lunedì 2 ottobre 2023

DAL VERTICE EUROPEO DI MALTA

 -Fulvio Vassallo Paleologo- Ancora falsità sui soccorsi in mare 

 e sulle politiche di esternalizzazione 

Anche la Commissione europea continua ad ignorare gli abusi commessi in Tunisia da Saied ai danni dei migranti e a bloccare qualunque ripensamento sul Memorandum d’intesa tra Italia e governo di Tripoli ci pensa da Bruxelles il commissario UE Gentiloni, che lo ha firmato nel 2017 con Minniti

1. Alla fine del Vertice MED 9 di Malta, in un trilaterale con la Presidenza della Commissione UE e con Macron, almeno per ragioni elettorali, sembra che si sia trovato un accordo sul Patto europeo sulle migrazioni e l’asilo, ma l’Unione europea ne esce a pezzi. Il governo Meloni, condizionato da Salvini, copre la volata dei neonazisti tedeschi della AFD che attaccano il governo Sholz, sostenuti a distanza da Elon Musk e dalla alleanza internazionale delle destre suprematiste. L’asse con la Francia, in funzione anti-Germania, e la presenza della Von der Leyen a di Macron a Malta servono solo per le foto “opportunity”. Ne abbiamo davvero visto troppe, mentre le persone continuano a morire in mare e nei deserti africani. E le partenze si fermano solo per le burrasche autunnali, non per gli interventi violenti e potenzialmente omicidi delle motovedette che l’Italia ha elargito ai libici ed ai tunisini. Mentre le autorità europee, e Frontex continuano ad ignorare segnalazioni di imbarcazioni in grave difficoltà (distress) nel Mediterraneo centrale.

In realtà, a parte lo scontro sulle ONG – domina la posizione di Giorgia Meloni, secondo cui “non si fa solidarietà sui confini degli altri”– e rimane alta la tensione sugli sbarchi dei naufraghi soccorsi dalle navi umanitarie. Sembra comunque che la maggior parte degli Stati europei vada verso un accordo al ribasso, prima delle prosime elezioni del 2024. Magari sul finanziamento dei “rimpatri volontari” assistiti verso i paesi di origine, nei quali i migranti bloccati nei paesi di transito e rimpatriati non hanno prospettive di vita dignitosa e di pieno rispetto dei loro diritti fondamentali. Secondo un rapporto dell’ONU dello scorso anno, i migranti in Libia, costretti ad accettare i cosiddetti “rimpatri assistiti” nei loro paesi di origine, rilanciati adesso dalla Meloni, sono spesso vittime di abusi dei diritti umani, diffusi e sistematici.

2. Il “discussion paper” della Presidenza spagnola del Consiglio europeo ripropone il modello preventivo di esternalizzazione, e indica la necessità di rafforzare la dimensione migratoria esterna basata, “in maniera decisa e continuativa, su una stretta e permanente collaborazione con i principali Paesi di transito e di origine dei migranti”, in modo da superare lo stato reattivo di “gestione della crisi” ricorrente. La Presidenza spagnola afferma che “dobbiamo orientarci verso un “modello preventivo” in cui forniamo risposte strutturali a problemi strutturali. L’accento deve essere posto sulla prevenzione delle partenze irregolari… per ridurre il numero di partenze irregolari”. Per questo ci vuole una “una cooperazione con i Paesi di origine e di transito, che comprenda almeno i seguenti elementi: … un senso di responsabilità condivisa, con entrambe le parti che lavorano insieme per raggiungere obiettivi percepiti come reciprocamente vantaggiosi. Una fiducia reciproca costruita nel tempo attraverso l’ascolto attivo delle esigenze dei nostri partner e i contatti regolari a tutti i livelli. Una enfasi sulla cooperazione operativa congiunta e regolare, tra cui, ad esempio, pattuglie congiunte, centri operativi congiunti e scambio di informazioni operative finalizzato a smantellare le reti di traffico di persone e di contrabbando nei Paesi di origine e di transito, accompagnati da maggiori sforzi per combattere queste organizzazioni criminali sul territorio europeo. La cooperazione deve essere sostenuta nel tempo e prevedibile, indipendentemente dagli arrivi. Essa dovrebbe includere assistenza materiale, sostegno finanziario e operativo, nonché il rafforzamento delle capacità.” Si diffondono però dubbi consistenti sulla compatibilità di questo progetto politico con il rispetto dei diritti umani, e la prossima Presidenza belga potrebbe non riuscire a fare passare il Patto, che richiede anche l’approvazione del Parlamento europeo, prima delle elezioni del 2024.

