- Fulvio Vassallo Paleologo -
non è immigrazione clandestina l'attività di ricerca e
salvataggio in acque internazionali
1. A Palermo si può davvero parlare di un processo capovolto. Basta ascoltare le registrazioni audio delle udienze su Radio radicale.. La difesa di Salvini, subito sostenuta dai media più vicini, ha cercato di giustificare il rifiuto arbitrario nella indicazione del porto di sbarco e il prolungato trattenimento a bordo di Open Arms in acque nazionali, contestando le attività di ricerca e soccorso svolte al tempo dei fatti, nell’agosto del 2019, dalla nave umanitaria in acque internazionali. Da ultimo la difesa ha chiesto di utilizzare addirittura un filmato dei primi soccorsi in acque internazionali girato da un misterioso sommergibile italiano, spuntato fuori durante l’audizione del Capo dipartimento del ministero dell’interno Mancini, su circostanze del tutto ininfluenti sull’accertamento delle responsabilità dell’imputato, che aveva negato la indicazione di un porto di sbarco sicuro in contrasto con quanto previsto dal Diritto internazionale. Sembra svanire nel corso delle udienze dibattimentali quello che costituisce il principale capo di imputazione a carico dell’imputato, il senatore Salvini, che è stato rinviato a giudizio per abuso d’ufficio e sequestro di persona. Un reato che, nella prospettazione dell’accusa, si sarebbe perfezionato quando la nave si trovava in acque territoriali. Si deve ricordare al riguardo che il reato di sequestro di persona non richiede un dolo specifico, essendo invero sufficiente il dolo generico “consistente nella consapevolezza di infliggere alla vittima la illegittima restrizione della sua ibertà fisica,intesa come libertà di locomozione”(Cass.Pen.,sez.V,n.19548/2013). Ma di tutto questo sembra che al processo Salvini-Open Arms non si debba parlare, ed i diversivi messi in atto dalla difesa hanno fin qui permesso di capovolgere il ruolo delle parti processuali e di mettere sotto accusa i comportamenti della ONG Open Arms. Si tratterebbe invece di accertare se era “illegittima” la “restrizione della libertà fisica, intesa come libertà di locomozione” inflitta ai naufraghi soccorsi nell’agosto del 2019 dalla nave Open Arms ai quali veniva negato per settimane lo sbarco in un luogo sicuro (place of safety-POS), quali che fossero le motivazioni dell’ex ministro Salvini.
Come si era verificato nelle udienze precedenti, di cui sono reperibili le registrazioni audio, su Radio Radicale. le dichiarazioni della difesa non hanno avuto alcuna attinenza con i reati contestati, ma si sono limitate ad attaccare le ONG, continuando a definire le loro attività come “agevolazione dell’immigrazione clandestina”, o come attività di soccorso non autorizzata(!), se non a offendere, per il tono sprezzante adottato, la dignità del Tribunale, degli avvocati di parte civile e dei testimoni. Una linea di attacco che sottende ad un ragionamento molto cinico che si nasconde dietro il mantra della “difesa dei confini nazionali” e del contrasto dell’immigrazione clandestina: favorire le intercettazioni da parte della sedicente guardia costiera “libica” e lasciare morire le persone in acque internazionali se gli Stati non rispondono alle richieste di coordinamento inoltrate dalle navi umanitarie in presenza di un evento di soccorso. Il coordinamento dei soccorsi da parte degli Stati responsabili di zone Sar contigue è invece un obbligo a carico delle autorità statali preposte, in base alle Convenzioni internazionali, come è scritto a chiare lettere nelle Convenzioni internazionali e nei documenti ufficiali della Guardia costiera italiana, non un onere che incombe sulle Ong. E l’assenza di soccorso in acque internazionali non si può tradurre nella delega dei respingimenti collettivi alla guardia costiera libica, notoriamente infiltrata dai trafficanti, soprattutto in caso di presenza, nella zona dei soccorsi, di assetti militari italiani ed europei (Eunavfor Med e Frontex).
Tutte le autorità di governo, in tutti i paesi delle due sponde del Mediterraneo, almeno dal 2017, stanno sistematicamente violando gli obblighi di soccorso in mare imposti dalle Convenzioni internazionali di diritto del mare. Neppure la missione europea a guida italiana Eunavfor Med IRINI riesce a garantire effettivamente gli obblighi di soccorso che pure deriverebbero a suo carico, da quando è collegata all’agenzia FRONTEX, dal Regolamento europeo n.656/2014. Di fronte alla presenza in mare di decine di imbarcazioni contemporaneamente, facilmente tracciabili dai mezzi militari presenti in zona, manca qualsiasi coordinamento mirato alla salvaguardia della vita umana in mare ed allo sbarco dei naufraghi in un porto sicuro, nel quale possano fare valere anche una richiesta di asilo, come sarebbe imposto anche dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra. Diritto negato a centinaia di naufraghi, soccorsi nei pressi delle piattaforme petrolifere offshore in acque internazionali al largo del confine tra la Libia e la Tunisia, e riportati in questi paesi senza alcun rispetto per il loro diritto ad essere sbarcati in un porto sicuro nel quale potere chiedere asilo, come si è ripetuto in diverse occasioni. Di fatto queste prassi illegali hanno cancellato la Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951 e le correlate Direttive europee in materia di protezione internazionale e di rimpatri.
Il principio di non refoulement sancito dall’art.33 della Convenzione di Ginevra implica “no rejection at frontiers without access to fair and effective procedures for determining status and protection needs”. Come ha ribadito l’UNHCR ciò dovrebbe comportare in linea generale che la persona intercettata in acque internazionali abbia accesso alle procedure nello Stato che ha effettuato l’intercettazione, poiché questo di solito consente sia l’accesso alle strutture di accoglienza, sia eque ed efficienti procedure d’asilo, nel rispetto degli standards garantiti dal diritto internazionale. Secondo l’UNHCR, «il soccorso in mare è una tradizione secolare e un obbligo che non si esaurisce tirandole persone fuori dall’acqua. Un salvataggio può essere considerato completo una volta che i passeggeri hanno raggiunto la terraferma in un porto sicuro». Come afferma l’UNHCR, nel determinare se gli obblighi di uno Stato sui diritti umani sussistono nei confronti di una determinata persona, il criterio decisivo non è se quella persona si trovi sul territorio nazionale di quello Stato, o all’interno di un territorio che sia de jure sotto il controllo sovrano dello Stato, quanto piuttosto se egli o ella sia o meno soggetto all’effettiva autorità di quello Stato. Nei suoi documenti ” l’UNHCR chiede nuovi sforzi per limitare la perdita di vite in mare, tra cui il ritorno delle navi di ricerca e soccorso degli Stati Membri dell’UE. Le restrizioni legali e logistiche alle operazioni di ricerca e soccorso delle ONG, sia in mare che per via aerea, devono essere eliminate. Gli Stati costieri dovrebbero facilitare, non ostacolare, gli sforzi volontari per evitare le morti in mare”.
