domenica 5 maggio 2024

INTRODUZIONE A 'FINZIONI MERIDIONALI'

  IL SUD E LA LETTERATURA ITALIANA CONTEMPORANEA 

 Fabio Moliterni -

pubblichiamo l’introduzione del volume in libreria Finzioni meridionali. ll Sud e la letteratura italiana contemporanea edito per i tipi di Carocci. I saggi qui raccolti individuano le tipologie di scrittura presenti in alcuni testi letterari di area meridionale, pubblicati nel corso del secondo Novecento fino a oggi, che hanno dato spazio e cittadinanza alle voci o al punto di vista dei ceti subalterni mettendo in discussione le immagini trionfalistiche ed ecumeniche della modernità  

 

Il termine «subalterni» designa nell’opera di Antonio Gramsci un insieme plurale e variegato di gruppi sociali, caratterizzati da diversi livelli di marginalità rispetto alle classi dominanti, ai cui interessi e valori finiscono per essere subordinati[1]. Dalle sue riletture intorno alla storia degli intellettuali e ai concetti di egemonia e consenso, struttura e sovrastruttura, Stato e società civile, e senza mai trascurare la dimensione politica e la componente economica della dialettica storica, scaturisce il convincimento che la cultura giochi un ruolo determinante nella definizione degli assetti di dominio e nella costruzione dei blocchi storico-sociali. Identificando nel Sud il laboratorio in cui si sono meglio esercitate, nella storia italiana, le forme della repressione e del trasformismo a opera degli intellettuali tradizionali, delle élite e dei partiti di massa, allo stesso tempo Gramsci indicava nel Meridione il luogo critico dal quale partire per un rinnovamento radicale e profondo dell’intero sistema sociale della nazione[2]. L’analisi molecolare sul duplice volto della crisi del moderno, che nei Sud d’Italia e del mondo trova un epifenomeno rivelatore, produce nei Quaderni una ricerca di nuove forme di relazioni sociali: per Gramsci la lotta politica e culturale si fonda sulla dialettica tra «parte subalterna e parte egemonica del mondo»[3].

 

I saggi qui raccolti individuano le tipologie di scrittura presenti in alcuni testi letterari di area meridionale, pubblicati nel corso del secondo Novecento fino a oggi, che hanno dato spazio e cittadinanza alle voci o al punto di vista dei ceti subalterni mettendo in discussione le immagini trionfalistiche ed ecumeniche della modernità. L’orizzonte della ricerca e allo stesso tempo nazionale, regionale e transnazionale. In linea con gli indirizzi più aggiornati dell’analisi sociale delle forme letterarie contemporanee, i fenomeni culturali che dipendono apparentemente solo da logiche locali verranno interrogati in una cornice più ampia, mobile e multidisciplinare, «facendo emergere le relazioni – flussi, reazioni, scambi, appropriazioni – attraverso le quali si sono costruite le “identità nazionali”»[4].

 

