- Augusto Illuminati -
Come tutti gli underdog furbi riesce a reclutare alcuni poveri per osannare i padroni
Meloni tiene a freno la sua intima cattiveria per darsi un volto presentabile, ma ogni tanto “si fa riconoscere”, quando troppi problemi e fallimenti intralciano le sue furbesche manovre. Perché il corpo elettorale ancora le crede e perché l’opposizione di sinistra è così debole?
Non so se Meloni sia davvero bastarda dentro, come sembrerebbe dai suoi video di attacco – da quello sui campi nomadi in cui li invitava a “nomadare” agli appelli strafatti a Vox, dallo sprezzante annuncio “la pacchia è finita” fino all’ultimo, dedicato ai migranti, in cui li avvertiva a non mettersi nelle mani degli scafisti e rischiare la morte per finire TUTTI per 18 mesi nei lager di intrattenimento. Non che sia cattiva per natura e in tutti i casi, certo non lo è con la figlia Ginevra, che coccola e si porta in giro in tutte le pizzerie del globo terraqueo, o con il partner Andrea, l’uomo dei lupi, e neppure con l’adorata Sorella e l’autorevole Cognato. Perché non accontentarsi della filastrocca, intonata dalla stampa docile (“Corriere” e “Foglio” in testa) della doppia faccia di Meloni, di governo e di opposizione, quella composta che discetta all’Onu di “algoretica” e la comiziante con il braccio che scatta nel saluto romano come il dottor Stranamore di Kubrick?
Il fatto è che, in politica, non contano le intenzioni e
l’intimità dell’animo ma il machiavelliano “parere”, ovvero si
è quello che si vuole mostrare. Se fai un video da bastardo, sei un
bastardo e vuoi farlo sapere per ottenere un effetto che ritieni vantaggioso.
Che poi serva davvero, questo è un altro discorso, da rinviare ai suoi spin
doctor, i poco geniali Fazzolari e Mollicone che tramano nell’ombra, insieme al
più sveglio Mantovano, e non si espongono troppo come gli impresentabili La
Russa, Delmastro, Donzelli e tutta la malriuscita covata Atreju.
E allora la Meloni vera è quella che minaccia l’internamento di
tutti i migranti irregolari (cioè di tutti i migranti che stanno arrivando),
che studia come deportarli in Ruanda, sul fallito modello inglese, che proclama
di creare hot spot in paesi “sicuri” come Libia, Tunisia, Egitto per
esternalizzare le frontiere (Gruber mi perdonerà mai?). Una variante razziale
(dato che è esplicita, nel suo recentissimo libro-intervista, la demarcazione
fra i bravi moldavi bianchi e i criminali neri) della guerra ai poveri e ai
minori disagiati nazionali, scatenata con il decreto Caivano e anticipati dal
decreto rave. Che poi a questa faccia feroce non corrispondano (ancora)
condanne e arresti, segnala l’irrilevanza delle “emergenze” sollevate, non la
moderazione nell’uso del populismo penale a scopi propagandistici.
Insomma, Meloni è piena di grane, di vincoli finanziari e di
agguati da parte dei suoi alleati, quindi non riesce a fare le cose che
vorrebbe fare, deve ripiegare su affermazioni identitarie aggratis e lo fa con
ferocia inapplicabile. L’astuzia politica blocca un estremismo che emerge a
tratti anche nei discorsi più contenuti: zampilla quando fa la complottarda ed
evoca Soros, quando se la prende con gli africani “ricchi” che possono
permettersi di pagare gli scafisti, quando tace ostinatamente sugli argomenti
dove non può scantonare. Evita le conferenze stampa perché teme di sbottare,
schizza malvagità quando, in un dispositivo applicativo del “suo” decreto
Cutro, esige cauzioni da 4.938 euri e altre garanzie da asilanti stremati
affinché non precipitino nell’inferno dei Cpr. Come tutti gli underdog da
guardia è allenata dai padroni ad azzannare i poveri. Come tutti gli underdog
furbi riesce a reclutare alcuni poveri per osannare i padroni. Quando si viene al
dunque deve rimangiarsi in fretta le poche sgangherate proposte da “destra
sociale”, tipo la tassazione degli extra-profitti bancari.
Gli interrogativi sono due: 1) perché questa
strategia sovranista abborracciata ma di fondo razzista (il fascismo internazionale
del terzo millennio) ha successo? 2) Quale
consistenza hanno le formule dell’opposizione?
