giovedì 26 settembre 2019

DOMANI 27 SETTEMBRE - CLIMATE STRIKE ANCHE IN ITALIA

La Mappa Italia di tutte le mobilitazioni della penisola

-Global Project-
 Ma come osa, questo capitalismo! 

 Milioni di persone in piazza 
 nella settimana di mobilitazione globale per il clima 


 È iniziata venerdì 20 settembre la settimana di mobilitazioni globali  contro la crisi climatica lanciata da Fridays For Future   
 In ogni angolo del mondo il movimento ecologista per l’uscita dal carbon-fossile e la  giustizia climatica ha avuto migliaia e migliaia di adesioni  
 La forma scelta, quella dello sciopero, segue il solco dell’iniziativa di Greta Thunberg,   che un anno fa iniziava a scioperare dai banchi di scuola ogni venerdì  


Il movimento di giovani che sta travolgendo tutto il mondo sembra da sei mesi a questa parte inarrestabile, e nonostante il calo di copertura mediatica le piazze rimandano un segnale molto chiaro: l’emergenza climatica è una realtà con cui in molti e molte fanno già i conti, soprattutto nei Paesi del Sud Globale. Sebbene nato in Svezia e diffusosi inizialmente soprattutto nei Paesi anglofoni e in Europa, il terzo sciopero globale ha visto infatti un’enorme diffusione anche in luoghi finora non raggiunti dal movimento: i quotidiani dello scorso venerdì aprivano infatti con gli scatti delle mobilitazioni in Afghanistan, Indonesia, Hong Kong, Nigeria e così via.
A Kabul il corteo di alcune centinaia di giovani era aperto da 9 ragazze (vedi immagine) e circondato da militari: la capitale afghana vive da anni uno stato di perenne assedio a causa della guerra e dei continui attacchi talebani, ma nonostante la paura i/le giovani che già da tempo si occupavano di ambiente hanno deciso di aderire alla chiamata di Fridays For Future e attraversare il centro della città. «Se è vero che la guerra può uccidere molti di noi, il cambiamento climatico ci ucciderà tutti» sono le parole di Fardeen Barakzai, un giovane attivista afghano. Oltre infatti al conflitto armato, Kabul è una delle città con il più alto tasso d’inquinamento atmosferico al mondo, cui si aggiungono gravissimi problemi di contaminazione delle acque. Ma c’è di più: l’Afghanistan subisce già da tempo gli effetti dell’esasperazione dei fenomeni atmosferici intensi, con il drastico alternarsi di fasi di siccità a pesanti alluvioni. Una condizione drammatica, che Qais Murshid, un altro giovane portavoce di Fridays For Future Afghanistan, riporta in questo modo all’Agenzia Fides: «L’anno scorso abbiamo visto gente abbandonare le proprie zone di origine per la mancanza di acqua, ma al tempo stesso, delle inondazioni hanno ucciso persone e distrutto case e terreni agricoli».

Una condizione comune, quella delle migrazioni forzate causate proprio dal cambiamento climatico, a numerosi altri territori che aderiscono al movimento di Fridays For Future individuando nel “climate justice” un claim che appartiene a loro prima che a chiunque altro. La crisi sociale che si intreccia inevitabilmente con il collasso ambientale accumula in layers ordinati strati gerarchici di discriminazione che investono anzitutto le popolazioni più povere del mondo, le minoranze, le donne: chiedere giustizia climatica significa chiedere la fine di un regime di disuguaglianze alimentato dall’estrattivismo e dall’iniqua appropriazione di ricchezze e natura “a buon mercato” da parte di un’oligarchia economica e politica.
Ed ecco che ragazzi e ragazze bengalesi, indiani, thailandesi, filippini, pakistani, indonesiani hanno invaso la scena, occupando e bloccando piazze e strade delle principali città dei propri Paesi chiedendo da un lato la dichiarazione dell’emergenza climatica e dall’altro la risoluzione dei problemi che sul piano locale si trovano a dover fronteggiare.
Si sono fatte protagoniste anche le generazioni più giovani in numerosi Paesi africani, dalla Nigeria, martoriata da anni di devastazioni a firma Eni e Shell, al Sud Africa, in cui l’apertura di miniere e impianti a carbone ha reso l’aria irrespirabile, provocando un severo aumento dei casi di malattie respiratorie e andando a incidere sui fenomeni atmosferici a causa delle elevatissime emissioni clima-alteranti.