Se qualcuno di questi sondaggi e dedicato a figure dimenticate e quasi rimosse dalle storiografie o dalle geografie letterarie tradizionali, altri interventi riguardano autori ormai stabilizzati all’interno del canone, dei quali tuttavia si esplorano opere e momenti ancora non del tutto messi a fuoco dalla critica (gli esordi di Sciascia, come pure l’ultima conferenza salentina di Pasolini, tenuta a Lecce pochi giorni prima del suo assassinio). Le forme letterarie, in prosa e in versi, che impiegano le scrittrici e gli scrittori in vari modi legati ai luoghi, alle comunità o ai gruppi sociali considerati periferici e marginali, reagiscono con i principi di un pensiero di stampo meridionalistico – un pensiero critico, antimoderno o apocalittico – che penetra, influenza e condiziona le strutture testuali di queste finzioni meridionali, delle quali ho messo in rilievo, di volta in volta, certi dispositivi ricorrenti: la specifica configurazione temporale, ad esempio, delle narrazioni e delle espressioni letterarie che si richiamano esplicitamente o tendono alla rappresentazione dell’immaginario e dell’elemento folklorico, del paesaggio e della cultura materiale degli strati sociali subalterni nel Meridione d’Italia; o, ancora, il rapporto fra l’interrogazione sulla questione meridionale (l’oppressione e la disgregazione sociale, la scomparsa dei dialetti e delle culture arcaiche ecc.) e le strategie enunciative presenti nei testi letterari: vale a dire le restrizioni di campo, i diversi tipi di focalizzazione adottati per dare voce ai soggetti decentrati, alle «persone vive» del Mezzogiorno, come le definiva Ernesto de Martino; gli effetti di straniamento, il paternalismo, l’empatia o la (giusta) distanza, intesi come problemi di metodo e di stile (tra etnografia, antropologia e letteratura). La dialettica tra arcaico e moderno, l’intreccio e la convivenza tra vecchio e nuovo, tra una natura primitiva e in parte incontaminata e un intervento umano definibile come degrado, e più in generale la crisi sistemica che attraversa il Sud nelle sue varie declinazioni, appaiono qui in una (fertile, dinamica) oscillazione o ambivalenza costitutiva: tra la fine irreversibile di mondi e culture destinati alla sparizione, se non proprio all’annichilimento, e la possibilità di un nuovo inizio. Sono tutti problemi e questioni che partono dall’ideologia letteraria di ciascun autore, e trovano spazio nella testualità concreta delle opere via via esaminate, che in questo senso recuperano e rilanciano il significato, non soltanto narratologico ma profondamente conoscitivo e politico, iscritto nell’etimologia della parola finzione: al confine, cioè, tra «mondo scritto e mondo non scritto», come annotava Italo Calvino, tra mondi reali e mondi possibili, documento e invenzione, egemonia e conflitto.

 

Collocandosi in una prospettiva stratigrafica di lunga durata, in definitiva, ma insistendo soprattutto sul crinale che ha prodotto nel paesaggio e nell’identità del sud Italia le mutazioni antropologiche e sociali più dirompenti, tra gli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento fino all’epoca della globalizzazione, queste finzioni meridionali registrano gli squilibri, la «violenza lenta»[5], transtorica o intemporale del Potere (da Sciascia a Pasolini); si misurano con la natura plurale delle interazioni tra paesaggio e testo letterario, tra la scrittura letteraria e lo spazio fisico circostante[6] (Vittorio Bodini, i narratori pugliesi contemporanei); mettono in scena le memorie, le esperienze o le lingue dei «soggetti di storia non egemonici»[7], marginali, dropout e non allineati (Rina Durante, Nino De Vita, Ernesto de Martino e Carlo Levi, Alessandro Leogrande). E soprattutto, grazie alla rilevanza non secondaria della varietà e della pluralità delle soluzioni letterarie impiegate, smentiscono e contrastano la rimozione, il «controllo dell’oblio» a suo tempo stigmatizzato da Franco Fortini, la presunta obsolescenza cui andrebbero incontro la questione meridionale e la necessità di rappresentare, del Sud o dal Sud, le contraddizioni, le vecchie e nuove disuguaglianze, i conflitti ancora oggi aperti e irrisolti. L’organizzazione narrativa e stilistica dei testi è all’origine del loro valore storiografico.

 

Queste esperienze letterarie tendono a interpretare la cultura, le voci e il punto di vista dei subalterni nella dinamica dei rapporti di forza, e non in quanto «reliquie» o «rottami» del passato, e pertanto interrogano in chiave antropologica e politica l’identità del Meridione come uno spazio in movimento fatto di scambi e antitesi, scontri e relazioni: un’idea di Sud come insieme di temporalità e geografie autonome che resistono al pensiero unico del progresso, e indicano il motore della storia nella centralità del conflitto tra gruppi sociali, ideologie e linguaggi. Si va delineando così una «poetica delle forme sociali»[8] che andrebbe intesa come costruzione ideologica di senso e come storia alternativa delle scritture (meridionali) contemporanee – tra prose e poesie, romanzi, epica e inchiesta etnografica, ibridazioni di generi –, in tutta la loro natura impura, scentrata e irregolare.

