-Francesco Maria Pezzulli- Le origini dell’università neoliberale in Italia La Pantera siamo noi. \ La Pantera è una figata, \ la
Ruberti una stronzata (…) L’Università
privata?\ La Pantera s'è incazzata. \ Come,
dove, quando vuoi, \ la Pantera siamo noi.\ La Pantera si ribella, \ l’Università
è più bella.\ La Pantera in libertà grida l’Università(…)\ La Pantera siamo noi, \ Nando
Orfei che cazzo vuoi?\ La Pantera affila i denti \ lotta
insieme agli studenti.\ Già la vita è troppo nera \ non
cacciate la pantera
Avrà forse pensato di essere preda di allucinazioni
quel passante che il 27 dicembre del 1989, sulla via Nomentana a Roma, vide
davanti a sé una pantera di grande taglia. La polizia conferma gli
avvistamenti, che cominciano a susseguirsi, e gli italiani si chiedono come sia
possibile il felino non riesca ad essere catturato. Ma la pantera non vuole
finire (o tornare) in gabbia, la pantera è forte, veloce e resiste al freddo. La
pantera non ha paura dello scontro e, se provocata, può far molto male. La
pantera non fu mai catturata. Appena dilagò la notizia l’abbinamento agli
studenti che si opponevano alla Riforma Ruberti fu immediato: due pubblicitari
interni al movimento studentesco coniarono allora lo slogan: «la Pantera siamo
noi», che divenne subito virale tra gli studenti e sui media nazionali.
L’università prospettata da Ruberti, dopo i lunghi
anni ’80, risvegliò gli studenti che si rimisero in movimento: «grazie Ruberti per
averci fatto incontrare», recitava un cartello delle prime manifestazioni alle
quali seguirono le occupazioni di molte facoltà italiane. In un comunicato
della Facoltà di Magistero di Roma, occupata il 15 gennaio del ’90, Laura
scrive che: «ho notato una gran voglia di organizzarci, una disponibilità nuova
a confrontarci, un’apertura mentale che ci unisce in un collante e disperde
l’individualismo a cui gli anni ’80 ci avevano abituato».
La Pantera fu
un movimento di breve durata, ma intenso
nei suoi passaggi decisivi, che colse appieno le trasformazioni che la Riforma
si apprestava a introdurre nelle università e ne contestò alla radice i
presupposti e le modalità di attuazione. Si consolidò nell’autunno del 1989 e
durò sei mesi circa, durante i quali gli studenti ripresero la parola sulle
scelte governative in tema d’istruzione, che criticarono aspramente per diversi
aspetti: la perdita di valore delle facoltà umanistiche a vantaggio di quelle
scientifiche, il declassamento degli atenei minori con più difficoltà a
reperire autonomamente fondi per la ricerca, la crescita degli interessi
privati per orientare le direzioni di ricerca pura e sperimentale, eccetera. Ma
soprattutto, gli studenti capirono che la posta in gioco riguardava il sapere
stesso, le modalità della sua trasmissione e il ruolo sociale disegnato per gli
studenti e per i docenti: da comunità garante della custodia, sviluppo e
trasmissione del sapere, inteso come il principale dei beni comuni, ad
aggregato di servizi specialistici di natura intellettuale.
La richiesta di un sapere sganciato dagli interessi
di mercato, non ideologico, come già vent’anni prima, torna a essere uno dei
motivi centrali della contestazione. Le parole di Rosa, una studentessa di
Lettere e Filosofia, sintetizzano una delle principali convinzioni di quella
generazione di studenti: che il sapere stesse divenendo sempre più ideologico,
pesantemente condizionato da interessi capitalistici, e che pertanto
l’università si apprestava a perdere il proprio carattere scientifico, ossia
l’autonomia di giudizio e il legame con il «vero»: «noi vorremmo che i professori riuscissero a
portare avanti le loro lezioni rendendoci partecipi di quella che è stata la
metodologia della loro ricerca; ossia davanti a un corso monografico dovremmo
sapere da dove il professore è partito e perché è arrivato a determinate
conclusioni. Senza di questo riteniamo che, effettivamente, noi non possiamo
avere una visione completa e chiara di quello che stiamo studiando» [1].