2. La falsa giustificazione del Tavolo tecnico interministeriale del 2019
Un “Tavolo tecnico interministeriale” non puo’ modificare gli obblighi di tempestiva indicazione di un porto di sbarco sicuro(POS- Place of safety) a carico degli Stati.e in Itslia al ministro dell’interno. Almeno se si continua a riconoscere che gli atti aventi forza di legge, e le norme di diritto internazionale, valgono ancora più di atti discrezionali del potere esecutivo, come sancisce la Costituzione italiana (art.117) . L’art. 10 ter, comma 1, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (introdotto con d.l. 17 febbraio 2017 n. 13, conv. in l. 13 aprile 2017 n. 46), esclude qualsiasi ipotesi di trattenimento dei naufraghi a bordo delle navi coinvolte in eventi di soccorso (SAR), ai quali viene garantito l’immediato trasferimento in appositi centri di accoglienza (Hotspot), per i rilievi foto-dattiloscopico e segnaletico, e per le eventuali richieste di protezione internazionale.
Il comma 9-quinquies dell’art.12 del Testo unico 286/98, come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189 (Bossi-Fini), stabiliva, poi, che le modalità di intervento delle Unità della Marina militare, e di collaborazione con altre unità navali, dovevano essere definite con decreto interministeriale dei Ministri dell’interno, della difesa, dell’economia e delle finanze e delle infrastrutture e dei trasporti. In attuazione degli articoli 11 e 12 della stessa legge Bossi-Fini veniva quindi adottato il decreto interministeriale del 14 luglio 2003 (pubblicato sulla G.U. Serie generale n. 220 del 22 settembre 2003) che dettava le regole di comportamento per gli assetti aero-navali della Marina militare, delle Capitanerie di Porto e delle Forze di Polizia impegnate nelle attività di controllo delle frontiere marittime, stabilendo che «l’azione di contrasto deve essere sempre improntata alla salvaguardia della vita umana e al rispetto della dignità della persona» (art. 7, co. 1). Nel quadro dei vasti poteri di indirizzo attribuiti al Ministero dell’interno, l’art. 5, comma 4 del decreto individuava, per quanto concerne le acque internazionali, nel Comando in capo della squadra navale (CINCNAV), il «raccordo delle fasi di pianificazione» dell’attività di prevenzione e contrasto dell’immigrazione clandestina via mare, mentre rimanevano confermate le competenze prevalenti della Guardia di finanza nella zona contigua e della Guardia costiera nelle acque territoriali.L’aumento dei soccorsi operati in acque internazionali o al limite delle acque territoriali, le controversie insorte tra autorità SAR di Stati diversi, e i casi di naufragio che già si registravano allora, rendevano necessario un continuo adeguamento delle linee operative previste per le attività di ricerca e salvataggio in alto mare. A tale riguardo, nel mese di ottobre del 2009, venivano adottate, dal Comandante generale del Corpo delle Capitanerie di Porto, le «Linee Guida per l’impiego delle risorse SAR nelle aree situate al di fuori della SRR Italiana nel corso di eventi riguardanti il controllo del flusso dei migranti»16. In base a tali linee guida, a seguito di segnalazione all’IMRCC dell’avvistamento di un’unità navale non identificata in navigazione oltre i limiti della SRR Italiana, che verosimilmente trasportava migranti in direzione delle coste nazionali, lo stesso IMRCC provvedeva alla diffusione delle informazioni relative all’evento stesso secondo le previsioni dell’accordo tecnico operativo per gli interventi connessi con il fenomeno dell’immigrazione clandestina via mare, di cui al decreto interministeriale 14 luglio 2003. A questo punto la Centrale operativa, ai sensi del punto 4.2.4 della Convenzione SAR del 1979, nella sua veste di IMRCC, procedeva immediatamente all’acquisizione delle informazioni necessarie e valutava l’evento sotto il profilo della salvaguardia della vita umana in mare, onde determinare se vi fossero condizioni di pericolo grave e imminente e necessità di immediata assistenza per gli occupanti dell’unità.
In base alle “Linee Guida” adottate nel 2009 dal Corpo delle Capitanerie di porto, atti che non hanno natura legislativa, e che dunque non possono anteporsi alle norme aventi forza di legge come le Convenzioni internazionali ratificate con legge dello Stato, “a seguito di segnalazione all’I.M.R.C.C. ( Centrale di coordinamento della Guardia costiera italiana) dell’avvistamento di un’unità navale non identificata in navigazione oltre i limiti della S.R.R. Italiana, che verosimilmente trasporta migranti in direzione delle coste nazionali, lo stesso I.M.R.C.C. provvede alla diffusione delle informazioni relative all’evento stesso secondo le previsioni dell’accordo tecnico operativo per gli interventi connessi con il fenomeno dell’immigrazione clandestina via mare, di cui al Decreto Interministeriale 14.7.2003; a questo punto la Centrale Operativa, ai sensi del punto 4.2.4 della Convenzione S.A.R. del 1979, nella sua veste di I.M.R.C.C., procede immediatamente all’acquisizione delle informazioni necessarie e valuta l’evento sotto il profilo della salvaguardia della vita umana in mare, onde determinare se vi siano condizioni di pericolo grave e imminente e necessità di immediata assistenza per gli occupanti dell’unità. A tal fine le unità aeronavali eventualmente presenti nella scena d’azione provvederanno ad acquisire e trasmettere, con il mezzo di comunicazione più idoneo, secondo quanto previsto dal punto 4.4 della Convenzione S.A.R.’del 1979, all’I.M.R.C.C. i seguenti elementi per la classificazione dell’evento (S.A.R. – non S.A.R.): posizione geografica, ora dell’avvistamento, condizioni meteo-marine, dimensioni e tipologia dell’unità, suo bordo libero (galleggiamento), numero delle persone a bordo e loro condizioni fisiche, eventuale presenza tra essi di donne in stato di gravidanza, bambini, malati, traumatizzati, presenza di cadaveri nei pressi dell’unità; dotazioni di sicurezza presenti a bordo, elementi del moto, altri elementi utili a discrezione del rapportante.
