-roberto ciccarelli-
PRATICARE L’INDIGNAZIONE
Che cos'è il popolulismo? Da quali esperienze
storiche e riflessioni filosofiche sorge? Il libro appena uscito di Augusto
Illuminati, “Profeti e populisti” affronta il tema in modo non ideologico,
provando a cogliere politicamente i contorni di questo fenomeno, anche per
superarlo
«oh, noi che abbiamo voluto
apprestare il terreno alla gentilezza,
noi non si poté essere gentili.
Ma voi, quando sarà venuta l’ora
che all’uomo un aiuto sia l’uomo,
pensate a noi con indulgenza»
(Bertolt Brecht)
Quando
parliamo di populismo, scrive Augusto Illuminati in Populisti
e profeti. Istruzioni per l’uso e la disattivazione (Manifestolibri),
non dobbiamo mettere tutto nello stesso sacco. Il populismo non è il vomito del
demonio, ma il sintomo di una condizione. Chi fa politica su altri piani, lo
deve cogliere. Il consiglio va allora preso come un’indicazione materialistica:
se un discorso esiste, non va disprezzato, va studiato e usato politicamente.
Ragionare e distinguere, per quanto desueto, ha qualche chance di successo.
Il
sintomo del populismo
Il populismo ha molte maschere,
difficile ridurle a una sola. Esiste un populismo “dall’alto”: quello di un
miliardario come Trump che parla a nome degli esclusi e fa gli interessi delle
élites; il populismo xenofobo e razzista, “rigurgito fascista 2.0”. Illuminati
ricorda anche quello “insorgente” e “di sinistra”: “espressione di resistenza e
rivolta”.
C’è
il populista Renzi che elargisce i bonus degli 80 euro, 18 miliardi di euro
alle imprese e regala mance ai “poveri” con il Reddito
di inclusione sociale (Rei). C’è il populista digitale e trasversale Grillo
che dice una cosa di destra e un’altra di sinistra. C’è il “populista
centrista” Macron, eletto dalla destra e dalla sinistra, che fa il “presidente
dei ricchi”.
Questi
esempi mostrano un continuo sconfinamento dei significati che può essere così
riassunto: si confonde il populismo come movimento con il populismo come
partito. Si urla contro il pericolo populista e contro i populisti si adottano
politiche populiste.
Il
populismo non è unidimensionale, né statico. L’alto e il basso, la destra e la
sinistra, possono sovrapporsi e scambiarsi di ruolo. Le sue caratteristiche
valgono in sé e possono intrecciarsi. Nell’incertezza dei suoi significati
emerge tuttavia una costante. Per Illuminati il “populismo” è il sintomo della
crisi del governo rappresentativo e dell’alternativa socialdemocratica e
comunista al neoliberalismo. A questa crisi però il populismo non dà una
soluzione. È il sintomo della crisi che denuncia.
Indignazione
Il
libro si sofferma sull’energia politica dell’indignazione. Questo è il motore
del populismo. Di questo concetto va fatta una breve storia. Nei primi anni
della crisi un libretto di Stéphane Hessel esortava a indignarsi. In Spagna è
stato famoso il movimento degli Indignados, etichetta che in realtà
indicava un movimento reale a cui si è ispirato Podemos: era il tempo
dell’indignazione contro la “Casta”, contro l’1% che “non paga la crisi” in
nome del “99%”.
La
storia dell’indignazione è precedente al neo-populismo “di destra” o “di
sinistra”, scrive Illuminati. Ed è precedente al populismo originario formulato
nella Russia zarista e in alcune zone degli Stati Uniti a fine Ottocento.
Illuminati
suggerisce di tornare al Seicento: Spinoza. Con il grande filosofo dell’Etica capiamo
che l’indignatio è la passione dei cittadini offesi dallo
spettacolo dell’ingiustizia compiuta dal tiranno contro se stessi e gli altri.
