PER
LA LIBERTÀ DI ESPRESSIONE E CONTRO L’USO MANICHEO DELLA STORIA-nel
condividere l’appello pubblicato da EFFIMERA rilanciamo anche sulle nostre
pagine l’invito ad aderire così come
hanno già fatto diversi altri siti e testate online
L’11
dicembre prossimo, presso la Casa della Memoria di Milano, si sarebbe dovuta
tenere la proiezione del documentario (peraltro in quel luogo girato e da
quella amministrazione commissionato) This Arm | Disarm, sull’opera
di Paolo Gallerani e firmato dal collettivo Officina Multimediale e
da Maurizio “Gibo” Gibertini. Il 5 dicembre compare nell’edizione milanese
(cartacea) del quotidiano “la Repubblica” un articolo dal titolo Casa
della Memoria in programma un ex degli anni di piombo. Praticamente in
contemporanea, il giornalista estensore dell’articolo inoltra a Gibertini una
comunicazione scritta da una serie di associazioni e indirizzata all’assessore
alla Cultura di Milano e a varie altre figure istituzionali, fra le quali il
sindaco Sala. In questa comunicazione si chiede di vietare la proiezione. Al di
là delle gravi inesattezze e falsità contenute nel testo in questione, rispetto
alle quali “Gibo” valuterà di tutelarsi nelle forme e sedi che riterrà
opportune, questo fatto ci impone nuovamente la necessità di una riflessione e
di una presa di parola collettiva contro l’ennesimo caso in cui viene impedita
la libertà di espressione a chi ha la “colpa” di aver militato nei movimenti di
lotta degli anni Settanta in Italia.
Le
polemiche e i “linciaggi” politici e mediatici che in questi ultimi anni hanno
colpito diversi/e esponenti dei movimenti e delle organizzazioni della sinistra
extraparlamentare e rivoluzionaria italiana negli anni Settanta del secolo
scorso, “rei” di aver partecipato o di essere stati invitati ad una serie di
iniziative pubbliche di tipo e segno diverso, danno la dimensione di come la
“sindrome degli anni di piombo” sia ancora diffusa in ampi settori del mondo
politico, giornalistico, associativo e delle forze dell’ordine di questo Paese.
Non ci interessa qui discutere le scelte politiche o personali di ognuno di
loro, né dei contesti e delle iniziative la cui partecipazione da parte di ex
esponenti di organizzazioni rivoluzionarie (comprese quelle armate) attive
quarant’anni fa è stata stigmatizzata.
Ci
preme invece evidenziare quanto ancora oggi il tema della violenza politica (ivi
incluso quello della lotta armata) sia divenuto una specie di “passato che non
passa” rispetto al quale l’azione della magistratura sembra essersi sostituita
al silenzio degli storici (o alla marginalizzazione di quante e quanti
coraggiosamente decidono di occuparsi seriamente di questo pezzo di storia
repubblicana). Un fenomeno non da studiare e comprendere (cosa ben diversa per
l’appunto dal giudicare), ma da sottoporre perennemente alle
strumentalizzazioni della politica, costume tutto italiano (le cose vanno in
modo ben diverso in altri Paesi europei, anche in quelli che hanno conosciuto
fenomeni analoghi), che viene da lontano.
Senza
contare che, di fronte a questi attacchi smodati, va a farsi benedire tutta la
litania sulla “funzione rieducativa” del carcere (visto che si tratta di
persone che hanno scontato le pene a cui sono state condannate): a nessuno di
coloro che scagliano anatemi o distribuiscono censure interessa il merito di
quello che dicono o fanno i censurati nelle attività alle
quali vengono invitati (peraltro, come si è scritto sopra, quello del regista –
non ex-terrorista – Gibertini è un documentario
che nulla ha a che vedere con gli anni Settanta), ciò che interessa è solo il
concetto del “fine pena mai”, a maggior ragione se l’additato/a magari fa
ancora attivismo nella società, nel mondo della cultura o dell’informazione
(magari con posizioni “anti-sistema”, come scrivono i censori di “Gibo”
istituendo un assurdo parallelismo tra opposizione politica e terrorismo), in
spregio alle più elementari norme della convivenza e della trasparenza e, in
altre parole, della Memoria stessa. Un “ergastolo” sociale e morale, con il
quale si preferisce schiacciare tutto un periodo, gli anni Settanta, sotto la
plumbea cappa della definizione “anni di piombo”, evitando di vedere in esso e
nei movimenti sociali che lo hanno attraversato anche una occasione importante
(sebbene non colta) per dare un futuro diverso a questo Paese. Il tutto senza
scrupolo alcuno neppure per il fatto che la censura dell’opera di Gibertini
sia, se possibile, aggravata da quella, risultante, della produzione artistica
di Paolo Gallerani.