Le linee guida del 2009 sono state sostituite dalla Direttiva SOP 009/15 adottata nel 2015 dal Corpo delle capitanerie di porto – Guardia costiera, nelle quali si precisava che “le richieste di assegnazione di un POS vengono trasmesse dalla Centrale IMRCC al Dipartimento libertà civili del ministero dell’interno e che tale Dipartimento terrà in considerazione l’esigenza di “limitare per quanto possibile la permanenza a bordo delle persone soccorse e di far subire alle navi soccorritrici la minima deviazione possibile dal viaggio programmato”.
Non si può adesso ritenere che a seguito del “Tavolo tecnico” tenutosi presso il Ministero dell’interno del 12/2/2019, a differenza di quanto previsto in passato, il rilascio di un porto sicuro di sbarco, per cui si indicava la competenza del ministero dell’interno, fosse consentito “soltanto dopo che si fossero attivate le interlocuzioni con la Commissione Europea per la redistribuzione dei migranti tra i vari paesi dell’UE”. Non si può dimenticare, a questo proposito, come in numerose dichiarazioni lo stesso Salvini avesse riconosciuto che il trattenimento dei naufraghi a bordo della Open Arms avrebbe dovuto costituire un’arma di pressione per vincere le resistenze di altri paesi europei nella redistribuzione dei migranti. Metodo di “persuasione”, o di “trattativa”, da sempre respinto dall’Unione Europea, anche con la bocciatura del cd. preaccordo di Malta del settembre 2019, evocato dalla difesa ma comunque successivo ai fatti oggetto del processo di Palermo. Mentre , il Ministro dell’interno, nello stesso tavolo tecnico di coordinamento del contrasto all’immigrazione illegale via mare, il 12 febbraio 2019 stabiliva di togliere al capo del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione la competenza per l’assegnazione del cd. POS (place of safety) dopo i soccorsi in acque internazionali, e affidarla al capo di gabinetto del Ministro, a quel tempo alle dirette dipendenze dello stesso Salvini. Non si può dimenticare , a questo proposito, come in numerose dichiarazioni lo stesso Salvini avesse riconosciuto che il trattenimento dei naufraghi a bordo della Open Arms avrebbe dovuto costituire un’arma di pressione per vincere le resistenze di altri paesi europei nella redistribuzione dei migranti. Metodo di “persuasione”, o di “trattativa”, da sempre respinto dall’Unione Europea, come si vedrà meglio più avanti, anche con la bocciatura del cd. preaccordo di Malta del settembre 2019, evocato dalla difesa ma comunque successivo ai fatti oggetto del processo di Palermo.
3. Perché è falso affermare che le attività di soccorso svolte senza il coordinamento di uno Stato richiesto che non risponde giustificherebbero il divieto di sbarco nel porto sicuro più vicino
Secondo le linee guida emanate dall’Organizzazione Marittima Internazionale (IMO), agenzia delle Nazioni unite, si prevede che il primo Comando centrale di Guardia costiera (MRCC) che riceva notizia di una possibile situazione di emergenza S.A.R. ha la responsabilità di adottare le prime immediate azioni per gestire tale situazione, anche qualora l’evento risulti al di fuori della propria specifica area di responsabilità. Almeno fino a quando tale responsabilità non venga formalmente accettata da un altro MRCC, quello competente per l’area o altro in condizioni di prestare una più adeguata assistenza (Manuale IAMSAR –Ed. 2016; Risoluzione MSC 167-78 del 20/5/2004). Secondo l’ Annesso alla Convenzione SAR del 1979 Paragrafo 3.1.9 – Le Parti devono assicurare il coordinamento e la cooperazione necessari affinché i capitani delle navi che prestano assistenza imbarcando persone in pericolo in mare siano dispensati dai loro obblighi e si discostino il meno possibile dalla rotta prevista, senza che il fatto di dispensarli da tali obblighi comprometta ulteriormente la salvaguardia della vita umana in mare. La Parte responsabile della zona di ricerca e salvataggio in cui viene prestata assistenza si assume in primo luogo la responsabilità di vigilare affinché siano assicurati il coordinamento e la cooperazione suddetti, affinché i sopravvissuti cui è stato prestato soccorso vengano sbarcati dalla nave che li ha raccolti e condotti in luogo sicuro, tenuto conto della situazione particolare e delle direttive elaborate dall’Organizzazione (Marittima Internazionale). In questi casi, le Parti interessate devono adottare le disposizioni necessarie affinché lo sbarco in questione abbia luogo nel più breve tempo ragionevolmente possibile.
Secondo quanto rilevato più recentemente da autorevoli esponenti della Guardia costiera italiana, in linea con le posizioni adottate nel tempo dai diversi governi italiani, anche se «non c’è obbligo di sbarco nel Paese di bandiera,» comunque «in questo momento l’Italia non può fare molto per il semplice motivo che gli accordi sono tutti concentrati sul Paese di primo approdo”.
Secondo il Regolamento UE n.656 del 2014, ( al Considerando 8) “durante operazioni di sorveglianza di frontiera in mare, gli Stati membri dovrebbero rispettare i rispettivi obblighi loro incombenti ai sensi del diritto internazionale, in particolare della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, della Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare, della Convenzione internazionale sulla ricerca e il salvataggio marittimo, della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale e del suo protocollo per combattere il traffico di migranti via terra, via mare e via aria, della Convenzione delle Nazioni Unite relativa allo status dei rifugiati, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti, della convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo”. Tutte Convenzioni che contengono disposizioni relative alla tutela dei diritti fondamentali delle persone soccorse in mare, fino a comprendere il diritto di chiedere asilo in un paese sicuro, ed una tutela rafforzata per i minori, che avrebbero dovuto impedire l’assimilazione dell’attività di ricerca e salvataggio in acque internazionali ad una attività di immigrazione irregolare, ad un mero “evento migratorio”.