L’indignatio non è solo una passione triste – il “rancore” – ma un
elemento fondativo della vita in comune. Gli indignati si coalizzano per il
desiderio di vendicare un danno subito da tutti.
L’indignazione
è il segno di una guarigione, il dolore è superato dalla solidarietà. È energia
politica che non chiude il movimento nelle aporie della sovranità, ma apre a un
movimento verso ciò che non è politicamente determinato.
Rancore
Il
populismo, invece, chiude il movimento. Sostituisce l’indignazione con il
rancore. Il rancore dissolve una comunità malata, ma non ispira quella sana che
le subentra. Punta sull’ostilità invece che sulla fraternità. Sulla persistenza
della cicatrice e non sulla sua guarigione.
Indignazione
e rancore sono dialettiche dell’offesa. La prima reagisce attivamente: con
un’azione che sottrae l’oppresso dall’offesa e rafforza la solidarietà con
l’altro e il prossimo; il secondo reagisce passivamente e separa gli oppressi
in un conflitto permanente. In questo caso l’elemento pacificatore è un
principio sovradeterminato – la Legge, un Capo, una Terra Promessa. Orizzonti
irraggiungibili che portano alla frustrazione, mentre il rancore aumenta.
In
un’economia politica delle passioni bisogna “disattivare” il rancore e usare
virtuosamente l’indignazione.
Sovranità
popolare
Il
centro del “neo-populismo” è la “sovranità popolare”. Si tende ad assolutizzare
questo principio, separandolo dalla sua declinazione costituzionale.
Da
quando Rousseau è risorto, si è tornati a identificare la “sovranità popolare”
nella “volontà generale”. Questa volontà non è la somma delle singole volontà
degli individui (la “volontà di tutti”), ma è un principio costituente che
guida lo Stato nella realizzazione del bene comune. La sovranità si esprime in
un corpo collettivo: il popolo. Il popolo incarna la “volontà generale”. È il
Soggetto che anima lo Stato.
In
questa teoria spariscono le classi, l’analisi della composizione tecnica e
sociale della forza lavoro, il suo rapporto contraddittorio con i modi di
produzione capitalistici. Dalla contraddizione si passa al trascendentale.
Dalla critica dell’economia politica si passa alla metafisica. Non si parla
della critica della società fondata sulla proprietà privata, ma di una
proprietà pubblica e “nazionale” in mano allo Stato. Non è una
questione di sfumature.
Il
principio della “sovranità popolare” porta a una confusione con
la sovranità dello stato-nazione. Si può invocare il popolo perché si vogliono
rafforzare le prerogative dello stato-nazione contro i migranti “invasori” o
contro il capitale. Se non si è xenofobi o razzisti ci si ferma, più
timidamente, all’evocazione di un rafforzamento dei confini. La “sovranità
popolare” si esprime anche nel proteggere le frontiere. È prerogativa dello
Stato esercitare il monopolio sulla violenza.
Proprietà
e confini: queste sono le idee che il secolo breve ha trasmesso al
neo-populismo. Questa idea ha due problemi: rafforza in maniera autoritaria il
potere dello stato sul popolo, e contro il popolo,
penalizzando la possibilità di partecipare alla vita politica e agli affari
pubblici. E rafforza l’esclusione degli stranieri e dei migranti in nome di
una comunità
originaria autoctona, il mito primigenio dell’Identità.
Alla
teoria della “sovranità popolare” rispondono gli esperti di diritto
costituzionale. Per loro la “sovranità popolare” è un elemento della legge
fondamentale. Per esprimerla ci sono i referendum e le elezioni.
Alla
prova dei fatti questa soluzione è difficile. Dopo 25 anni di leggi elettorali
sbagliate, gli italiani ne sanno qualcosa. La gara sembra essere truccata in
partenza. Mai le urne daranno voce al “vero” popolo.
Davanti
a questa difficoltà i populisti rispondono: il popolo eccede sempre la sua
rappresentanza istituzionale. Quelli che dicono “Noi, il popolo” sanno che non
lo rappresentano mai pienamente. Il popolo è un trascendentale puro. Si darà
sempre un popolo diverso rispetto a quello rappresentato dalle istituzioni o
dai partiti.