Quanta saggezza! Ma furono anch’esse parole
inascoltate e senza contraddittorio. Questa, in sintesi, la cronaca dei fatti:
il 5 dicembre 1989 gli studenti occuparono la facoltà di Lettere di Palermo e
dopo pochi giorni altre sette facoltà seguiranno l’esempio. Il 20 dicembre nel
capoluogo siciliano scendono in piazza circa diecimila studenti mentre in ogni
città vengono convocate assemblee d’ateneo per discutere del progetto della
Riforma Ruberti, che termineranno puntualmente nella scelta di occupare. Il 1º
febbraio venne convocata a Palermo la prima assemblea nazionale del movimento,
che propose un allargamento ad altre categorie, come docenti, personale
amministrativo, tecnico e assegnisti di ricerca, ma che nella sostanza fu
incapace di individuare forme di lotta al di fuori dell’occupazione. Una nuova
assemblea nazionale, questa volta a Firenze il 1º marzo, conta ancora tutte le
facoltà occupate. Il 17 marzo 1990, invece, circa cinquantamila studenti
manifestarono a Napoli, nonostante molte facoltà fossero quasi sul procinto di
terminare l’occupazione. L’ultima di queste fu la facoltà di Architettura di
Palermo, il 9 aprile, dopo 127 giorni di occupazione [2]. C’è da aggiungere che
pochi giorni dopo l'assemblea nazionale, in uno dei seminari autogestiti del
movimento romano, intitolato «Vecchi e nuovi movimenti», prese la parola un ex militante
delle brigate rosse; fatto per cui pretestuosamente si cominciò a discutere di
legami del movimento con la lotta armata ed insinuare la fantasiosa ipotesi che
qualcuno stesse usando la Pantera per ricostruire un'opposizione armata allo
Stato. I quotidiani nazionali (non solo di destra) diffusero cosi notizie dal
tenore scandalistico che per giorni tennero banco sulle prime pagine, ed ebbero
l’effetto di generare una evidente difficoltà di relazione tra la cittadinanza
e gli studenti, che fino ad allora avevano cercato di apparire non ideologici,
trasversalisti e mai violenti. Il primo giornale a cominciare la tarantella
delle calunnie fu «la Repubblica»: «L’ex Br al movimento. grazie a voi gli anni
‘80 sono proprio finiti». Segue il giorno successivo l’affidabile «Corriere
della sera» con «La Pantera nella trappola del terrorismo» e cosi via
praticamente tutti i giornali italiani a parte «l’Unità» e il «il manifesto»
[3].
Ripercorrendo gli avvenimenti possiamo dire che il
mese di febbraio si rivelò quello con maggiori difficoltà per resistere nelle
università, il movimento infatti vide sorgere delle crepe nel momento in cui il
ministro Ruberti annunciò alcuni emendamenti alla legge di riforma che andavano
incontro alle richieste degli studenti «controccupanti», raccolti dalle sigle
delle federazioni giovanili di tutti i partiti, escluso il Partito Comunista e
Democrazia Proletaria. Dividi et impera. Questi emendamenti concedevano rappresentanza
negli organi centrali e rendevano obbligatori i pareri del Consiglio degli
Studenti. A questo punto, l’ala «moderata» del movimento, raccolta intorno alla
Federazione Giovanile Comunista Italiana (Fgci), cominciò a considerare
plausibili tali emendamenti, cosi come consigliava una parte importante del
Partito Comunista Italiano che, per bocca di Nilde Iotti (Presidente della
Camera dei Deputati) e di Umberto Ranieri (Resp. nazionale Università), suggerì
con forza di liberare gli atenei, di consentire la ripresa di lezioni ed esami
e di accogliere l’offerta a trattare avanzata dal ministro Ruberti. In questo
clima, all’assemblea del 1° marzo 1990 a Firenze l'ala «dura» del movimento,
vicina all'area dei Centri sociali e dell’antagonismo, fece passare ancora una
volta il rifiuto del progetto Ruberti nella sua interezza, ma con esso fu
sancita anche la spaccatura definitiva del movimento, che portò a distanza di
qualche anno alla nascita dell'Unione degli studenti (Uds). Dopo la
manifestazione di Napoli la Pantera come movimento di massa era terminato.