4. Perché la Libia e la Tunisia non possono garantire “place of safety”(POS) dove sbarcare i naufraghi soccorsi in acque internazionali
La difesa di Salvini, andando fuori dal tema del processo ma autorizzata dal presidente del Tribunale, ha lungamente insistito, nell’interrogatorio della Capo-missione di Open Arms, sulla circostanza che l’evento di soccorso del primo agosto 2019 non fosse “coordinato” dalle autorità italiane che pure erano state tempestivamente avvertite. Occorre ricordare a tale riguardo che in base al diritto internazionale, a prescindere dall’assunzione o meno del coordinamento – lo Stato costiero non possa in ogni caso rifiutare lo sbarco in quanto, anche con specifico riferimento alla situazione in Libia e in Tunisia, che non sono qualificabili “paesi terzi sicuri”, come conferma recentemente la Corte di Cassaziine nel caso Vos Thalassa, ciò integrerebbe un respingimento collettivo vietato dall’art. 4 Protocollo n. 4 alla CEDU come interpretato dalla Corte EDU nella pronuncia Hirsi e altri c. Italia. Si dovrebbe dunque affermare in capo ai naufraghi soccorsi in acque internazionali un diritto allo sbarco in un place of safety (POS) almeno per consentire la presentazione delle domande di protezione internazionale in conformità alla Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951. Per riflesso lo stesso diritto allo sbarco dei naufraghi soccorsi in acque internazionali spetterebbe al comandante della nave soccorritrice nei confronti dello Staro costiero avvertito e richiesto del soccorso. L’eventuale rifiuto delle autorità competenti (nel caso Open Arms del ministro dell’interno) non cancella l’obbligo dello Stato richiesto di indicare un porto sicuro di sbarco dei naufraghi.
Come ricorda la Corte di cassazione con la sentenza n. 6626, 16/20 gennaio 2020, al fine della individuazione del cd. Place of safety (POS) “è utile richiamare la risoluzione n. 1821 del 21 giugno 2011 del Consiglio d’Europa (L’intercettazione e il salvataggio in mare dei domandanti asilo, dei rifugiati e dei migranti in situazione irregolare), secondo cui “la nozione di “luogo sicuro” non può essere limitata alla sola protezione fisica delle persone ma comprende necessariamente il rispetto dei loro diritti fondamentali» (punto 5.2.) che, pur non essendo fonte diretta del diritto, costituisce un criterio interpretativo imprescindibile del concetto di “luogo sicuro” nel diritto internazionale”. Il mero recupero a bordo della nave soccorritrice delle persone in pericolo o dei naufraghi, non determina dunque la conclusione delle operazioni S.A.R., perché le operazioni possono considerarsi terminate solo con lo sbarco di dette persone in un luogo sicuro (place of safety o P.O.S.)
Il Tribunale di Agrigento, dopo la pronuncia della Corte di Cassazione del 16/20-2-2020, ha archiviato definitivamente le accuse contro Carola Rackete escludendo la competeza primaria dello Stato di bandiera nella indicazione di un porto sicuro di sbarco (POS). Una conferma di quanto già deciso nel 2019 dal Giudice delle indagini preliminari di Agrigento.
I divieti di ingresso nei porti italiani dopo azioni di ricerca e soccorso sono dunque privi di fondamento giuridico,. Le navi di soccorso non possono essere considerate a tempo indeterminato come “place of safety” temporaneo, magari per trattative a livello UE o per la mancanza di posti nei sistemi di prima accoglienza. Ne si può utilizzare ancora il rituale argomento del cd. flag state (stato di bandiera). La competenza degli Stati di bandiera non si può anteporre alle competenze degli Stati costieri richiesti di un POS e in grado di indicare un porto di sbarco nel place of safety più vicino. Come risulta smentita dalle più recenti sentenze della Corte di cassazione, che ritengono che la Libia non offra porti di sbarco sicuri, la nota tesi della esistenza di una zona SAR ( ricerca e soccorso) “libica” e dunque della competenza esclusiva della Guardia costiera di quel paese, che ancora oggi ha di fatto due governi che si contrappongono e non ha una centrale di coordinamento dei soccorsi (MRCC) unificata.
5. Perché è falso affermare che la mancata risposta alla richiesta di coordinamento dei soccorsi e di indicazione di un porto di sbarco escluderebbe la responsabilità dello Stato costiero richiesto. La mancata adesione di Malta agli emendamenti alla Convenzione SAR del 2004.
Nelle sue linee applicative il Piano SAR italiano del 2009, come il successivo piano adottato nel 2020, fa riferimento alle metodologie tecnico-operative di ricerca e soccorso contenute nel manuale IAMSAR adottato dall’ Imo nel 1999 ed alla Convenzione internazionale per la sicurezza della vita in mare del 1974( Convenzione SOLAS) che obbliga il“comandante di una nave che si trovi nella posizione di essere in grado di prestare assistenza, avendo ricevuto informazione da qualsiasi fonte circa la presenza di persone in pericolo in mare, a procedere con tutta rapidità alla loro assistenza, se possibile informando gli interessati o il servizio di ricerca e soccorso del fatto che la nave sta effettuando tale operazione…” [Capitolo V, Regola 33(1)]. Spetta poi ai governi ed alle relative autorità marittime e militari, in particolare ai Centri di Coordinamento del soccorso il completamento degli obblighi posti a carico dei comandanti delle navi in mare, assicurando nelle rispettive aree di responsabilità S.A.R. un’efficiente organizzazione dei servizi di ricerca e salvataggio (Marittime Rescue Coordination Centre o M.R.C.C.), in grado di gestire le comunicazioni di emergenza e di coordinare le operazioni in modo tale da garantire il salvataggio delle persone ed il loro sbarco in un luogo sicuro Lo stesso principio è poi specificato dal paragrafo 3.6.1 del Manuale IAMSAR, Vol. 1, dove si prevede che un RCC (Rescue Coordination Center) dopo la ricezione di una chiamata di soccorso, diventa responsabile nella gestione delle relative operazioni SAR, fino a quando altra autorità competente non assuma il coordinamento.