Vedremo intanto al Consiglio europeo di novembre se questa intesa sarà formalizzata e se la Germania cederà sul rispetto delle norme di diritto internazionale che regolano i soccorsi in mare e sul ruolo delle ONG. Di certo, dietro gli slogan elettorali, la partita sulle migrazioni diventa sempre più connessa con le grandi questioni economiche e militari che travagliano l’Unione Europea e in diverso modo gli Stati membri. E al di là delle decisioni europee, conteranno molto gli accordi bilaterali ed i flussi finanziari che saranno destinati ai paesi terzi che collaborano nelle politiche di esternalizzazione.

3. Dietro gli slogan elettorali e gli attachi alle ONG, ritenute ancora un fattore di attrazione (pull factor), contro ogni evidenza e contro le pronunce della giurisprudenza, si tenta di costruire una nuova missione navale europea nel Mediterraneo centrale, per dare maggiore efficacia a quella politica della dissuasione, che costituisce la vera cifra morale del governo italiano, pronto ad utilizzare i naufragi, e dunque la morte di persone innocenti, come deterrente per scoraggiare le partenze. Si afferma pubblicamente che il governo italiano “è contro i salvataggi in mare”. Secondo l’UNHCR sono più di 2500 le persone che sono morte o disperse nel Mediterraneo quest’anno. Forse a qualcuno sembrano ancora troppo poche.

L’Italia “insiste” in particolare sull’attuazione di una missione navale nel Mar Mediterraneo da svolgere in accordo con le autorità nordafricane. La Meloni ha fatto riferimento alla terza fase della missione Sophia ora cancellata – poiché la prima fase ha agito come “fattore di attrazione” – e ha osservato che l’attuale missione dell’UE Irini “potrebbe essere uno strumento di cui parlare”, aggiungendo che “che l’accordo UE-Tunisia è un modello che dovrebbe essere usato con i paesi del Nord Africa più in generale”. Sempre che la Turchia o altri Stati membri non si mettano di traverso, come sta già succedendo, e non certo per tutelare i diritti umani, ma per precise ragioni economiche e militari.

4. A Palermo, nello stesso giorno della Conferenza di Malta, il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha firmato due trattati con i suoi omologhi dell’Algeria e della Libia per quanto riguarda le strategie di lotta contro il traffico di migranti. E subito la guardia costiera libica sperona deliberatamente e affonda una barca carica di migranti, lasciando decine di persone in acqua, con un numero ancora imprecisato di dispersi. In Tunisia Saied rifiuta l’ingresso di una delegazione europea, perchè alcuni suoi componenti avrebbero potuto denunciare le gravi violazioni dei diritti umani e le deportazioni nel deserto, al confine con la Libia, che hanno causato decine di vittime. Ma di tutto questo negli incontri tra Piantedosi e il suo omologo tunisino non si rinviene traccia. Solo complimenti per il “freno alle partenze”. Anche la Commissione europea continua ad ignorare gli abusi commessi in Tunisia da Saied ai danni dei migranti. Ed a bloccare qualunque ripensamento sul Memorandum d’intesa tra Italia e governo di Tripoli ci pensa da Bruxelles il commissario UE Gentiloni, che lo ha firmato nel 2017 con Minniti.

Alla fine, dopo i fallimenti internazionali, a Giorgia Meloni non rimane che rilanciare gli attacchi alla Germania, “colpevole” di avere finanziato alcune Ong, tra cui anche la Comunità di Sant’Egidio. e afferma: “Fanno i solidali con i confini degli altri”. Cade così in una evidente contradizione, dopo mesi in cui ha affermato la necessità di difesa di una frontiera esterna europea comune nel Mediterraneo, adesso ritorna a parlare di confini “nazionali”, appartenenti all’Italia, come se in mare fosse possibile tracciare linee di frontiera e alzare muri di separazione tra Stati frontalieri. Ma il furore ideologico contro i soccorsi umanitari può anche accecare. Ed i richiami del Papa e della CEI cadono nel silenzio dietro gli slogan “Dio, Patria e Famiglia”.