 

Note

  

[1] Per una lettura analitica e filologicamente orientata del lemma gramsciano, al di là delle risemantizzazioni a volte discutibili o controverse operate intorno al pensiero di Gramsci, soprattutto dai Cultural e Subaltern Studies (Edward Said, Gayatri Chakravorty Spivak, Homi Bhabha, Nelson Moe, Ranajit Guha, Sandro Mezzadra), cfr. G. Liguori, Subalterno e subalterni nei “Quaderni del carcere”, in “International Gramsci Journal”, 2, 2016, pp. 89-125; G. Tarascio, Gramsci nelle pieghe della postegemonia. Alcune note critiche sulle radici e le contraddizioni di una teoria, in “Res Pública. Revista de Historia de Las Ideas Políticas”, 25, 2022, pp. 329-342. Si rimanda, in particolare, dai Quaderni del carcere, al Quaderno 25 (1934), intitolato Ai margini della storia. Storia dei gruppi sociali subalterni.

[2] Su questo punto, ho tenuto presenti i lavori di C. Conelli, Il rovescio della nazione. La costruzione coloniale dell’idea di Mezzogiorno, Tamu, Napoli 2022; G. Tarascio, Nazione e Mezzogiorno, Ediesse, Roma 2020. Sulla svolta antropologica nella modernità letteraria, in riferimento soprattutto alla questione meridionale, alla cultura popolare e al folklore, da Verga a Scotellaro e Carlo Levi: R. Castellana, Lo spazio dei Vinti. Una lettura antropologica di Verga, Carocci, Roma 2022; M. Gatto, Rocco Scotellaro e la questione meridionale. Letteratura, politica, inchiesta, Carocci, Roma 2023; D. Forgacs, Margini d’Italia. L’esclusione sociale dall’Unità a oggi, Laterza, Roma-Bari 2015.

[3] I. Chambers, Il sud, il subalterno e la sfida critica, in Id. (a cura di), Esercizi di potere. Gramsci, Said, e il postcoloniale, Meltemi, Roma 2006, p. 8. Con le parole di Gramsci: «Come, in un certo senso, in uno Stato, la storia è storia delle classi dirigenti, così, nel mondo, la storia è storia degli Stati egemoni. La storia degli Stati subalterni si spiega con la storia degli Stati egemoni», A. Gramsci, Quaderno 15, II, §5, Passato e presente. La crisi.

[4] A. Boschetti, Il Trasnational Turn, in Ead., Teoria dei campi, Transnational Turn e storia letteraria, Quodlibet, Macerata 2023, p. 61.

[5] S. Iovino, Paesaggio civile. Storie di ambiente, cultura e resistenza, il Saggiatore, Milano 2022, p. 195: che fa riferimento a R. Nixon, Slow Violence and the Environmentalism of the Poor, Harvard University Press, Cambridge 2011.

[6] Cfr. N, Scaffai, Letteratura e ecologia. Forme e temi di una relazione narrativa, Carocci, Roma 2017; Id., Poesia e ecologia. Prospettive contemporanee, in “Oblio”, XII, 2022, pp. 205-18.

[7] Da recuperare e rileggere alla luce delle profonde trasformazioni del nostro contemporaneo, come già avvertiva A. M. Cirese (Cultura egemonica e culture subalterne. Rassegna degli studi sul mondo popolare tradizionale, Palumbo, Palermo 1971¹, p. 310): «Gli studi che diciamo demologici debbono in ogni caso fare i conti – e non genericamente – con la realtà socio-culturale contemporanea, con le forze e le ideologie che la animano, e con il rigore dei concetti che il suo studio reclama, trasformandosi in conseguenza».

[8] «La narrazione è, per Jameson, terreno di verifica sociale: […] il fine ultimo dell’utilizzo di categorie filosofiche, storiche o semplicemente stilistiche diventa quello della chiarificazione sempre dinamica del rapporto tra le pratiche estetiche e i movimenti sociali, che Jameson legge sempre come manifestazione di un orizzonte ultimo e intrascendibile, quello del modo di produzione economico. Si può dunque dar credito all’espressione “poetiche delle forme sociali” – più volte sostenuta da Jameson come descrittiva del suo intero programma teorico – per descrivere l’oggetto di indagine della critica letteraria marxista»: M. Gatto, Una poetica delle forme sociali: Jameson e il realismo, in “Cosmo – Comparative Studies in Modernism”, 9, 2016, p. 81.


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