Non si può tuttavia continuare a ripetere, come fa la difesa di Salvini ad ogni udienza, che i migranti soccorsi nella zona SAR maltese avrebbero dovuto essere sbarcati a Malta, magari con quelli soccorsi in precedenza nella cd. zona SAR “libica”. Su questo ha già testimoniato, non senza qualche contraddizione, il capo della Guardia costiera italiana. L’ammiraglio Liardo ha infatti smascherato, forse senza rendersene pienamente conto, il gioco sporco fatto dalle autorità italiane e maltesi sulla pelle dei naufraghi raccolti dalla Open Arms. Che Open Arms non abbia chiesto il porto di sbarco a Malta, dopo i due soccorsi effettuati nella zona SAR maltese, come ha affermato la difesa, non corrisponde al vero. Il governo di La Valletta aveva dato una disponibilità soltanto per una piccola parte dei naufraghi, negando la per quelli soccorsi nei primi due salvataggi. Quanto dichiarato a SIT (sommarie informazioni testi) al Tribunale dei ministri da altri esponenti della Guardia costiera e della Guardia di finanza confermavano quanto dichiarato dal comandante di Open Arms circa il rischio che si sarebbe corso, e che avrebbero corso le persone, già esasperate dopo due settimane di attesa in mare senza la indicazione di un porto di sbarco sicuro da parte dei governi italiano e maltese, se fosse stato proposto loro soltanto lo sbarco di una parte a Malta.
Come ricordava nel 2019 l’ Ammiraglio Liardo, in una audizione parlamentare, “Riguardo allo specifico scenario del Mediterraneo Centrale, occorre rilevare che ad oggi (2019) l’unico Stato che pur avendo provveduto a ratificare la convenzione SAR del 1979, non ha tuttavia dichiarato formalmente la sua specifica area di responsabilità SAR rimane solo la Tunisia; l’Egitto che invece non ha ratificato la Convenzione di Amburgo si è però dotata di una organizzazione SAR ed ha dichiarato una propria regione di responsabilità ai fini della ricerca e del soccorso marittimo. La Libia ha ratificato la Convenzione ed ha formalmente dichiarato la propria area di responsabilità SAR il 14 dicembre 2017. Tale area di responsabilità è stata riportata sul Global Integrated Shipping Information System (GISIS) dell’International Maritime Organization11 (IMO), il 27 giugno 2018” .In quell’occasione lo stesso LIARDO affermava che “Ovviamente, non avendo tutti gli Stati costieri ratificato la convenzione, né provveduto ad organizzare una propria specifica organizzazione S.A.R., allo scopo sempre di tutelare il principio di integrità dei servizi S.A.R., le discendenti linee guida emanate dall’Organizzazione Marittima Internazionale (IMO) un’agenzia delle Nazioni unite, in base a quanto espressamente previsto dalle citate convenzioni, prevedono che il primo MRCC che riceva notizia di una possibile situazione di emergenza S.A.R. ha la responsabilità di adottare le prime immediate azioni per gestire tale situazione, anche qualora l’evento risulti al di fuori della propria specifica area di responsabilità. Ciò almeno fino a quando tale responsabilità non venga formalmente accettata da un altro MRCC, quello competente per l’area o altro in condizioni di prestare una più adeguata assistenza (Manuale IAMSAR – Ed. 2016; Risoluzione MSC 167-78 del 20/5/2004). Ciò determina la certezza, per ciascun navigante, di individuare l’Autorità responsabile per il soccorso della vita umana in mare”. In quell’occasione l’Ammiraglio LIARDO affermava che “L’obbligo del S.A.R. prescinde dai limiti della piena giurisdizione marittima di uno Stato costiero (non è neppure limitato, alla specifica area di responsabilità S.A.R., che comunque non è un’area di giurisdizione e, pertanto, si estende di norma ben oltre le acque territoriali e l’eventuale zona contigua), mentre l’attività di polizia, “law enforcement”, al di fuori delle acque territoriali è soggetta a ben precisi limiti, stabiliti dalla normativa nazionale e nel rispetto di quella internazionale. La conseguenza pratica di ciò è che se un’imbarcazione carica di migranti localizzata al di fuori delle acque territoriali di uno Stato costiero è ritenuta versare in una situazione di potenziale pericolo (caso S.A.R.), scatta l’obbligo di immediato intervento e, quindi, del successivo trasporto a POS delle persone soccorse.
Sembra pure pretestuosa la ricorrente affermazione della difesa del senatore Salvini, secondo cui la Open Arms, anche dopo l’ingresso nelle acque territoriali italiane, avrebbe dovuto fare rotta verso la Spagna, in quanto questo paese, di cui la nave batteva bandiera, avrebbe indicato un porto di sbarco sicuro. La prima disponibilità ad indicare un POS dalla Spagna, altro tema su cui ha molto insistito la difesa di Salvini, arrivava solo il 18 agosto 2019, quando la Open Arms si trovava già in acque italiane, quattro giorni dopo che il Tribunale amministrativo del Lazio sospendeva il divieto di ingresso disposto dal Viminale e due giorni dopo l’apertura delle tutele dei minori stranieri non accompagnati, da parte del Tribunale dei minori di Palermo. Risultano inoltre agli atti del processo le dichiarazioni di altri esponenti della Guardia costiera italiana e della Guardia di finanza che confermano che la Open Arms in quegli stessi giorni non era in grado di spostarsi da Lampedusa ad un porto spagnolo, oltre che per le condizioni del mare, anche per la situazione di estremo disagio psico-fisico dei naufraghi.