In realtà si continua a sovvertire il Diritto internazionale del mare, che si dovrebbe invece rispettare per il richiamo dell’art.117 della Costituzione. La Meloni afferma che “Il Paese responsabile dell’accoglienza dei migranti trasportati da una nave di una Ong è quello dell’organizzazione non governativa”, e da Palermo, alla Conferenza per i 20 anni dall’entrata in vigore della Convenzione ONU contro il crimine transnazionale, le fa eco il ministro dell’interno Piantedosi, reduce dalla debacle al Consiglio dei ministri dell’interno tenutosi nei giorni scorsi a Bruxelles.

Con Salvini a processo a Palermo per avere impedito nel 2019 l’ingresso in porto alla Open Arms, e con il processo Iuventa ancora all’udienza preliminare a Trapani, dopo sei anni dai fatti, nel quale si tenta di fare passare i soccorsi imposti dalle Convenzioni internazionali come facilitazione dell’immigrazione “clandestina”, era del tutto prevedibile che il governo Meloni facesse saltare il banco a Bruxelles dopo che il compromesso raggiunto dalla presidenza spagnola, con l’adesione della Germania, aveva riconosciuto la legittimità dei soccorsi operati dalle Ong e la necessità che fossero coordinati con quelli operati dalle autorità statali, aggiungendo la necessità di una particolare tutela per i minori.

Per il governo italiano le attività di ricerca e soccorso (Sar) in acque internazionali, se operate da Ong, e solo in quel caso, devono essere qualificate come “eventi migratori”. Magari “illegali”. Eventi attribuiti alla responsabilità delle ONG, che si tenta ancora di fare passare come facilitazione in favore di scafisti e trafficanti, che si vorrebbero perseguire nell’intero globo, anche se evidentemente godono della complicità di molti governi con cui si tratta.

5. Numerosi comunicati della Commissione europea hanno respinto la tesi italiana che giustificava, soltanto nei confronti delle ONG, la mancata indicazione di un porto di sbarco sicuro, da raggiungere nel tempo più breve ragionevolmente possibile, come dettato dalle Convenzioni internazionali, dagli emendamenti e dalle Linee guida approvate dall’IMO, in favore della competenza prevalente dello Stato di bandiera (Flag State). E già nel 2020 la Raccomandazione della Commissione europea sui soccorsi in mare operati dalle ONG escludeva qualsiasi competenza primaria dello Stato di bandiera della nave soccorritrice, richiamando al contrario senza alcuna differenziazione per le navi umanitarie, le regole generalmente riconosciute sui soccorsi delle imbarcazioni in situazione di di distress (pericolo) in alto mare, L’assistenza richiesta dalle Convenzioni internazionali agli Stati di bandiera non può estendersi dunque fino alla indicazione del porto di sbarco o al trasferimento successivo di naufraghi, che può avvenire solo su base volontaria. In passato la Gran Bretagna, la Francia, la Spagna, e la Germania hanno respinto le richieste italiane di assumere la responsabilità di coordinamento dei soccorsi per garantire lo sbarco a terra dei naufraghi in un porto indicato. dallo Stato di bandiera.

A meno di una modifica sostanziale del vigente Regolamento Dublino del 2013, nessun Paese europeo può essere costretto a prendere a suo carico naufraghi soccorsi nelle zone di ricerca e salvataggio libiche, maltesi o italiane. Ma sono proprio i partiti europei di destra, ed in particolare gli amici ungheresi e polacchi di Giorgia Meloni che hanno impedito, ed impediranno in futuro, qualsiasi modifica del Regolamento UE n. 604/2013 Dublino che si traduca in obblighi vincolanti di accettare naufraghi soccorsi in mare o richiedenti asilo arrivati in Italia.

In base al Regolamento UE n.656 del 2014, tutti i Paesi membri hanno accettato che lo Stato responsabile dell’adempimento degli obblighi di soccorso sia lo Stato di primo contatto». Obblighi di soccorso che, con riferimento all’ordinamento italiano, in base all’art. 10.ter del Testo Unico sull’immigrazione n.286/98 si esauriscono solo con lo sbarco a terra in un porto sicuro.

Secondo l’art.7 del Regolamento Frontex (Guardia di frontiera e costiera europea) n.1896, che richiama per intero il precedente Regolamento n.656 del 2014 “La guardia di frontiera e costiera europea attua la gestione europea integrata delle frontiere come responsabilità condivisa tra l’Agenzia e le autorità nazionali preposte alla gestione delle frontiere, comprese le guardie costiere nella misura in cui svolgono operazioni di sorveglianza delle frontiere marittime e qualsiasi altro compito di controllo di frontiera. Gli Stati membri mantengono la responsabilità primaria della gestione delle loro sezioni di frontiera esterna”.

