizzato fino a quel momento, riprende dopo la scossa dicendo: «il compagno terremoto ci suggerisce di smetterla con questi discorsi e andare via…credo sia il caso di ascoltarlo!». Oppure le bellissime serate (per noi più giovani anche assai istruttive) trascorse insieme a cena, al termine di incontri culturali o politici, come quella volta all’Università della Calabria, con Toni, dopo i seminari su Impero, oppure in Sila, con Marta e Mirella, quando intervenne per mia grande felicità alla presentazione di In fuga dal Sud. Ci siamo visti più volte anche a Roma, in piazza nelle manifestazioni, agli eventi di Esc a San Lorenzo ed anche a Monteverde, a casa di Marina, con Sergio ai fornelli che ci delizia di pietanze sopraffine, Nicolas che porta una ottima insalata messicana e Franco che arriva verso mezzanotte con una bottiglia di Brunello. Di quella nottata ho mille flash, che riassumo soltanto col dire che, nonostante l’elevato tasso etilico, all’alba eravamo tutti ancora svegli, felici di stare insieme, arricchiti dalla lunga discussione nella quale il personale e il politico non si erano mai disgiunti. In ultimo, nei limiti di questo piccolo ricordo, non posso dimenticare le analisi di Franco sull’università italiana, verso le quali il mio attuale L’università indigesta, come ho già avuto modo di scrivere, è senz’altro debitore. Ma per rendere omaggio a Franco non basta un lavoro, per quanto d’inchiesta, ci vuole una pratica soggettiva, il tentativo continuo di assaltare il cielo, nel caso specifico di costruire tra le rovine dell’università insieme agli studenti, cosicché, nonostante le mille sconfitte, impareremo finalmente a vincere.
Ciao Franco, grande maestro, non ti dimenticheremo mai.
pubblicato anche su EFFIMERA.org