Dalle indagini svolte dal Tribunale dei ministri di Palermo emergeva che “il POS (indicato ad Algeciras ovvero, successivamente alle osservazioni trasmesse dalla Guardia Costiera italiana, presso le Isole Baleari) offerto dalla Spagna – peraltro solo in data 18.8.2019, quando la nave si trovava già da tre giorni alla fonda in prossimità delle coste di Lampedusa – non rispondeva, già in astratto, alle esigenze tutelate dalla normativa internazionale; in base al par. 6.18 della Risoluzione MSC 167-78, infatti, la nave soccorritrice ha diritto di ottenere l’autorizzazione allo sbarco dei migranti in un luogo che implichi il minimo disagio per la nave stessa, gravando specularmente sui responsabili l’obbligo di tentare di organizzare delle alternative ragionevoli per questo scopo (v. par. 6.13 ris. cit, secondo cui la nave deve essere comunque sollevata da questa responsabilità non appena possono essere presi accordi alternativi”); sotto questo profilo, sia il porto di Algeciras, ubicato addirittura sullo stretto di Gibilterra, che quello di Palma di Maiorca, nelle Isole Baleari, distante circa 590 miglia nautiche da Lampedusa, erano entrambi troppo lontani dalla posizione della nave per poter essere considerati idonei a salvaguardare le esigenze in rilievo”.
6. Perché è falso affermare che le trattative in corso con altri paesi UE possono consentire il trattenimento dei migranti a bordo della nave soccorritrice, anche quando questa è già entrata nelle acque territoriali in base ad una specifica autorizzazione per ragioni di soccorso
La difesa del senatore Salvini ha molto insistito sulla circostanza che la mancata indicazione di un porto di sbarco sicuro (POS) da parte del Viminale fosse giustificabile per le trattative in corso con la Spagna e con altri paesi per lo sbarco dei naufraghi o per la loro redistribuzione. In realta’ non esiste oggi, ne’ esisteva nel mese di agosto del 2019, alcun obbligo degli Stati europei, o della stessa Unione Europea, di garantire la redistribuzione dei naufraghi o ad assicurare lo sbarco in un paese diverso da quello immediatamente avvertito e richiesto dal comandante della nave. Che peraltro rimane l’unica autorità a stabilire velocità e rotta della nave in base alle mutevoli condizioni del mare ed alle eventuali chiamate di soccorso, a fronte delle quali si ha l’obbligo di intervento ( e lo stesso varrebbe per i sottomarini militari italiani che si limitavano senza intervenire in soccorso a spiare l’attivita’ delle Ong per raccogliere prove a loro carico). L’obbligo di soccorso costituisce un dovere vigente di intervento immediato a carico di tutti i comandanti in grado di intervenire, siano essi civili o militari. A fronte di questo obbligo di intervento immediato, penalmente sanzionato, gli Stati costieri cge ne siano richiesti hanno l’obbligo di coordinare gli interventi di salvataggio e di indicare un porto sicuro di sbarco. Nessun ritardo, nesuna trattativa politica, nessuna mancata risposta possono compromettere la salvaguardia della vita umana in mare.
Una nave che interviene per fornire soccorso non può essere assunta come “porto sicuro”, in quanto essa non è dotata dei servizi e dell’equipaggiamento adatti per assistere le persone soccorse in maniera adeguata e senza mettere in pericolo la sua stessa sicurezza. Per tale ragione: “even if a ship is capable of safely accommodating the survivors and may serve as a temporary place of safety, it should be relieved of this responsibility as soon as alternative arrangements can be made. A place of safety may be on land, or it may be aboard a rescue unit or other suitable vessel or facility at sea that can serve as a place of safety until the survivors are disembarked to their next destination” (par. 6.13 e 6.14 delle Linee guida). Una nave che interviene per fornire soccorso non può essere assunta come porto sicuro, in quanto essa non è dotata dei servizi e dell’equipaggiamento adatti per assistere le persone soccorse in maniera adeguata e senza mettere in pericolo la sua stessa sicurezza.
Occorre ricordare la mancata partecipazione del senatore Salvini alla riunione dei ministri dell’interno dell’Unione Europea, tenutasi a Parigi il 21 luglio 2019, pochi giorni prima del caso Open Arms. In quella sede il Presidente francese Macron aveva affermato: “Dobbiamo rispettare le regole umanitarie e del diritto marittimo internazionale. Quando una nave lascia le acque della Libia e si trova in acque internazionali con rifugiati a bordo deve trovare rifugio nel porto più vicino. È una necessità giuridica e pratica. Non si possono far correre rischi a donne e uomini in situazioni di vulnerabilità”. Malgrado i risultati del vertice di Parigi avessero ottenuto l’adesione di 14 Stati europei Salvini lo definiva un flop ed innescava un confronto con i principali leader europei che comprometteva le possibilità di collaborazione ai fini della ricollocazione. Come veniva definitivamente provato dal successivo vertice di Malta del 23 settembre 2019, fortemente voluto dal governo italiano, nel quale si adottava una bozza di Piano di ricollocazione che raccoglieva soltanto l’adesione di sei paesi UE e restava successivamente del tutto privo di effetti, tanto da scontentare anche i consueti sostenitori dello stesso Salvini. La posizione della Commissione europea sulla individuazione dei porti di sbarco, del resto, era già nota da tempo.Come riferiva La Repubblica il 26 agosto 2018, in un articolo di Alberto d’Argenio, nei giorni del caso Diciotti, ” per il commissario Ue alle Migrazioni, Dimitri Avramopoulos,“I politici italiani devono mettere fine al gioco delle accuse, attaccare l’Ue significa spararsi nei piedi. Alcuni responsabili di governo per ragioni di politica e consenso interno si comportano in modo poco responsabile mentre sui migranti è necessario andare avanti tutti insieme, oppure il progetto europeo è a rischio”. Secondo Avramopoulos, “la priorità per tutti, Italia inclusa, dovrebbe essere quella di assicurare che le persone sulle navi siano sbarcate”. Lo stesso aggiungeva: “Non spetta alla Commissione dire dove vadano sbarcati, lo stabiliscono il diritto internazionale e la legge del mare, ma certamente bisogna trovare il modo di farli scendere subito a terra. Non sono nemici, non sono una minaccia per la sicurezza nazionale, sono solo persone vulnerabili e i governi hanno un imperativo umanitario ed etico da rispettare: bisogna sbarcarli e offrire loro assistenza e supporto”.