Lo Stato di primo contatto non è dunque quello della nave soccorritrice, ma va identificato nel primo Paese che ha avuto notizia della richiesta di soccorso. Se il salvataggio avviene in una zona Sar (Search and Rescue) di competenza di uno Stato, deve essere quel Paese a farsi carico delle operazioni di sbarco a terra e dell’accoglienza dei naufraghi. A fronte della sistematica omissione di soccorso di Malta nelle acque internazionali della vasta zona SAR di sua competenza, le autorità italiane non possono ignorare gli eventi di soccorso di cui vengono a conoscenza, nè dovrebbero delegare attività di soccorso a Stati, come avviene con la Libia, che non possono garantire porti sicuri. In questo senso si rinvia alle sentenze sul caso Vos Thalassa del Tribunale di Trapani e della Corte di Cassazione. Ma non si può dimenticare neppure quanto accertato dal Tribunale di Roma nella sentenza sulla strage dell’11 ottobre 2013, di cui tra poco ricorrerà, con la strage di Lampedusa del 3 ottobre 2013, il decennale.

Per il governo italiano, però, giuridicamente, non si può parlare di “naufraghi”, qualifica che può ricorrere invece quando le autorità statali decidono di operare in modalità SAR (Search and Rescue) come si è verificato anche in occasione della strage di Cutro,. Dunque si può parlare di “eventi migratori” e non di attività di ricerca e salvataggio (SAR) che farebbe scattare obblighi di soccorso, di sbarco e di accoglienza in capo allo Stato italiano. Obblighi che dai tempi di Salvini al Viminale, si pensi già al caso Aquarius nel giugno del 2018, e poi al Decreto sicurezza bis n.53 del 2019, si vogliono eludere sistematicamente. Obblighi che possono essere dilazionati nel tempo, con l’assegnazione di porti di sbarco vessatori,sempre più lontani, per tenere distanti più a lungo possibile le navi delle ONG dalle aree di soccorso, come adesso avviene in forza del Decreto legge n.1 del 2023.

6. Secondo l’ammiraglio Caffio, “non c’è obbligo di sbarco nel Paese di bandiera”, e comunque “in questo momento l’Italia non può fare molto per il semplice motivo che gli accordi sono tutti concentrati sul Paese di primo approdo. Le autorità dovrebbero obbligare una nave carica di migranti a rimanere in acque internazionali, attendere che vi siano accordi con il Paese di cui batte bandiera e aspettare che questi migranti siano mandati lì.” Ipotesi veritiera per quanto concerne la incompetenza degli stati di bandiera ad indicare un porto sicuro di sbarco. Ma sul punto del trattenimento dei migranti a bordo delle navi soccorritrici, fino alla conclusione con gli Stati UE delle trattative per la relocation, si tratta di una tesi del tutto smentita dal diritto internazionale, dal Regolamento Dublino del 2013, e dalla più recente giurisprudenza italiana, oltre che dall’art. 10 ter del Testo Unico sull’immigrazione, che prevede lo sbarco immediato delle persone soccorse in mare nei centri Hotspot, senza alcuna distinzione tra i soccorritori e senza richiami agli Stati di bandiera delle navi che sono intervenute. In un’audizione parlamentare del 2017, l’allora Contrammiraglio della Guardia costiera italiana Nicola Carlone ha spiegato che il Regolamento di Dublino «non è applicabile a bordo delle navi», ma entra in vigore solo nel momento in cui i migranti arrivano sulla terraferma.

Per l’Unhcr, il comandante della nave umanitaria, di fronte a un richiedente asilo o a una persona che dica di essere vittima di persecuzioni, ha il dovere di far presente che lui non ha nemmeno l’autorità di ascoltare una richiesta di asilo. Oltre a questo, il diritto internazionale sancisce che ogni persona può richiedere l’asilo in un luogo sicuro “e le navi sono luoghi sicuri, ma temporanei”. Qualsiasi nave di soccorso non può essere considerata a tempo indeterminato come un “place of safety” ed evidenti considerazioni umanitarie, oltre che i principi del diritto internazionale del mare impongono lo sbarco dei naufraghi nel porto sicuro più vicino. Come ha riconosciuto la Corte di cassazione con la sentenza sul caso Rackete del 16-20 febbraio 2020. Una sentenza che ormai ha fatto giurisprudenza.