Sentiamo
quindi la necessità di denunciare con un appello aperto a tutte e tutti il
clima da “laica inquisizione” che caratterizza il dibattito e la riflessione
sugli anni Settanta in Italia, colpisce perennemente coloro che hanno
partecipato a quei movimenti e attenta gravemente alla libertà di espressione.
Qui non è in discussione il “dolore dei parenti delle vittime”, come ha scritto
l’assessore milanese alla Cultura (ma di qualsiasi vittima, aggiungiamo noi),
che è sacro, attiene alla sfera più intima di chi lo subisce e va rispettato –
giova ricordarlo: nel caso specifico di Gibertini non c’è alcuna vittima. Qui è
in discussione una cultura punitiva che, nella società così come nel mondo
della cultura ma anche della ricerca, che da una parte non vuole fare i conti
fino in fondo con la storia recente di questo Paese e dall’altra vuole impedire
qualsiasi spazio di parola e chi a questo pezzo di storia ha comunque
partecipato, pagandone di persona il prezzo (in termini giudiziari,
psicologici, familiari e di salute). Persone che per giorni o settimane si
ritrovano sbattute come “mostri” sulle pagine dei giornali o nei servizi dei
telegiornali, additate con disprezzo come “quelli/e degli anni di piombo” e che
per questo vengono giudicate, e non per le attività (sociali, culturali,
professionali) che svolgono oggi.
Una proiezione alternativa del documentario si terrà,
alla presenza di Maurizio Gibertini e Paolo Gallerani, lunedì 11 dicembre
a Piano Terra, in via Federico
Confalonieri 3, Milano.
(Per
aggiungere la propria adesione all’appello è possibile inviare una email
a: francopalazzi93@gmail.com)
Alberto
Pantaloni
Pietro
Saitta
Andrea
Fumagalli
Cristina
Morini
Andrea
Cegna
Alisa
Del Re
Amelia
Chiara Trombetta
Giuseppe
Caccia
Adelino
Zanini
Emanuele
Landi
Emanuele
Leonardi
Nicolas
Martino
Gaetano
Grasso
Dario
Lovaglio
Mario
Gamba
Francesca
Coin
Cristina
Roncari
Giuseppe
Fabrizio
Giorgio
Bonazzi
Tiziana
Villani
Alessio
Kolioulis
Cosimo
Lisi
Paolo
Gallerani
Nino
Fabrizio
Simone
De Simoni
Gabriele
Battaglia
Lola
Matamala
Carlo
Vercellone
Francesco
Maria Pezzulli
Gianni
Giovannelli
Maurizio
Teli
Federico
Chicchi
Enzo
Carbone
Salvatore
Palidda
Giorgio
Griziotti
Aldo
Giannuli
Renzo
Rossellini
Stefano
Lucarelli
Maria
Meriggi
Franco
Palazzi
Cristina
Balboni
Camilla
Pin Montagnana
Flora
Cappelluti
Claudia
Melica
Luciano
Ummarino
Alessandro
Bernardi
Daniele
Sepe
Roberto
Scondino
Enrica
Pennello
Luca
Trada
Paola
Rivetti
Nicoletta
Masiero
Roberto
Raineri
Andrea
Brazzoduro
Marcello
Cotogni
Maurizio
Sicuro
Marco
Assennato
Sandro
Mezzadra
Marco
Grispigni
Francesco
Festa
Graziella
Durante
Marco
Bascetta
Lanfranco
Caminiti
Giovanni
Pedranghelu
Marco
Spagnuolo
Donata
Meneghelli
Italo
Di Sabato
Mario
Di Vito
Luca
Casarotti
Federico
Battistutta
Giuliana
Peyronel
Carla
Centioni
Claudio
D’Aguanno
Mimmo
Stolfi
Paola
Tavella
Franco
Oriolo
DeriveApprodi
(casa editrice)
Docks
società cooperativa
Adalgiso
Amendola
Manuela
Costa
Dinamo
Press
Sergio
Scorza
Roberto
Vitelli
Luca
Barreca
Gianni
Maggi
Marco
Bonfante
Francesco
Gavilli
Carmela
Pane
Paolo
Barone
Sergio
Braga
Gian
Piero Di Folco
Corrado
Gambi
Claudia
Pinelli
Ubaldo
Fadini