Il tutto al netto, della concorrenza elettorale imposta dal
carattere proporzionale del voto per le Europee, che spiega ad
abundantiam i bisticci fra gli alleati di governo e di
opposizione.
1) Decenni di spoliticizzazione indotta con campagna martellante
dalla stampa e dai media, a lungo dominati dalla sinistra in declino, versione
ottusa di una cultura per cui “ideologia” e “classe” erano diventate bestemmie,
hanno lasciato il loro segno. Detto in termini più precisi e materiali: la
sconfitta di ogni movimento di massa per opera di governi e apparati ideologici
a lungo controllati dal Pci, Pds, Pd in coalizione con altre formazioni di
centro e di destra, mascherati da “tecnici” e sempre più inseriti in un ciclo
reazionario europeo e occidentale ha distrutto e demoralizzato ogni opposizione
effettiva dal 1978 in poi. Basti ricordare come l’ultimo grande sussulto
generazionale nel 2008-2010 fu stroncato non da Berlusconi, ma dal defunto
Napolitano chiamando Monti e scartando perfino l’ipotesi moderatissima di nuove
elezioni. Una lunga storia sia di condanne giudiziarie che hanno travolto, dal
7 aprile a Genova, un’intera generazione di militanti sia di smantellamento di
istituzioni del welfare e della scuola e di compressione salariale e
precarizzazione del lavoro.
Ha trionfato una linea di destra ammantata di ideologia di
sinistra rifomista. L’anti-ideologia iper-ideologica del neoliberalismo. Una
strada tutta in discesa per l’avvento al potere di una formazione di destra
salvata dal suo essere formalmente all’opposizione delle ammucchiate degli
ultimi anni, ma pronta a collegarsi a qualsiasi prezzo con gli altri pezzi di
destra che invece del corrotto potere neoliberale e consociativo erano stati
complici e fruitori per vent’anni. Da re Giorgio a
mamma Giorgia. E così le voci della fogna sono diventate egemoni,
irose per il lungo digiuno e prontissime a dimenticare il loro differenziale
reazionario rispetto al neoliberalismo. La scelta atlantica (unico tratto
geniale di Meloni) nel contesto della guerra in Ucraina ha fatto il resto nel
giro di pochi mesi. Game over.
2. L’opposizione di sinistra ha avuto le sue colpe nel creare
questa situazione in generale e nel tempo, ma cosa fa oggi per contrastarla,
dopo aver preso atto del disastro combinato nell’ultimo biennio sul piano
strettamente elettorale con il mancato accordo fra Pd e M 5 Stelle che ha
consegnato alla coalizione di destra prima l’Italia intera poi la regione Lazio
e altre strutture amministrative minori? Qualche piccolo cambiamento
autocritico (sulle alleanze elettorali e sul Jobs Act) ha accompagnato il
cambio di direzione, con l’ascesa di Elly Schlein e la contrastata
riproposizione del “campo largo”. Nello stesso senso va il rinnovato
protagonismo politico della Cgil che, con varie riserve, ha però finito per
accettare il tema del salario minimo su cui si è creato un notevole consenso
parlamentare di opposizione. Questo ha messo in palese difficoltà il governo,
che ora cerca di giocare di rimessa investendo i pochi soldi di cui dispone sul
cuneo fiscale a scapito dell’antipopolare flat tax. Landini è il vero garante
dell’accordo “sociale” Schlein-Conte, al momento sottoposto a forte tensione
per la concorrenza elettorale.
La contesa sulle percentuali di voto copre però disaccordi su
terreni più sostanziosi, come l’immigrazione, che potrebbe smorzare i vantaggi
per l’opposizione derivanti dall’evidente fallimento delle destre litigiose su
questo tema. Per non parlare di altre ambiguità di Conte e del suo movimento.
Inoltre le stesse proposte del Pd sono ancora vaghe e restano preliminari a
un’iniziativa legislativa e di massa, devono essere messe a terra.