Ovunque le facoltà smobilitavano. Il movimento non riuscì essenzialmente a
darsi obiettivi concretamente raggiungibili capaci di dare vitalità alla
mobilitazione e la parte più consistente del movimento, i cosiddetti «cani
sciolti», abbandonarono l’esperienza che aveva ormai perso i propri punti di
riferimento.
Qualcosa di importante ha comunque rappresentato la
Pantera, se ancora oggi chi partecipò attivamente a quella esperienza ricorda
che quei mesi di agitazione furono lo spartiacque della propria vita. Con
queste parole, a più riprese ribadite dai partecipanti al «trentennale», un
protagonista parla della fine del movimento:
«Il 9 maggio sulle scale della Minerva, la celere ci diede una bella
ripassata e fu la fine. Così ricordo, almeno. Ma il movimento ci aveva segnato
in maniera indelebile con la sua socialità autogestita, i suoi spazi non
mercificati, l’idea che si poteva decidere tutti insieme un altro destino.
Erano finiti gli anni Ottanta. Non ci siamo più persi di vista. Abbiamo
frequentato i centri sociali e ne abbiamo occupato di nuovi che somigliavano
sempre più alle nostre facoltà occupate, abbiamo fondato e chiuso giornali,
abbiamo innervato l’esperienza della Rifondazione Comunista, girato il mondo
appresso al movimento no global» [4].
Oggi, a distanza di tanto tempo, possiamo dire che
la Pantera seppe attualizzare alcune pratiche del movimento studentesco degli
anni ’70 (come le occupazioni, l’autoformazione, le assemblee, eccetera) e
reinventò in modo autonomo la comunicazione politica di allora, dagli slogan
virali ai videoclip a tutto quello che le tecnologie dell’epoca permettevano.
Illuminante, in tal senso, fu una delle prime azioni della Pantera, quando, il
15 gennaio, al termine di un'assemblea affollata alla facoltà di Lettere, gli
studenti entrarono nella stanza del preside con due precise richieste: le
chiavi della facoltà e il fax «per comunicare con il mondo». Misero allora in
rete, con i fax, le diverse università occupate e per un breve periodo comunicarono
davvero con il mondo, divenendo tra l’altro il punto informativo internazionale
dei fatti di Piazza Tienanmen [5].
Come è spesso accaduto nella storia dei movimenti
sociali, la pantera intuì e anticipò molte delle innovazioni della propria
epoca, che nel caso specifico si diedero sul terreno della comunicazione, per
utilizzarle «contro», per metterle cioè a disposizione di chi scelse la via
della resistenza e della lotta sociale. Ma c’è da aggiungere che, come è
altrettanto spesso accaduto, tali innovazioni vennero ben presto fatte proprie
dagli organismi politici e dalle corporation economiche, che le riorganizzarono
rispettivamente per finalità di marketing elettorale e di massimo incremento
del consumo di merci.
NOTE
[1] Coop. Etabeta e Europa Cine 2000, La Pantera 90, vedi www.youtube.com/watch?v=5eynqfY_c3A.
[2] Per un approfondimento dei momenti cruciali e delle
occupazioni del movimento della pantera vedi N. Simone, Gli studenti della pantera. Storia di un
movimento rimosso, Ed. Alegre, Roma 2010.