7. Perché non era legittimo il rifiuto della indicazione di un porto sicuro di sbarco dopo l’ordinanza del TAR Lazio e come ne derivava una ingiusta limitazione della libertà personale, anche con riferimento alla condizione dei minori non accompagnati
A fronte di quanto affermato nell’ultima udienza dal testimone Mancini Capo Dipartimento del Ministero dell’interno sulla “normale” durata del trattenimento dei migranti a bordo delle navi soccorritrici, anche per una settimana, occorre ricordare le sentenze della Corte europea dei diritti dell’Uomo, 1° settembre 2015 e 15 dicembre 2016, Khlaifia e altri c. Italia, ove s’è ritenuta la violazione da parte dell’Italia dell’art. 5, par. 1, CEDU (che consente la limitazione della libertà personale, per finalità di gestione del fenomeno migratorio, solo in presenza di base legale nel diritto interno) in ipotesi di trattenimento forzoso presso i centri di soccorso e di prima accoglienza (di cui all’art. 10ter t.u.). Se questo vale all’interno degli Hotspot, lo stesso principio non può non valere a bordo di navi battenti bandiera straniera ma legittimamente presenti nelle acque territoriali italiane, nei casi di mancata indicazione di un porto di sbarco, anche con riferimento alla peculiare situazione dei minori stranieri non accompagnati, che in base al nostro ordinamento non sono respingibili in frontiera.
Quaunque forma di limitazione della libertà personale operata per effetto di atti amministrativi va prevista dalla legge (riserva di legge) e sottoposta a convalida giurisdizionale ( riserva di giurisdizione). Oltre alla limitazione della libertà personale (art.13) va considerata anche la libertà di circolazione (art.16) nelle diverse limitazioni che sono previste dalla legge riguardo alle persone migranti da sbarcare a terra dopo essere state soccorse in mare. Nel caso Open Arms questa ingiusta limitazione della libertà personale e della libertà di circolazione a cui metteva fine soltanto il provvedimento di sequestro della nave adottato dalla Procura di Agrigento, si verificava a bordo della nave Open Arms nei giorni successivi al provvedimento del Tar Lazio, sospensivo del divieto di ingresso in acque territoriali.Già precedentemente il Tribunale per i Minorenni di Palermo aveva chiesto chiarimenti ai suddetti Ministri e, per loro, al Governo, sottolineando che “le convenzioni internazionali a cui l’Italia aderisce…impongono il divieto di respingimento alla frontiera o di espulsione dei minori stranieri non accompagnati”. Diritti che “vengono elusi” nel momento in cui i minori non fossero stati autorizzati a sbarcare ed a rimanere a bordo della nave in condizioni di evidente disagio fisico e psichico. Anche in quella sede i magistrati minorili avevano argomentato come la situazione creata dalle autorità italiane equivaleva “ad un respingimento o diniego di ingresso ad un valico di frontiera” vietata dalla normativa italiana (si veda, al riguardo, l’art. 19, d.lgs. 286/98). Il decreto cautelare monocratico del Tar Lazio, Sezione Prima Ter, n. 5479/2019, sottolineava a sua volta, in merito al provvedimento governativo, il plausibile “travisamento dei fatti e di violazione delle norme di diritto internazionale del mare in materia di soccorso, nella misura in cui la stessa amministrazione intimata riconosce, nelle premesse del provvedimento impugnato, che il natante soccorso da Open Arms in area SAR libica – quanto meno per l’ingente numero di persone a bordo – era in “distress”, cioè in situazione di evidente difficoltà (per cui appare, altresì, contraddittoria la conseguente valutazione effettuata nel medesimo provvedimento, dell’esistenza, nella specie, della peculiare ipotesi di “passaggio non inoffensivo” di cui all’art. 19, comma 1 [recte, comma 2], lett. g), della legge n. 689/1994)”.
8. Chi viola la legge impedendo la conclusione delle operazioni di ricerca e salvataggio, con lo sbarco nel porto sicuro più vicino. Perché non si possono considerare come eventi di immigrazione clandestina le attività di ricerca e salvataggio in acque internazionali.
In base all’art.11 comma i ter del D. Lgs. 286/1998 non si può vietare l’ingresso in porto di una nave che chieda di potere sbarcare naufraghi soccorsi in mare in quanto tale ipotesi configura un “passaggio inoffensivo” ai sensi dell’art.18 della Convenzione UNCLOS, e non già quella contemplata dall’art. 19 lettera g della stessa Convenzione, che deve riferirsi ai soli casi di immigrazione irregolare non connessi ad una operazione di soccorso in mare. La classificazione di un evento di ricerca e salvataggio (SAR) come evento di immigrazione clandestina, che poi è la sostanza della qualificazione come “evento migratorio” non può permettere agli Stati costieri, ed in particolare all’Italia, di eludere gli obblighi di ricerca e soccorso imposti dalle Convenzioni internazionali. Obblighi che includono la indicazione di un porto di sbarco sicuro e il trasferimento finale dei naufraghi a terra nel più breve tempo ragionevolmente possibile.
Non sono state le Ong dunque a violare la normativa sui soccorsi in mare ma gli Stati ed i ministri competenti, che sono venuti meno ai correlati obblighi di soccorso e di sbarco in un “place of safety” (POS). Come osservava già il Tribunale dei ministri di Palermo, il senatore Salvini, con il rifiuto di concedere un porto sicuro alla nave Open Arms nell’agosto 2019, avrebbe violato le convenzioni internazionali. Come affermano i giudici palermitani “l’obbligo di salvare la vita in mare costituisce un preciso dovere degli Stati che non si esaurisce nel primo intervento di salvataggio e prevale su tutte le norme e gli accordi bilaterali finalizzati al contrasto dell’immigrazione irregolare. Le Convenzioni internazionali in materia, cui l’Italia ha aderito, costituiscono un limite alla potestà legislativa dello Stato e, in base agli artt. 10, 11 e 117 della Costituzione, non possono costituire oggetto di deroga da parte di valutazioni discrezionali dell’autorità politica (…), assumendo un rango gerarchico superiore rispetto alla disciplina interna (l’art. 117 Cost. prevede infatti che la potestà legislativa è esercitata nel rispetto, tra l’altro, dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali.”