L’abolizione della Bossi-Fini (inestricabilmente connessa a ogni
programmazione di nuovi flussi, che dovrebbero innanzi tutto pescare fra i
“clandestini” già arrivati) e la sconfessione delle strategie di Minniti
restano appena un proclama e non si può dire che sia tanto tangibile il
rilancio dello Jus soli. Contro il raddoppio dei Cpr è partita una giusta
resistenza, ma non credo che basti un congelamento dell’attuale orrida
situazione di detenzione amministrativa con saltuari rimpatri coatti – vogliamo
rimandare a Saied i migranti neri di cui lui subito si sbarazzerebbe
espellendoli senza acqua nel deserto libico? O ricacciare uomini torturati e
donne stuprate nei lager della Tripolitania e della Cirenaica? Tanto varrebbe
insediarli direttamente nell’alveo del fiume Derna in attesa della prossima
ondata di maltempo…
Il vero limite di Schlein e del suo fragile gruppo dirigente è
però lo stesso su cui si fonda la legittimità internazionale di Meloni. Lo
scenario bellico atlantico e la sfida in Ucraina – e sappiamo che quest’ultimo
punto di ricaduta divide non solo lo schieramento riformista ma anche parti
cospicue dell’estrema sinistra italiana. Qui però stanno intervenendo delle
novità oggettive che mutano il quadro di riferimento e fanno presagire
variazioni rispetto allo stallo attuale. Il giorno della pizzeria è stato molto
più infausto per Zelensky che per la stessa Meloni. Il leader ucraino, nel suo
giro per ottenere armi, ha riscosso molta indifferenza all’Onu (la stessa
Meloni non si è sbracciata) e soprattutto ha toccato con mano l’ostilità dei
parlamentari repubblicani a Washington, che hanno espresso riserve su nuovi
aiuti e rifiutato la solenne riunione comune di Camera e Senato. Un preavviso
di quanto potrebbe succedere nelle settimane più infuocate della campagna
elettorale Usa, in cui se ne vedrà di ogni per azzoppare Biden, e ancor peggio
se dovesse vincere l’isolazionista Trump.
Nello stesso tempo Moraviecki ha minacciato di mollare Zelensky
per la controversia sul grano (i contadini danneggiati sono un grosso spezzone
del voto per il suo partito nelle prossime elezioni del 15 ottobre) e anche per
la collocazione complessiva verso la Russia, storico nemico comune ma con
ragioni diverse. L’eroe nazionale ucraino Bandera, del resto, i polacchi se lo
ricordano con poca simpatia – tanto per la memoria storica. Orbene, Meloni ha
pensato bene, con quei chiari di luna di non bruciarsi né l’alleato di oggi,
Moraviecki, né il riferimento di ieri e forse di domani, Trump, risparmiandosi
sia l’omaggio a Zelensky al Consiglio di sicurezza Onu che il bacio della pantofola
al ricevimento di Biden. Meglio la pommarola familiare alla “Ribalta”. Ma al
ritorno in Italia cosa fare?
Il prestigio internazionale di cui gode Meloni è sancito
dall’atlantismo, quanto potrà reggere nei nuovi squilibri che si stanno
delineando? Non che siano positivi – un cedimento all’aggressore Putin e
l’avvento del suprematista Trump non sono cose belle e abbiamo poche speranze
che l’Europa riesca in breve tempo a gestire un pragmatico quanto necessario
piano di pace per l’Ucraina. Si potrebbe arrivare alla pace nel modo peggiore.
Inoltre dal fallimento meloniano potrebbero uscire soluzioni davvero
insoddisfacenti – in panchina si scaldano Draghi e Gentiloni, mentre le
elezioni europee (che precedono di qualche mese quelle Usa) non è detto che
confermino Ursula in deriva a destra ma potrebbero determinare scenari ancora
più autoritari, ivi compresa un’ascesa dei nazisti di AfD che porrebbe problemi
non di ciclo reazionario ma di salire in montagna.
Risulta evidente che l’agenda politica europea e mondiale non la
fa l’opposizione italiana e neppure l’asse Macron-Scholz ma viene dai
contraccolpi mondiali della crisi della globalizzazione e dal potente movimento
migrante dei popoli (in Medio Oriente, nell’Asia sud-orientale, in Africa,
attraverso il Mediterraneo e lungo l’istmo messicano) che non trovano altro
sbocco alla crisi economica e climatica. In confronto la nostra guerricciola ai
poveri e ai migranti fa sorridere, ma è su questa che si misurano i nostri
bastardi, dentro e fuori, e siamo costretti a misurarci noi.
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di copertina da Wikimedia
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