7La tesi della competenza dello Stato di bandiera è stata già sconfitta lo scorso anno a novembre, quando il governo italiano voleva impedire lo sbarco a Catania di centinaia di naufraghi soccorsi dalla ONG tedesca SOS Humanity e ritenuti “carico residuale”. Il Tribunale Civile di Catania, a febbraio di quest’anno, ha dichiarato illegittimo il decreto Piantedosi sugli “sbarchi selettivi” e ha stabilito che tutte le persone soccorse a novembre del 2022 dalla nave Humanity 1 avevano il diritto di raggiungere un luogo sicuro a terra e di chiedere asilo in Italia. Per il Tribunale di Catania “ricade sullo Stato l’obbligo di prestare assistenza ad “ogni naufrago senza possibilità di distinguere, come sancito nel decreto interministeriale, applicato nella circostanza, in base alle condizioni di salute” e che “una nave in mare che presta assistenza non costituisce “luogo sicuro”, se non in mera via temporanea, giacché essa, oltre ad essere in balia degli eventi metereologici avversi, non consente il rispetto dei diritti fondamentali delle persone migranti soccorse, fra i quali va incluso il loro diritto a presentare domanda di protezione internazionale”.

Appare dunque fuorviante ritenere, come fanno ancora Meloni e Piantedosi, che lo stato di “primo contatto” possa essere lo “stato di bandiera” della nave soccorritrice sulla quale sono saliti i naufraghi, e non invece la prima autorità statale informata dell’evento di soccorso e chiamata a predisporre gli interventi necessari nel tempo più rapido possibile,attivando tutte le forme di coordinamento e di intervento previste dalla Convenzione SAR di Amburgo del 1979. Non sembra neppure che i governi possano applicare il diritto internazionale del mare in materia di salvaguardia della vita umana ed il diritto dei rifugiati a seconda della appartenenza della nave soccorritrice, in ipotesi ad una ONG, o a un vettore commerciale, o a seconda della diversa nazionalità del suo armatore.

Il Mediterraneo centrale è da tempo affollato di navi militari, ben oltre la fallimentare missione europea IRINI, anche per il conflitto latente in Libia, ma le persone che fuggono da quel paese rimangono per giorni abbandonate in alto mare, perchè si attende l’arrivo dei guardiacoste libici. Per questo motivo, qualsiasi silenzio sulle effettive modalità dei soccorsi, sulla loro esatta ubicazione, sulla nazionalità dei naufraghi e sull’intervento di assetti militari di altri paesi, che finiscono per agevolare respingimenti in Libia, costituisce una grave complicità. Soprattutto in questo modo non si riesce ad imporre agli Stati il tempestivo avvio delle attività di ricerca e soccorso in alto mare che sarebbero imposte dalle Convenzioni internazionali e che potrebbero salvare vite che altrimenti vanno perdute.

La collaborazione dell’Unione Europea, anche di alcuni Stati membri come l’Italia, che cedono gratuitamentea a paesi terzi come la Libia e la Tunisia, motovedette e tecnologia militare per la sorveglianza delle frontiere marittime e terrestri, esiste da tempo e implica gravissimi costi umani e spreco di risorse sempre più elevate. Basta incrociare i tracciati dei voli degli aerei di Frontex con i rilevamenti sui luoghi nei quali avvengono i soccorsi, meglio, le intercettazioni, da parte della Guardia costiera libica, per rilevare il grado di collusione tra le autorità militari europee e le milizie libiche.

Sarebbe finalmente tempo che le autorità europee ed il governo italiano prendano atto della scomposizione militare e politica della Libia, aggravata dai recenti disastri ambientali, e lancino campagne di riconciliazione nazionale e per il rispetto dei diritti umani, necessarie anche in Tunisia, aprendo consistenti canali di evacuazione, ben oltre gli attuali esigui “canali umanitari”. Di questo, e non di politiche di “dissuasione dei soccorsi in alto mare”, o di guerra ai soccorsi umanitari, si dovrebbe parlare nei vertici internazionali e negli incontri bilaterali, che si susseguono in questo periodo, senza soluzione di continuità, anche per l’ossessione securitaria e le esigenze di propaganda elettorale che costituiscono, attraverso la diffusione di vere e proprie falsità, l’impronta dominante del governo Meloni.