Ma
chi rappresenta il popolo, democraticamente eletto, potrà dimostrare di avere
ragione per la ragione opposta, in nome del popolo. E non può che essere così:
la sovranità popolare è un elemento dello stato di diritto costituzionale. Una
volta incarnata, bisogna aspettare il prossimo turno alle urne. Nel frattempo
il conflitto si assopisce nella “nuova legittimità del popolo”. Coloro che
contestano tale legittimità saggiano sulla propria pelle la repressione della
polizia che, in nome del popolo, esercita la sua funzione. L’esercizio
diretto del potere da parte del popolo dovrebbe abolire il potere stesso che
induce lo Stato a reprimere il popolo in nome della sua stessa
sovranità. Da questa aporia non c’è uscita.
Moltitudine
Spinoza
è una presenza incombente nel libro di Illuminati. Torna la classica
distinzione tra popolo e moltitudine. Il popolo è l’Uno – ovvero il sovrano, lo
Stato. La moltitudine è il soggetto estraneo al contratto di sottomissione con
il quale il Sovrano la trasforma in “popolo” e l’assoggetta alle regole di un
patto.
Questo
significa che il “popolo” che non intende rispettare la legittimità di una
legge ingiusta – cioè votata da un parlamento secondo i crismi della Legge –
può diventare moltitudine e disobbedire al patto che usa il nome del popolo
contro il popolo.
Per
sottrarsi alle aporie della legge, e affermare il principio della “democrazia
assoluta”, il popolo deve scindersi da se stesso. Così facendo rompe con
l’ordine precedente e – se ci riesce – ne impone uno nuovo. Ridiventa “popolo”,
ma in sé non è quello che vuole il Sovrano. È moltitudine, appunto.
In
Spinoza moltitudine e popolo non sono soggetti distinti, ma appartengono a una
dialettica politica dove prima viene la moltitudine, il soggetto che non
risponde a un patto perché ha la potenza di imporne un nuovo. Moltitudine non è
l’informe della politica. È una potenza da cui il popolo dipende, così come il
potere dello Stato.
Profeti
La
moltitudine, ricorda Illuminati, non ha bisogno di “profeti”, di “capi” e
nemmeno di nemici per consistere. Ma è stato Spinoza a raccontare, nel Trattato
teologico-politico, come la moltitudine abbia fatto largo ricorso a capi
carismatici per liberarsi dall’oppressione. Valga qui come esempio il Mosé che
guidò l’esodo dall’Egitto del “popolo di Dio”.
Il
profeta serve a formare dal nulla o dalla corruzione un soggetto diverso dal
“popolo” legittimato. Ha un ruolo fondamentale per iniziare una politica
diversa e mostrare alle masse la terra promessa. Raduna le energie disperse.
Convoglia l’indignazione verso un nemico, un obiettivo, una causa. Il profeta è
l’inquisitore come Savonarola, l’annunciatore dell’arrivo di un Salvatore come
Giovanni il Battista.
Capo
Dopo
la liberazione delle catene bisogna liberarsi dei capi e dei profeti. Ma questo
non può avvenire restando nel campo della “legittimità”. Il “Capo” esiste per
mantenere il suo popolo sul percorso che lo condurrà verso il paradiso.
Il
populismo nasce su questo confine e impedisce la trasformazione. Mantiene il
“popolo” nella forma di massa e promette una liberazione che non arriva.
Congela il Capo alla guida del suo popolo, scrive Illuminati, perché così vuole
la Legge. La promessa della liberazione è sempre rinviata a un principio
eminente, inattingibile.
Questa
non è solo una storia biblica. Non stupirà il fatto che oggi il carisma
profetico è espresso dai manager, dai dirigenti d’impresa, da chi si riconosce
nella “governamentalità” neoliberale.
