giovedì 7 dicembre 2017

appelli&petizioni/ “FINE PENA MAI”

PER LA LIBERTÀ DI ESPRESSIONE E CONTRO L’USO MANICHEO DELLA STORIA-nel condividere l’appello pubblicato da EFFIMERA rilanciamo anche sulle nostre pagine l’invito ad aderire così come hanno già fatto diversi altri siti e testate online


L’11 dicembre prossimo, presso la Casa della Memoria di Milano, si sarebbe dovuta tenere la proiezione del documentario (peraltro in quel luogo girato e da quella amministrazione commissionato) This Arm | Disarm, sull’opera di Paolo Gallerani e firmato dal collettivo Officina Multimediale e da Maurizio “Gibo” Gibertini. Il 5 dicembre compare nell’edizione milanese (cartacea) del quotidiano “la Repubblica” un articolo dal titolo Casa della Memoria in programma un ex degli anni di piombo. Praticamente in contemporanea, il giornalista estensore dell’articolo inoltra a Gibertini una comunicazione scritta da una serie di associazioni e indirizzata all’assessore alla Cultura di Milano e a varie altre figure istituzionali, fra le quali il sindaco Sala. In questa comunicazione si chiede di vietare la proiezione. Al di là delle gravi inesattezze e falsità contenute nel testo in questione, rispetto alle quali “Gibo” valuterà di tutelarsi nelle forme e sedi che riterrà opportune, questo fatto ci impone nuovamente la necessità di una riflessione e di una presa di parola collettiva contro l’ennesimo caso in cui viene impedita la libertà di espressione a chi ha la “colpa” di aver militato nei movimenti di lotta degli anni Settanta in Italia.
Le polemiche e i “linciaggi” politici e mediatici che in questi ultimi anni hanno colpito diversi/e esponenti dei movimenti e delle organizzazioni della sinistra extraparlamentare e rivoluzionaria italiana negli anni Settanta del secolo scorso, “rei” di aver partecipato o di essere stati invitati ad una serie di iniziative pubbliche di tipo e segno diverso, danno la dimensione di come la “sindrome degli anni di piombo” sia ancora diffusa in ampi settori del mondo politico, giornalistico, associativo e delle forze dell’ordine di questo Paese. Non ci interessa qui discutere le scelte politiche o personali di ognuno di loro, né dei contesti e delle iniziative la cui partecipazione da parte di ex esponenti di organizzazioni rivoluzionarie (comprese quelle armate) attive quarant’anni fa è stata stigmatizzata.
Ci preme invece evidenziare quanto ancora oggi il tema della violenza politica (ivi incluso quello della lotta armata) sia divenuto una specie di “passato che non passa” rispetto al quale l’azione della magistratura sembra essersi sostituita al silenzio degli storici (o alla marginalizzazione di quante e quanti coraggiosamente decidono di occuparsi seriamente di questo pezzo di storia repubblicana). Un fenomeno non da studiare e comprendere (cosa ben diversa per l’appunto dal giudicare), ma da sottoporre perennemente alle strumentalizzazioni della politica, costume tutto italiano (le cose vanno in modo ben diverso in altri Paesi europei, anche in quelli che hanno conosciuto fenomeni analoghi), che viene da lontano.
Senza contare che, di fronte a questi attacchi smodati, va a farsi benedire tutta la litania sulla “funzione rieducativa” del carcere (visto che si tratta di persone che hanno scontato le pene a cui sono state condannate): a nessuno di coloro che scagliano anatemi o distribuiscono censure interessa il merito di quello che dicono o fanno i censurati nelle attività alle quali vengono invitati (peraltro, come si è scritto sopra, quello del regista – non ex-terrorista –  Gibertini  è un documentario che nulla ha a che vedere con gli anni Settanta), ciò che interessa è solo il concetto del “fine pena mai”, a maggior ragione se l’additato/a magari fa ancora attivismo nella società, nel mondo della cultura o dell’informazione (magari con posizioni “anti-sistema”, come scrivono i censori di “Gibo” istituendo un assurdo parallelismo tra opposizione politica e terrorismo), in spregio alle più elementari norme della convivenza e della trasparenza e, in altre parole, della Memoria stessa. Un “ergastolo” sociale e morale, con il quale si preferisce schiacciare tutto un periodo, gli anni Settanta, sotto la plumbea cappa della definizione “anni di piombo”, evitando di vedere in esso e nei movimenti sociali che lo hanno attraversato anche una occasione importante (sebbene non colta) per dare un futuro diverso a questo Paese. Il tutto senza scrupolo alcuno neppure per il fatto che la censura dell’opera di Gibertini sia, se possibile, aggravata da quella, risultante, della produzione artistica di Paolo Gallerani.
Sentiamo quindi la necessità di denunciare con un appello aperto a tutte e tutti il clima da “laica inquisizione” che caratterizza il dibattito e la riflessione sugli anni Settanta in Italia, colpisce perennemente coloro che hanno partecipato a quei movimenti e attenta gravemente alla libertà di espressione. Qui non è in discussione il “dolore dei parenti delle vittime”, come ha scritto l’assessore milanese alla Cultura (ma di qualsiasi vittima, aggiungiamo noi), che è sacro, attiene alla sfera più intima di chi lo subisce e va rispettato – giova ricordarlo: nel caso specifico di Gibertini non c’è alcuna vittima. Qui è in discussione una cultura punitiva che, nella società così come nel mondo della cultura ma anche della ricerca, che da una parte non vuole fare i conti fino in fondo con la storia recente di questo Paese e dall’altra vuole impedire qualsiasi spazio di parola e chi a questo pezzo di storia ha comunque partecipato, pagandone di persona il prezzo (in termini giudiziari, psicologici, familiari e di salute). Persone che per giorni o settimane si ritrovano sbattute come “mostri” sulle pagine dei giornali o nei servizi dei telegiornali, additate con disprezzo come “quelli/e degli anni di piombo” e che per questo vengono giudicate, e non per le attività (sociali, culturali, professionali) che svolgono oggi.

