“Adesso va fatto il consorzio”
“Resistere all’inverno, prenderci la primavera”: nel Collettivo di fabbrica (ex) Gkn la fucina delle idee e degli slogan è sempre aperta.
L’ultimo motto, nato dall’assemblea del 17 novembre scorso, allontana di qualche mese il momento della “resa dei conti” per la lotta operaia cominciata più di tre anni fa, il 9 luglio 2021, quando i 400 e più dipendenti della fabbrica di semiassi di Campi Bisenzio furono licenziati all’improvviso dal padrone del tempo, il fondo d’investimento Melrose.
Ma è un rinvio pieno di eventi, appuntamenti (compresa la festa di fine anno, stavolta in una casa del popolo, a Grassina, periferia Sud di Firenze) e anche di fatti, a cominciare dalla legge regionale sui consorzi industriali pubblici, proposta dal Collettivo di fabbrica coi suoi “giuristi solidali”, fatta propria da un vasto arco di forze sindacali tra cui la Fiom e la Cgil Toscana, e approvata nella notte fra 20 e 21 dicembre, nonostante l’estremo tentativo ostruzionistico della Lega.
Operai e attivisti solidali in presidio sotto la sede nel Consiglio regionale, a due passi dalla piazza del Duomo, hanno festeggiato nella notte con petardi e fuochi d’artificio.
La legge prevede che i Consorzi possano acquisire aree industriali e immobili per insediare o favorire nuovi insediamenti produttivi, fino al caso limite dell’esproprio. Certo, la legge non è ancora la soluzione, ma un passo avanti sì. La posta in gioco resta l’attuazione del piano industriale messo a punto dal Collettivo di fabbrica con tecnici e consulenti “solidali”, un progetto da 12 milioni di euro per oltre cento posti di lavoro nella costruzione di pannelli solari e cargo-bike. Un progetto serio, concreto, che tutti dicono fattibile, ma che non parte perché manca un elemento essenziale, lo stabilimento in cui insediare le attività della nascente cooperativa Gff.
La fabbrica di via Fratelli Cervi è ovviamente il luogo “naturale” ed è ancora presidiata dagli operai in assemblea permanente, ma la proprietà non sembra disposta in alcun modo a concederla, e sta diventando piano piano un rudere industriale: manca perfino l’elettricità, da quando ignoti sabotatori, nella primavera scorsa, alla vigilia del secondo Festival di letteratura working class, tagliarono nottetempo i cavi della centrale elettrica interna.
Siamo insomma in una situazione di impasse, per più versi pericolosa: il piano industriale non può restare in sospeso troppo a lungo e anzi ha bisogno di continui e sfibranti aggiornamenti; la pazienza e la capacità di resistenza degli operai -circa 120- ancora a libro non-paga di Qf, la società di Francesco Borgomeo subentrata a Melrose, non sono infinite, visto che il 31 dicembre sarà trascorso un anno esatto dall’ultimo stipendio ricevuto; infine, l’attesa rischia di logorare la mobilitazione collettiva che ha trasformato una “semplice” vertenza sindacale in una “lotta popolare di classe”.
Dario Salvetti, membro della Rsu, venerdì notte era sotto il consiglio regionale a festeggiare il sì alla legge.
Dario, perché questa legge è così importante?
DS Perché consente alla Regione e ai Comuni di creare una cornice che aiuti la reindustrializzazione, riaffermando la pubblica utilità dell’area e il suo utilizzo a fini produttivi oggi, non fra venti o trent’anni. Fatta la legge, nell’area ex Gkn va fatto il consorzio, altrimenti la legge per noi non avrebbe senso, lascerebbe le cose come stanno e sarebbe una beffa.
Proviamo a pensare positivo: una volta nato il consorzio industriale pubblico, quale sarebbe lo scenario?
DS Il consorzio potrebbe andare a trattare con la proprietà per avere la disponibilità della fabbrica, con la possibilità, prevista dalla legge, anche di sostituirsi alla proprietà, per via commerciale o con altri strumenti, perché lì è rimasta una proprietà di tipo immobiliare e non produttivo, anche se è stato detto che la cessione dello stabilimento a una società immobiliare è interna al gruppo e che non è escluso in futuro un uso industriale. Ma di parole ne sono state dette tante. Di sicuro ora c’è una cornice normativa che consente un intervento pubblico e quindi la nostra cooperativa potrebbe proporre al futuro consorzio di affittare una parte dello stabilimento e avviare il progetto, che è l’unico piano industriale esistente.