[3] «il vento di una protesta studentesca che qua è là
appare intollerante e manichea rischia di risvegliare certi fantasmi sconfitti
venti anni fa» (G. S. su «La Stampa») … «È fin troppo evidente che si tratta di
un movimento finto, imitativo, ricalcato sul Sessantotto, perfino retrivo,
contrario all’innovazione, senz’anima (ammesso che i movimenti ne abbiano una),
sprovvisto anche di quel delirio rivoluzionario che vent’anni fa spingeva
ciecamente gli studenti all’assalto di orizzonti illusori» (Saverio Vertone su
«L’Europeo») … «Quale oscura sequenza del messaggio cromosomico determina
questa coazione a ripetere il plagio da una generazione all’altra? Ecco ancora
facoltà universitarie occupate, portoni sbarrati, esami bloccati, assemblee
permanenti» (Alberto Ronchey su «Corriere della Sera»). I brani riportati in
questa Nota sono stati estratti da Checchino Antonini, Memorie, le onde lunghe della Pantera, in Popoff quotidiano del
27/12/2021. (https://www.popoffquotidiano.it/2021/12/27/memoria-le-onde-lunghe-della-pantera/)
[4] C. Antonini, La pantera torna a Roma, in https://romareport.it/2020/01/14/la-pantera-torna-a-roma.
[5] «Il movimento sviluppò per le comunicazioni interne una
“retefax", precursore delle attuali e diffuse mailing list, che divenne
uno dei segni di riconoscimento degli studenti e che serviva da aggiornamento
continuo sui fatti che accadevano nelle occupazioni. Accanto alla retefax si
registra il primo caso strutturato di social network a sfondo politico con la
rete Okkupanet, ad opera, tra gli altri, di Simone Botti e Andrea Mazzucchi.
Questa rete, oltre ad unire le facoltà scientifiche, già all'epoca collegate
tra di loro con i computer Vax mediante rete DECnet, rappresentò un
fondamentale punto di raccolta delle informazioni relative ai fatti di Piazza
Tienanmen in Cina. Le autorità cinesi, probabilmente all'oscuro dell'esistenza
del nuovo mezzo di comunicazione, non avevano infatti interrotto la rete
telematica ed i messaggi dalle università cinesi, ripuliti dagli header che
avrebbero permesso di identificarne la sorgente, venivano regolarmente passati
alla stampa italiana dai comitati stampa delle facoltà scientifiche romane».
Cfr., Pantera (movimento studentesco),
//it.wikipedia.org/w/index.php?title=Pantera_(movimento_studentesco)&oldid=112972762
(in data 15 novembre 2020).
La Pantera siamo noi. \ La Pantera è una figata, \ la Ruberti una stronzata (…) L’Università privata?\ La Pantera s'è incazzata. \ Come, dove, quando vuoi, \ la Pantera siamo noi.\ La Pantera si ribella, \ l’Università è più bella.\ La Pantera in libertà grida l’Università(…)\ La Pantera siamo noi, \ Nando Orfei che cazzo vuoi?\ La Pantera affila i denti \ lotta insieme agli studenti.\ Già la vita è troppo nera \ non cacciate la pantera
Avrà forse pensato di essere preda di allucinazioni quel passante che il 27 dicembre del 1989, sulla via Nomentana a Roma, vide davanti a sé una pantera di grande taglia. La polizia conferma gli avvistamenti, che cominciano a susseguirsi, e gli italiani si chiedono come sia possibile il felino non riesca ad essere catturato. Ma la pantera non vuole finire (o tornare) in gabbia, la pantera è forte, veloce e resiste al freddo. La pantera non ha paura dello scontro e, se provocata, può far molto male. La pantera non fu mai catturata. Appena dilagò la notizia l’abbinamento agli studenti che si opponevano alla Riforma Ruberti fu immediato: due pubblicitari interni al movimento studentesco coniarono allora lo slogan: «la Pantera siamo noi», che divenne subito virale tra gli studenti e sui media nazionali.
L’università prospettata da Ruberti, dopo i lunghi anni ’80, risvegliò gli studenti che si rimisero in movimento: «grazie Ruberti per averci fatto incontrare», recitava un cartello delle prime manifestazioni alle quali seguirono le occupazioni di molte facoltà italiane. In un comunicato della Facoltà di Magistero di Roma, occupata il 15 gennaio del ’90, Laura scrive che: «ho notato una gran voglia di organizzarci, una disponibilità nuova a confrontarci, un’apertura mentale che ci unisce in un collante e disperde l’individualismo a cui gli anni ’80 ci avevano abituato».
