-Riccardo Corsivieri-
Venezia: non è maltempo ma cambiamento climatico
Novembre è da sempre un mese in cui a Venezia avviene il fenomeno
dell’acqua alta, come molti hanno scritto in questi giorni. Quanto è
successo invece nella notte tra martedì e mercoledì, è però un fenomeno dalla
portata eccezionale che solo chi è in malafede può ricondurre al meteo
autunnale. Non è questione di meteo, è questione di cambiamento climatico o,
come meglio hanno definito i movimenti ambientalisti, di emergenza climatica
Perché l’acqua alta dipende dal cambiamento climatico?
La ONG statunitense CoastalClimate monitora costantemente il rischio di
innalzamento del livello del mare causato dai cambiamenti climatici. Nel suo ultimo report con mappe interattive dettagliate,
dimostra gli scenari agghiaccianti della pianura padana nei prossimi 20 e 30
anni. Venezia, ovviamente, è tra i luoghi più esposti e sommersi.
Questo accade per
svariati motivi, tra i quali lo scioglimento dei ghiacciai artici, ma pure
l’elevazione delle temperature medie del mare che aumenta il volume della massa
acquatica. La bassa pressione prolungata e il fortissimo vento di scirocco di
questi giorni (anche questi fenomeni atmosferici straordinari dovuti ai
cambiamenti climatici) hanno poi fatto il resto, causando danni enormi in tutta
la città.
Nello specifico poi, come spiegato in questo factcheck, vanno considerate pure le attività
antropiche che aumentano la subsidenza del terreno in cui si fonda la città
lagunare. In particolar modo va ricordata l’estrazione di acqua per finalità
industriali (il petrolchimico e l’area industriale di Marghera sono
prospicienti la laguna) e l’estrazione di gas in Adriatico, che, a seguito
delle scelte scellerate del governo Renzi, nei prossimi anni è programmato
debba addirittura aumentare.
Ma il MoSe?
La storia del sistema
di dighe mobili fortemente voluto dall’elite economica finanziaria di Venezia è
pluridecennale. Fin dagli anni ’70 si iniziò a parlare di un sistema di dighe
fisse (enormi cassoni di metallo conficcati al suolo), collocate alle tre
bocche di porto, cioè i varchi tra la laguna e il mare. Il MoSe era
costosissimo ma avrebbe difeso e protetto la città dalle acque alte presenti e
future. Il progetto è però invecchiato, la scienza e la tecnologia lo
hanno ampiamente superato, non esiste in alcun altro luogo al mondo un progetto
di sbarramenti mobili che in caso di riposo rimangono adagiati sul fondo
marino. “Il MoSe serve solo a chi lo fa” recitava uno slogan dei comitati No
MoSe dei primi anni 2000, ripreso da un poster con uno squalo che in molti
affiggevano alle vetrine e alle finestre. Eppure, il progetto è andato avanti,
sostenuto dal Consorzio Venezia Nuova, una delle entità economiche più potenti
della città, e, nonostante numerosi comitati negli anni abbiano dimostrato la
sua inconsistenza, la sua debolezza e problematicità, i costi esosi, i rischi
ambientali, il MoSe è stato approvato in via definitiva, e i lavori sono
iniziati nel 2005 malgrado le tante iniziative di protesta.
Nel 2014 si scoperchia la pentola
della corruzione, e i giornali raccontano di un sistema di tangenti
clientele e malaffare che ha determinato l’approvazione e la costruzione
dell’opera, coinvolgendo tanto il Consorzio Venezia Nuova quanto
l’amministrazione comunale e regionale, tutto in puro stile italiano. Partono
gli arresti, le denunce e i processi, alcuni dei quali ancora in corso.
Il MoSe oggi non è
ancora in funzione, tuttavia vi sono dubbi seri sul suo futuro funzionamento.
Alcune stime dicono che non proteggerà da maree superiori a 110 cm, (quella di
martedì notte è stata di 187 cm) anche se il Consorzio Venezia Nuova dice di aver
fatto prove fino a 300 cm. Non è chiaro quali siano stati i risultati di queste
prove.
Inoltre il MoSe è
stata un’opera impattante e violenta in un ecosistema fragilissimo quale è la
laguna di Venezia. Per realizzarla si è scavato e sbancato, squilibrando canali
e cambiando il corso alle correnti. Alle tre bocche di porto sono stati poi
posizionati dei “lunate” cioè massicciate di sassi artificiali per contenere
l’afflusso e proteggere la diga, ma queste potrebbero essere un trattenitore
naturale dell’alta marea, peggiorando anziché migliorare la situazione o
quantomeno rendendola più imprevedibile.
Venezia e Belluno, vittime del cambiamento climatico
L’acqua alta eccezionale arriva a poco più di un anno dalla tempesta Vaie che ha sconvolto le foreste del nordest
e del Veneto bellunese, provocando lo sradicamento di milioni di alberi. Ancora
una volta, ad un anno di distanza, un ecosistema delicato è gravemente
danneggiato dagli effetti del cambiamento climatico. E non è solo una questione
di cripte marciane o di scantinati. Sono andate sott’acqua librerie, aule
universitarie, negozi di alimentari. La storia e il presente della città ne
sono gravemente feriti.
Venezia è una città
delicatissima. Costantemente colpita dal calo demografico e svuotata dal
turismo mordi e fuggi, sempre più costretta al ruolo di Disneyland senz’anima
per turisti di tutto il mondo, la città lagunare oggi mostra ancora di più il
suo essere sull’orlo del baratro davanti all’avanzare impetuoso dell’emergenza
climatica.
Il movimento per il clima lo denuncia da tempo, non c’è salvezza possibile
se non cambiando il sistema economico predatore e devastatore in cui viviamo.
La politica però sembra ancora una volta girare le spalle. Una riprova è
stata la tragicomica scena al Consiglio Regionale del Veneto di
mercoledì sera scorso (12 novembre), Dopo essere rimasto fino all’ultimo a
discutere e alla fine a respingere un emendamento a favore delle energie
rinnovabili per scelta della maggioranza leghista, i consiglieri sono stati
mandati via in emergenza e la sala si è riempita d’acqua: metafora inquietante
del presente e del futuro a cui andiamo incontro.
Il 29 Novembre si riscende tutti in piazza per il global
strike for climate, anche per Venezia.