Berlusconi
voleva dirigere lo Stato come un’azienda. Da ultimo Renzi che pensava di
guidare un governo nello stesso modo in cui spippola sul suo IPhone. Il
politico-imprenditore è l’ultima incarnazione del carisma profetico. Per un
certo periodo il “popolo” ha creduto a questa “innovazione”. Con il referendum
del 4 dicembre l’incanto è sparito. Renzi è imbolsito, preda di preoccupazioni
bancarie aretine. Berlusconi è la macchietta biascicante rappresentata da
Maurizio Crozza. In tempi di populismi, i leader carismatici si consumano come
noccioline.
Ciò
non toglie che la sua politica resti e sia «una variante virulenta del carisma
profetico» e «non sfugge alla sua dinamica di affermazione e stabilizzazione
burocratica».
Movimento
Esiste
una politica irriducibile al “momento populista” in cui viviamo. Non tutti i movimenti
possono essere compresi ricorrendo al concetto di “sovranità” o di “popolo”. Ad
esempio il movimento femminista “Non una di meno”, quelli anti-razzisti e dei
migranti, Black Lives Matter contro le violenze della polizia negli Stati
Uniti, il flebile e cangiante arcipelago precario. L’elenco è di Illuminati.
Approfondisco la traccia femminista.
L’occasione
scatenante di questo movimento è stata la violenza contro le donne. Lo
strumento politico di cui si è dotato è il “piano femminista contro la violenza
maschile: 57
pagine frutto di una straordinaria e aperta consultazione
dell’intelligenza collettiva. Così il nuovo femminismo ha impostato la ricerca
strumenti per contrastare la violenza di genere e ha messo in campo una
dotazione teorica e culturale fondata sull’autonomia, la soggettività e la
potenza.
Sono
i tre criteri base di una politica non populista il cui
obiettivo, scrive ancora Illuminati, è creare “comunità evasive, senza
identificazione essenzialistica e appartenenza, e in cui lo stesso comune non
deve consistere, non è un qualcosa ma un’esperienza, una co-esposizione”. Una
definizione che può essere compresa guardando gli streaming delle
assemblee del movimento. La forza politica, l’intensità emotiva e affettiva,
l’affilatezza delle analisi, l’esposizione dei corpi e delle loro storie: qui
si è addensata una potenza che oggi permette di generare pensieri e azioni
altrimenti impossibili.
Queste
soggettività – le donne, i soggetti della differenza sessuale (Lgbtqi) – sono
state storicamente escluse dal “popolo”. I loro movimenti sono politiche della
soggettività – e non dell’identità di gruppi sociali che partecipano alla
“logica sociale” del “popolo”, come crede il filosofo argentino Ernesto
Laclau a cui si deve questo dibattito.
Il
movimento femminista mette in discussione alla radice l’esistenza di soggetti
unitari e neutrali come il “Popolo”. Per questo risulta illeggibile se
vincolato alla restaurazione di un principio politico incarnato nella sovranità
popolare.
Ira
Una
politica è efficace quando si fa in nome di una parte e tende ad abolire la
logica che impone la divisione tra le parti: quelle del governato e del
governante, di chi è subalterno e di chi comanda.
Questa
è la logica con la quale Marx ha identificato la classe di chi non ha ricchezze
né proprietà nel proletariato. Questa “classe” non istituisce un “popolo”, ma
abolisce se stessa insieme alla divisione in classi della società.
Paradosso,
malinteso, dissidio, contraddizione. Sono molte le definizioni che hanno
descritto questa politica che intende abolire lo sfruttamento a partire dal
soggetto sfruttato. La stessa che ispira la politica dei soggetti che affermano
l’autonomia del corpo, la differenza sessuale, la singolarità di una vita e
intendono rovesciare la gerarchia che li subordina a una norma, un comando,
un’identità.
«Lo
stile del populismo sarà a volte rozzo» – scrive Illuminati – «l’importante è
che l’ira degna non si cristallizzi».