Le Convenzioni internazionali ed i Regolamenti europei assumono quindi immediato rilievo nell’ambito della giurisdizione interna anche in materia di soccorsi in mare. Sotto il vaglio del giudice finiscono le norme interne e le prassi applicate che costituiscono una violazione di norme cogenti di rilievo internazionale. Nessuna norma di diritto internazionale del mare autorizza uno Stato ad esercitare poteri d’interdizione su imbarcazioni sospettate di trasportare migranti irregolari nelle acque internazionali. Dopo le attività di soccorso le persone soccorse vanno considerate come naufraghi, non “immigrati clandestini”. In base alla sentenza del Tribunale di Agrigento sul caso Cap Anamur “le violazioni delle norme sull’immigrazione possono costituire illeciti rilevanti per gli ordinamenti nazionali degli Stati che ne sono coinvolti (Stato di partenza o Stato di arrivo o entrambi). Ma è ovvio che qualsiasi illecito d’immigrazione clandestina si consuma soltanto dopo che le persone coinvolte sono entrate nel mare territoriale dello Stato di destinazione ( o di uno Stato di transito), e non già prima, e cioè quando la nave che li trasporta si trova ancora in alto mare”.
L’art. 19 della Convenzione Unclos prevede la libertà di navigazione in acque internazionali, ed anche nel mare territoriale (passaggio inoffensivo), ma al secondo comma della norma si prevede una deroga che in Italia è stata utilizzata capovolgendo il rapporto regola eccezione. A tale riguardo si deve ricordare quanto richiama Irini Papanicolopulu, docente di diritto internazionale presso l’Università di Milano Bicocca, secondo cui “l’ingresso di una nave che trasporta persone soccorse in mare in adempimento dell’obbligo internazionaleassistere le persone in pericolo e di condurle in un luogo sicuro. In altri termini, la fattispecie del salvataggio in mare continua fino a quando il comandante non abbia fatto sbarcare le persone in luogo sicuro, e il suo ingresso nel mare territoriale e nei porti di uno Stato non può essere visto sotto luce diversa. Non si può quindi precludere il passaggio inoffensivo ad una nave che ha soccorso persone in pericolo, anche al di fuori del mare territoriale, qualora questa intenda entrare al fine di perfezionare il proprio obbligo di salvare la vita umana in mare.”di salvare la vita umana in mare non può considerarsi come attività compiuta in violazione delle leggi nazionali sull’immigrazione, a condizione che l’obiettivo della nave sia semplicementequello di far sbarcare le persone soccorse. Infatti, l’obbligo di salvare la vita umana in mare vincola sia gli stati (ai sensi dell’art.98, par. 1 CNUDM) sia icomandanti di navi (ai sensi del Capitolo V, reg. 33 SOLAS, nonché di numerose norme nazionali, quali ad esempio l’art. 489 cod. nav.).
9.Conclusioni
Non si può quindi tollerare che la difesa del senatore Salvini continui a deviare l’attenzione dalle responsabilità dell’imputato, cercando di dimostrare la natura arbitraria e illecita delle attività di soccorso operate dalle ONG, arrivando a contestare che queste attività si sarebbero rivolte in favore di persone che si trovavano a bordo di barchini “in perfetta condizione di galleggiabilità” ed addirittura dotati di due motori. Salvo poi a cadere in evidenti contraddizioni nella ricostruzioni di eventi che i servizi di sicurezza, addirittura avvalendosi anche delle riprese fotografiche operate da un sottomarino, hanno trasmesso a tutte le procure siciliane, ma non a quella di Palermo, forse perchè questa era stata l’unica ad archiviare imemdiatamente, già nel 2018, le prime denunce montate dai servizi a carico delle ONG.
In realtà, tutte Le imbarcazioni che trasportano i migranti poi soccorsi da navi private delle ONG, sono unsafe, cioè prive dei requisiti di navigabilità richiesti secondo la Convenzione SOLAS che nessuno ha richiamato durante l’udienza svoltasi con la testimonianza dei figure di vertice della Guardia costiera e della guardia di Finanza. Questa condizione delle imbarcazioni sulle quali i migranti tentano la traversata del Mediterraneo non può non incidere sulla verifica di una situazione di distress. La nozione di “distress” è stabilita dalla Convenzione di Amburgo del 1979 (Annex, ch. 1, para. 1.3.11) “a)situation wherein there is a reasonable certainty that a vessel or a per-son is threatened by grave and imminent danger and requires immediate assistance”. Si deve così ritenere che proprio per gli indicatori (tra i quali il carico, il bordo libero, la sicurezza del mezzo, il propulsore) già riportati nel Piano SAR nazionale del 1996, in conformità con il manuale IAMSAR e con la convenzione SOLAS, tutte le imbarcazioni sovraccariche di migranti che si trovano a navigare nelle acque internazionali (alto mare) del Mediterraneo centrale, tutte in condizioni di grave sovraccarico, siano da ritenere in una situazione di distress, ovvero di pericolo imminente, senza attendere che la situazione a bordo, come possibili vie d’acqua o il fermo del motore, o le condizioni meteo divengano talmente gravi da comportare la perdita di vite umane. perdite che infatti si sono verificate in diverse occasioni, nel corso delle “attività di valutazione” da parte delle autorità competenti.
Dalla responsabilità del soccorso e del coordinamento immediato, non appena pervenga una notizia di un evento di soccorso, che non si può derubricare ad “evento migratorio”, discende l’obbligo di indicare un porto di sbarco sicuro per la conclusione di una operazione di salvataggio. In base all’art. 19 comma 2 della stessa Convenzione Unclos“il passaggio di una nave nelle acque territoriali di uno Stato” è permesso “fintanto che non arreca pregiudizio alla pace, al buon ordine e alla sicurezza dello Stato costiero”. Nel caso della conclusione delle operazioni di salvataggio, con riferimento alla situazione normativa esistente al tempo dei fatti nell’agosto del 2019, non era certo configurabile un caso di passaggio “non inoffensivo” neppure inventando il rischio della presenza probabile di sospetti terroristi tra i naufraghi. Come maldestramente suggerito, nel caso Open Arms e non solo, dai nostri servizi di informazione. Che adesso ritornano al centro dell’attenzione con lo scoppio della bolla mediatica del sottomarino italiano che avrebbe raccolto filmati sui soccorsi della Open Arms nell’agosto del 2019, mai trasmessi al Tribunale dei Ministri ed alla Procura di Palermo. Sembra davvero che in questo procedimento penale si possa parlare di tutto, ma non della contestata responsabilità penale dell’imputato.
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