La Pantera fu un movimento di breve durata, ma intenso nei suoi passaggi decisivi, che colse appieno le trasformazioni che la Riforma si apprestava a introdurre nelle università e ne contestò alla radice i presupposti e le modalità di attuazione. Si consolidò nell’autunno del 1989 e durò sei mesi circa, durante i quali gli studenti ripresero la parola sulle scelte governative in tema d’istruzione, che criticarono aspramente per diversi aspetti: la perdita di valore delle facoltà umanistiche a vantaggio di quelle scientifiche, il declassamento degli atenei minori con più difficoltà a reperire autonomamente fondi per la ricerca, la crescita degli interessi privati per orientare le direzioni di ricerca pura e sperimentale, eccetera. Ma soprattutto, gli studenti capirono che la posta in gioco riguardava il sapere stesso, le modalità della sua trasmissione e il ruolo sociale disegnato per gli studenti e per i docenti: da comunità garante della custodia, sviluppo e trasmissione del sapere, inteso come il principale dei beni comuni, ad aggregato di servizi specialistici di natura intellettuale.
La richiesta di un sapere sganciato dagli interessi di mercato, non ideologico, come già vent’anni prima, torna a essere uno dei motivi centrali della contestazione. Le parole di Rosa, una studentessa di Lettere e Filosofia, sintetizzano una delle principali convinzioni di quella generazione di studenti: che il sapere stesse divenendo sempre più ideologico, pesantemente condizionato da interessi capitalistici, e che pertanto l’università si apprestava a perdere il proprio carattere scientifico, ossia l’autonomia di giudizio e il legame con il «vero»: «noi vorremmo che i professori riuscissero a portare avanti le loro lezioni rendendoci partecipi di quella che è stata la metodologia della loro ricerca; ossia davanti a un corso monografico dovremmo sapere da dove il professore è partito e perché è arrivato a determinate conclusioni. Senza di questo riteniamo che, effettivamente, noi non possiamo avere una visione completa e chiara di quello che stiamo studiando» [1].
Quanta saggezza! Ma furono anch’esse parole inascoltate e senza contraddittorio. Questa, in sintesi, la cronaca dei fatti: il 5 dicembre 1989 gli studenti occuparono la facoltà di Lettere di Palermo e dopo pochi giorni altre sette facoltà seguiranno l’esempio. Il 20 dicembre nel capoluogo siciliano scendono in piazza circa diecimila studenti mentre in ogni città vengono convocate assemblee d’ateneo per discutere del progetto della Riforma Ruberti, che termineranno puntualmente nella scelta di occupare. Il 1º febbraio venne convocata a Palermo la prima assemblea nazionale del movimento, che propose un allargamento ad altre categorie, come docenti, personale amministrativo, tecnico e assegnisti di ricerca, ma che nella sostanza fu incapace di individuare forme di lotta al di fuori dell’occupazione. Una nuova assemblea nazionale, questa volta a Firenze il 1º marzo, conta ancora tutte le facoltà occupate. Il 17 marzo 1990, invece, circa cinquantamila studenti manifestarono a Napoli, nonostante molte facoltà fossero quasi sul procinto di terminare l’occupazione. L’ultima di queste fu la facoltà di Architettura di Palermo, il 9 aprile, dopo 127 giorni di occupazione [2]. C’è da aggiungere che pochi giorni dopo l'assemblea nazionale, in uno dei seminari autogestiti del movimento romano, intitolato «Vecchi e nuovi movimenti», prese la parola un ex militante delle brigate rosse; fatto per cui pretestuosamente si cominciò a discutere di legami del movimento con la lotta armata ed insinuare la fantasiosa ipotesi che qualcuno stesse usando la Pantera per ricostruire un'opposizione armata allo Stato. I quotidiani nazionali (non solo di destra) diffusero cosi notizie dal tenore scandalistico che per giorni tennero banco sulle prime pagine, ed ebbero l’effetto di generare una evidente difficoltà di relazione tra la cittadinanza e gli studenti, che fino ad allora avevano cercato di apparire non ideologici, trasversalisti e mai violenti. Il primo giornale a cominciare la tarantella delle calunnie fu «la Repubblica»: «L’ex Br al movimento. grazie a voi gli anni ‘80 sono proprio finiti». Segue il giorno successivo l’affidabile «Corriere della sera» con «La Pantera nella trappola del terrorismo» e cosi via praticamente tutti i giornali italiani a parte «l’Unità» e il «il manifesto» [3].