Il vostro piano prevede 12 milioni di euro di investimenti. A che punto siete?
DS Potenzialmente -ripeto: potenzialmente- siamo vicini a coprire l’intera cifra. Abbiamo il milione e 300mila euro di azioni prenotate da più di mille soggetti privati e collettivi, 4-500mila euro che i soci lavoratori potrebbero versare tramite la Naspi, la quota della Soms Insorgiamo e abbiamo istruttorie in corso su altri fronti, dalle banche alle linee di finanziamento pubbliche. L’unico nome che possiamo fare è quello di Banca Etica, che ha accettato di sciogliere il vincolo di riservatezza, ma non siamo mai stati così vicini a sbloccare altri importanti finanziamenti, anche nel sistema bancario classico, quello che ci piace meno. In realtà sta avvenendo una specie di miracolo: le istruttorie stanno avanzando nonostante noi abbiamo un progetto industriale ma non un luogo in cui realizzarlo e nonostante siamo una cooperativa quasi senza garanzie, se non il movimento di lotta che ha intorno a sé, la correttezza delle proprie argomentazioni, la validità e i dettagli del piano industriale.
Se la parte finanziaria è così vicina a concretizzarsi, perché non pensare a un piano B, perché non cercare un altro stabilimento e partire subito?
DS Noi valutiamo laicamente qualsiasi proposta, per rispetto dei lavoratori e dei soci finanziatori, ma al momento il cosiddetto piano B è soprattutto una forma di potenziale distrazione dal progetto principale, che resta una dichiarazione di pubblica utilità dell’area e l’attivazione di un consorzio industriale pubblico. Per noi l’obiettivo rimane creare 400 posti di lavoro in quel sito: il nostro piano industriale ne prevede poco più di cento, ma altri progetti possono aggiungersi. Sono convinto che una volta partiti, tutto lo stabilimento finirebbe per essere utilizzato. Non dimentichiamo che nella Piana fiorentina, fra stragi sul lavoro e alluvioni, forse ci si sta accorgendo quanto sia urgente uscire dall’economia fossile: gli 80mila metri quadrati della ex Gkn, con il nostro progetto e magari con altri analoghi, potrebbero aiutare a imboccare questa strada.
Torniamo al motto iniziale, che intendete per “prendere la primavera”?
DS La nostra sfida è tenere viva la vertenza, stare al passo coi tempi tecnici di attuazione del piano industriale che non dipendono da noi. Le istruttorie vanno avanti e proseguiranno a gennaio e l’azienda ha detto che presenterà a fine gennaio un piano di concordato preventivo. Sono passaggi decisivi che potrebbero permetterci a primavera di arrivare a una roadmap per la cooperativa.
Che cosa vi aspettate dal piano aziendale di concordato preventivo?
DS Noi vorremo sapere se e come pagheranno gli stipendi del 2024 e come pensano di soddisfare i creditori privilegiati, cioè i lavoratori. Non sappiamo se vorranno aprire una nuova procedura di licenziamento, dopo quelle bocciate dai giudici in passato. Se avvenisse, ci troveremmo in una situazione allucinante, con un’azienda che non ha più né uno stabilimento, ceduto almeno formalmente a un’altra società, né dipendenti e tanto meno un progetto industriale, mentre l’unico progetto industriale esistente, il nostro, non dispone di uno stabilimento.
Come pensate di “resistere” all’inverno?
DS Con il mutualismo, con gli strumenti classici dei lavoratori che cercano di resistere un minuto in più del padrone. C’è una raccolta fondi curata dalla Sms di Pinerolo, la società di mutuo soccorso più antica d’Italia, ci sono le donazioni intestate alla Soms Insorgiamo, c’è un rapporto con Mag Firenze per piccoli prestiti senza interessi. Forse riusciremo a garantire ai lavoratori che lo richiedessero per necessità, e come strumento per continuare nella lotta, un buono spesa a fine anno di qualche centinaio di euro: molto meno di un mese di stipendio, ma almeno un sostegno per affrontare meglio, anche sul piano psicologico, la pressione e lo stress delle feste nella società dei consumi in cui viviamo. Ma sia chiaro: non è carità quello che chiediamo, non stiamo parlando di un semplice aiuto a persone in difficoltà. Siamo consapevoli che ci sono situazioni nel mondo di maggiore e più urgente bisogno. La cassa di resistenza è una forma di partecipazione alla lotta.