Ancora una volta, il claim è climate justice: il discorso ha superato qualsiasi retorica della responsabilità individuale – se mai questa ha potuto attecchire in quei territori devastati da multinazionali occidentali – per puntare dritto al cuore della contraddizione capitalistica e far emergere i legami intrinseci tra crisi climatica, modello produttivo-accumulativo, migrazioni forzate, neocolonialismo, estrattivismo, infrastrutture.
Una contraddizione che non sfugge, naturalmente, al movimento nelle sue declinazioni europee e statunitensi, per cui la crisi climatica è hic et nunc e la necessità più impellente è l’uscita dal carbon-fossile per l’elaborazione di un modello di sviluppo radicalmente diverso. Un modello finalmente estraneo all’estrazione e accumulazione di valore da qualsiasi aspetto del vivente: a questo si riferisce anche la stessa Greta Thunberg quando di fronte al meeting UN di New York, con la voce rotta dalla rabbia, attacca la sua platea: «Come osate? Tutto ciò di cui parlate sono soldi e favole di eterna crescita economica?».
La familiarità con questa retorica, con il mito di un infinito sviluppo sostenibile, ha inevitabilmente attecchito, sin dall’inizio della protesta solitaria della sedicenne svedese, sui giovani e sulle giovani dei Paesi “occidentali”, avvezzi a misurare in valuta finanziaria qualsiasi aspetto dell’esistente. Forse per questo le piazze numericamente più rilevanti sono quelle europee e statunitensi, giunte alla terza edizione dello sciopero globale di Fridays For Future. In Germania, dove il movimento ecologista ha una lunga tradizione e ha ricevuto nuova linfa, negli ultimi anni, dall’esperienza di Ende Gelände, ci sono state 575 manifestazioni il 20 settembre, e lo stesso giorno è arrivata notizia, da parte del governo, dello stanziamento di 54 miliardi di euro per la protezione del clima, destinati a crescere fino alla soglia di 100 miliardi di investimento dopo il 2030. Una prima vittoria, che supera i successi inglesi ottenuti da Extinction Rebellion nella settimana di mobilitazione primaverile, quando la Camera dei Comuni britannica aveva approvato la mozione laburista per la dichiarazione dell’emergenza climatica, salvo stipulare un accordo non vincolante e destinato a rimanere, almeno sinora, una nominale dichiarazione di buoni intenti utile a pulire con un colpo di spugna la coscienza di governo e istituzioni.
Anche in Inghilterra, dove gli ideali di Fridays For Future vengono portati avanti dall’UK Student Climate Network, le piazze si sono riempite di studenti e studentesse i cui radical claim superano in lungimiranza e progettualità le dichiarazioni del laburista Corbyn, che non allarga il proprio orizzonte rispetto agli accordi di Parigi.

Folle oceaniche sono state anche quelle di Bruxelles, Atene, Amsterdam, Cracovia, ma quelle forse più singolari sono state le piazze francesi e di Hong Kong, dove la protesta climatica ha incontrato le rivendicazioni di altri soggetti: i gilets jaunes e il movimento contro gli emendamenti cinesi in materia di estradizione. In entrambi i casi, ciascuna delle due lotte ha dato adesione alle proteste di Fridays For Future ottenendo, soprattutto in Francia, una vera e propria convergenza delle lotte. Il caso francese è particolarmente emblematico: sono passati pochi mesi da quando Macron, messo alle strette dai gilet gialli, provava a cavalcare l’onda ecologista additando in Fridays For Future il movimento per l’ambiente “dei buoni”, da contrapporre proprio alle pratiche dei gilet gialli. L’atto 45, andato in scena lo scorso sabato 21, ha costretto a una chiara ridefinizione della narrativa intorno al movimento, anche per le violente cariche della polizia agli Champs Elysées e per gli scontri durati fino a tarda notte: «la manifestazione per il clima di oggi [sabato 21, ndr] è la prima al mondo ad essere stata aperta da un corteo antagonista, di massa ed eterogeneo, partecipato anche dai gilet gialli e caratterizzato da slogan esplicitamente anticapitalisti», così scrivono su Acta i protagonisti di quella giornata.

Gli appuntamenti, così numerosi, partecipati ed efficaci in ogni angolo del globo, rendono il secondo appuntamento della settimana di mobilitazione, venerdì 27 settembre, un osservato speciale. L’Italia è uno dei pochi Paesi che ha scelto di lanciare come data dello sciopero globale l’ultimo venerdì di settembre, dando il via a una serie di azioni e iniziative di avvicinamento: venerdì 20 sono state decine le città in cui i presidi locali di Fridays For Future hanno fatto azioni di varia natura. A Milano è stata occupata la sede della RAI e le proteste sono continuate con il sanzionamento delle vetrine del marchio di H&M, il cui impatto ambientale, unito allo scarsissimo rispetto delle condizioni di lavoro dei dipendenti, si è reso immediato bersaglio della protesta.
Resta ora da vedere come si riempiranno le piazze italiane questo venerdì, anche se l’adesione allo sciopero da parte di tutti i sindacati segna già una grande vittoria del movimento, quella di aver tolto proprio a questi ultimi l’esclusività di uno strumento che i nuovi conflitti di classe stanno completamente ridisegnando.