Una proiezione alternativa del documentario si terrà, alla presenza di Maurizio Gibertini e Paolo Gallerani, lunedì 11 dicembre a Piano Terra, in via Federico Confalonieri 3, Milano.

(Per aggiungere la propria adesione all’appello è possibile inviare una email a: francopalazzi93@gmail.com)

Alberto Pantaloni
Pietro Saitta
Andrea Fumagalli
Cristina Morini
Andrea Cegna
Alisa Del Re
Amelia Chiara Trombetta
Giuseppe Caccia
Adelino Zanini
Emanuele Landi
Emanuele Leonardi
Nicolas Martino
Gaetano Grasso
Dario Lovaglio
Mario Gamba
Francesca Coin
Cristina Roncari
Giuseppe Fabrizio
Giorgio Bonazzi
Tiziana Villani
Alessio Kolioulis
Cosimo Lisi
Paolo Gallerani
Nino Fabrizio
Simone De Simoni
Gabriele Battaglia
Lola Matamala
Carlo Vercellone
Francesco Maria Pezzulli
Gianni Giovannelli
Maurizio Teli
Federico Chicchi
Enzo Carbone
Salvatore Palidda
Giorgio Griziotti
Aldo Giannuli
Renzo Rossellini
Stefano Lucarelli
Maria Meriggi
Franco Palazzi
Cristina Balboni
Camilla Pin Montagnana
Flora Cappelluti
Claudia Melica
Luciano Ummarino
Alessandro Bernardi
Daniele Sepe
Roberto Scondino
Enrica Pennello
Luca Trada
Paola Rivetti
Nicoletta Masiero
Roberto Raineri
Andrea Brazzoduro
Marcello Cotogni
Maurizio Sicuro
Marco Assennato
Sandro Mezzadra
Marco Grispigni
Francesco Festa
Graziella Durante
Marco Bascetta
Lanfranco Caminiti
Giovanni Pedranghelu
Marco Spagnuolo
Donata Meneghelli
Italo Di Sabato
Mario Di Vito
Luca Casarotti
Federico Battistutta
Giuliana Peyronel
Carla Centioni
Claudio D’Aguanno
Mimmo Stolfi
Paola Tavella
Franco Oriolo
DeriveApprodi (casa editrice)
Docks società cooperativa
Adalgiso Amendola
Manuela Costa
Dinamo Press
Sergio Scorza
Roberto Vitelli
Luca Barreca
Gianni Maggi
Marco Bonfante
Francesco Gavilli
Carmela Pane
Paolo Barone
Sergio Braga
Gian Piero Di Folco
Corrado Gambi
Claudia Pinelli
Ubaldo Fadini