Ripercorrendo gli avvenimenti possiamo dire che il mese di febbraio si rivelò quello con maggiori difficoltà per resistere nelle università, il movimento infatti vide sorgere delle crepe nel momento in cui il ministro Ruberti annunciò alcuni emendamenti alla legge di riforma che andavano incontro alle richieste degli studenti «controccupanti», raccolti dalle sigle delle federazioni giovanili di tutti i partiti, escluso il Partito Comunista e Democrazia Proletaria. Dividi et impera. Questi emendamenti concedevano rappresentanza negli organi centrali e rendevano obbligatori i pareri del Consiglio degli Studenti. A questo punto, l’ala «moderata» del movimento, raccolta intorno alla Federazione Giovanile Comunista Italiana (Fgci), cominciò a considerare plausibili tali emendamenti, cosi come consigliava una parte importante del Partito Comunista Italiano che, per bocca di Nilde Iotti (Presidente della Camera dei Deputati) e di Umberto Ranieri (Resp. nazionale Università), suggerì con forza di liberare gli atenei, di consentire la ripresa di lezioni ed esami e di accogliere l’offerta a trattare avanzata dal ministro Ruberti. In questo clima, all’assemblea del 1° marzo 1990 a Firenze l'ala «dura» del movimento, vicina all'area dei Centri sociali e dell’antagonismo, fece passare ancora una volta il rifiuto del progetto Ruberti nella sua interezza, ma con esso fu sancita anche la spaccatura definitiva del movimento, che portò a distanza di qualche anno alla nascita dell'Unione degli studenti (Uds). Dopo la manifestazione di Napoli la Pantera come movimento di massa era terminato. Ovunque le facoltà smobilitavano. Il movimento non riuscì essenzialmente a darsi obiettivi concretamente raggiungibili capaci di dare vitalità alla mobilitazione e la parte più consistente del movimento, i cosiddetti «cani sciolti», abbandonarono l’esperienza che aveva ormai perso i propri punti di riferimento.
Qualcosa di importante ha comunque rappresentato la Pantera, se ancora oggi chi partecipò attivamente a quella esperienza ricorda che quei mesi di agitazione furono lo spartiacque della propria vita. Con queste parole, a più riprese ribadite dai partecipanti al «trentennale», un protagonista parla della fine del movimento: «Il 9 maggio sulle scale della Minerva, la celere ci diede una bella ripassata e fu la fine. Così ricordo, almeno. Ma il movimento ci aveva segnato in maniera indelebile con la sua socialità autogestita, i suoi spazi non mercificati, l’idea che si poteva decidere tutti insieme un altro destino. Erano finiti gli anni Ottanta. Non ci siamo più persi di vista. Abbiamo frequentato i centri sociali e ne abbiamo occupato di nuovi che somigliavano sempre più alle nostre facoltà occupate, abbiamo fondato e chiuso giornali, abbiamo innervato l’esperienza della Rifondazione Comunista, girato il mondo appresso al movimento no global» [4].
Oggi, a distanza di tanto tempo, possiamo dire che la Pantera seppe attualizzare alcune pratiche del movimento studentesco degli anni ’70 (come le occupazioni, l’autoformazione, le assemblee, eccetera) e reinventò in modo autonomo la comunicazione politica di allora, dagli slogan virali ai videoclip a tutto quello che le tecnologie dell’epoca permettevano. Illuminante, in tal senso, fu una delle prime azioni della Pantera, quando, il 15 gennaio, al termine di un'assemblea affollata alla facoltà di Lettere, gli studenti entrarono nella stanza del preside con due precise richieste: le chiavi della facoltà e il fax «per comunicare con il mondo». Misero allora in rete, con i fax, le diverse università occupate e per un breve periodo comunicarono davvero con il mondo, divenendo tra l’altro il punto informativo internazionale dei fatti di Piazza Tienanmen [5].
Come è spesso accaduto nella storia dei movimenti
sociali, la pantera intuì e anticipò molte delle innovazioni della propria
epoca, che nel caso specifico si diedero sul terreno della comunicazione, per
utilizzarle «contro», per metterle cioè a disposizione di chi scelse la via
della resistenza e della lotta sociale. Ma c’è da aggiungere che, come è
altrettanto spesso accaduto, tali innovazioni vennero ben presto fatte proprie
dagli organismi politici e dalle corporation economiche, che le riorganizzarono
rispettivamente per finalità di marketing elettorale e di massimo incremento
del consumo di merci.
NOTE
[1] Coop. Etabeta e Europa Cine 2000, La Pantera 90, vedi www.youtube.com/watch?v=5eynqfY_c3A.
[2] Per un approfondimento dei momenti cruciali e delle
occupazioni del movimento della pantera vedi N. Simone, Gli studenti della pantera. Storia di un
movimento rimosso, Ed. Alegre, Roma 2010.
[3] «il vento di una protesta studentesca che qua è là
appare intollerante e manichea rischia di risvegliare certi fantasmi sconfitti
venti anni fa» (G. S. su «La Stampa») … «È fin troppo evidente che si tratta di
un movimento finto, imitativo, ricalcato sul Sessantotto, perfino retrivo,
contrario all’innovazione, senz’anima (ammesso che i movimenti ne abbiano una),
sprovvisto anche di quel delirio rivoluzionario che vent’anni fa spingeva
ciecamente gli studenti all’assalto di orizzonti illusori» (Saverio Vertone su
«L’Europeo») … «Quale oscura sequenza del messaggio cromosomico determina
questa coazione a ripetere il plagio da una generazione all’altra? Ecco ancora
facoltà universitarie occupate, portoni sbarrati, esami bloccati, assemblee
permanenti» (Alberto Ronchey su «Corriere della Sera»). I brani riportati in
questa Nota sono stati estratti da Checchino Antonini, Memorie, le onde lunghe della Pantera, in Popoff quotidiano del
27/12/2021. (https://www.popoffquotidiano.it/2021/12/27/memoria-le-onde-lunghe-della-pantera/)
[4] C. Antonini, La pantera torna a Roma, in https://romareport.it/2020/01/14/la-pantera-torna-a-roma.
[5] «Il movimento sviluppò per le comunicazioni interne una
“retefax", precursore delle attuali e diffuse mailing list, che divenne
uno dei segni di riconoscimento degli studenti e che serviva da aggiornamento
continuo sui fatti che accadevano nelle occupazioni. Accanto alla retefax si
registra il primo caso strutturato di social network a sfondo politico con la
rete Okkupanet, ad opera, tra gli altri, di Simone Botti e Andrea Mazzucchi.
Questa rete, oltre ad unire le facoltà scientifiche, già all'epoca collegate
tra di loro con i computer Vax mediante rete DECnet, rappresentò un
fondamentale punto di raccolta delle informazioni relative ai fatti di Piazza
Tienanmen in Cina. Le autorità cinesi, probabilmente all'oscuro dell'esistenza
del nuovo mezzo di comunicazione, non avevano infatti interrotto la rete
telematica ed i messaggi dalle università cinesi, ripuliti dagli header che
avrebbero permesso di identificarne la sorgente, venivano regolarmente passati
alla stampa italiana dai comitati stampa delle facoltà scientifiche romane».
Cfr., Pantera (movimento studentesco),
//it.wikipedia.org/w/index.php?title=Pantera_(movimento_studentesco)&oldid=112972762 (in data 15 novembre 2020).