-TONI CASANO-
la costruzione reticolare di piattaforme civiche
come pratica possibile delle forme soggettivanti
le moltitudini metropolitane
/quello delle piattaforme delle città iberiche
è un punto di riferimento a cui guardare
/bisogna partire dal dato che «in tutto il mondo,
un numero crescenti di città grandi e piccole
si schiera in difesa dei diritti umani, della
democrazia e dei beni comuni»
come pratica possibile delle forme soggettivanti
le moltitudini metropolitane
/quello delle piattaforme delle città iberiche
è un punto di riferimento a cui guardare
/bisogna partire dal dato che «in tutto il mondo,
un numero crescenti di città grandi e piccole
si schiera in difesa dei diritti umani, della
democrazia e dei beni comuni»
«Al di sopra delle Istituzioni, destinate a tutelare il diritto, le persone, le libertà democratiche, bisogna inventarne altre, destinate a discernere e a eliminare tutto ciò che nella vita contemporanea schiaccia le anime sotto il peso dell’ingiustizia, della menzogna, della bassezza. Bisogna inventarle, perché sono sconosciute, ed è impossibile dubitare che siano indispensabili».
A chiusura della Introduzione del
volume L’Europa delle città vicine, le curatrici dei materiali e dei contributi
presentati al convegno dall’omonimo titolo, organizzato il 21 febbraio del 2016
a Roma, presso la Casa Internazionale delle donne, nel sintetizzare i temi
emersi dal confronto, hanno fatto precedere la citazione di cui sopra, estratta
dalla raccolta di Simone Weil Una costituente per l’Europa (scritta nel ’43 in
quel di Londra dov’era esule), quasi a voler richiamare l’obiettivo politico
dell’assise: il pensiero della filosofa francese attraversa in lungo e in largo
il dibattito che accomuna le Città Vicine; la sua presenza è una costante
dentro la discussione, su cui si sono misurati all’incirca una cinquantina
d’interventi.
Nel sistematizzare i materiali da
pubblicare, le curatrici, al fine di rendere quanto più organica la
lettura, hanno riprodotto la seguente
sintesi, evidenziandone le interconnessioni: la “questione delle migrazioni”,
la “militarizzazione”, lo spazio europeo come luogo dell’abitare e vivere, la
crisi economica e il modello neoliberista e l’estensione del rapporto Nord/Sud
sul vecchio continente (una sorta di riedizione della vexata quaestio
“meridionalista” in dimensione sovranazionale che si fa ora questione
mediterranea).
Ovviamente i temi sono correlati ed
interdipendenti, rientrano nell’ambito delle contraddizioni che originano dal
modello di sviluppo economico dominante e dalla crisi della modernità, la quale
ha visto fallire le aspettative promesse dalla democrazia rappresentativa,
allorquando venivano garantite colla globalizzazione “magnifiche sorti
progressive” che avrebbero spazzato via povertà, guerre, disuguaglianze e
dittature.
Precisiamo, a scanso di equivoci, che
il convegno non era la chiamata a raccolta di una soggettività ideologicamente
schierata, il che emerge chiaramente anche dalla lettura dei materiali
pubblicati. Semmai è stata una occasione politica fuori dai luoghi consunti del
Politico, un prendere voce dal basso da parte di soggetti plurali e singolari
che rivendicano e sperimentano praticamente modalità costituende di quelle
istituzioni comuni, che bisogna inventare all’interno dello spazio europeo e
che Simone Weil, senza ombra di dubbio alcuno, ne ha avvertito
l’indispensabilità.
La costruzione reticolare di
piattaforme civiche, dentro le quali possono prendere forma soggettivante le
moltitudini metropolitane, si rende oggi ancora più pregnante a maggior
ragione, secondo noi, proprio adesso che i populismi-sovranisti di destra e i
populismi-statalisti di sinistra minacciano la prospettiva comune di un’altra
Europa, rimarcando muri e confini identitari, aiutati in questa deriva dalle
ottuse scelte recessive o fallimentari intraprese dall’UE sul piano economico-finanziario,
per esempio: fiscal compact e quantitative easing. Insomma, da un lato,
l’imposizione del pareggio di bilancio per gli stati-membri, con l’effetto
della riduzione progressiva della spesa sociale e conseguente impoverimento di
ampie fasce intermedie della composizione sociale; dall’altro l’iniezione di
liquidità che, però, ha generato effetti speculativi, dati i reinvestimenti
bancari delle provviste monetarie -elargite al tasso dell’1% dalla BCE- in
titoli statali garantiti a saggi d’interesse
ben superiori a quelli d’acquisto.
Quello dello spazio europeo è il
comune sentire che ha unito, pur nelle differenze, questa area di soggetti
chiamati a misurarsi sui processi di un’altra Europa possibile. Peccato che
all’incontro mancavano altre aree che avrebbero potuto portare in dote altre
esperienze concrete ed elaborazioni
teoriche e lessicali sui progetti di neomunicipalismo, di cui comunque
bisognerà in futuro tener conto, non solo per sviluppare un linguaggio
comunicativo senza zone d’ombra, ma per accelerare l’allargamento dei processi
sociali costituendi dentro e fuori l’ordinamento giuridico dato: ci riferiamo a
quelle esperienze di movimento – come ci insegna la vicenda di Barcellona en
Comú con la sindacatura di Ada Colau – che hanno portato fin dentro le
istituzioni i conflitti sociali, provando la torsione sulle leve di governo
piegandole in favore delle politiche autonome e partecipative contro le
politiche istituzionali neoliberiste.
Quello delle piattaforme civiche
delle città iberiche, governate dalle coalizioni di movimento e sostenute anche
da Podemos (le cui radici affondano dentro le manifestazioni del 15-M degli
Indignados), è un punto di riferimento a cui guardare. Questa prospettiva è la cifra politica che,
almeno secondo la nostra lettura, emerge dal dibattito de “le Città Vicine”. In
questo senso ci è parso opportuno prendere a misura di confronto, senza nulla
togliere alla valenza degli altri, gli interventi di Franca Fortunato che
sembrano offrire una linea d’orientamento per definire percorsi autonomi di
pratiche relazionali non omologabili alla razionalità dominante.
La Fortunato ci pare auspicare, sulla
scia del modello Barcelona en comù, l’apertura negoziale diretta dei territori
con le istituzioni europee, attraverso la soggettivazione della Rete delle
“Città Ribelli”. Partendo specificamente dal laboratorio catalano (da dove la
sindaca militante “lavora per allargare sempre più la rete delle città di
autogoverno”) e traendo spunto anche dall’esperienza delle “Città Vicine” (nella quale si afferma un punto di vista
politico al femminile sulle pratiche relazionali “tra donne e tra donne e
uomini”, così come recita il manifesto di chiusura del volume), la Fortunato
registra la possibilità di costruire l’altra Europa, in opposizione a quella in
atto prevalente, cioè alla “Europa dei trattati, degli Stati nazionali” che
affida alla tecnicalità governamentale, ovvero ad una entità gerarchica
sovradeterminata -qual è la Troika (BCE/FMI/CE), che agisce fuori da ogni
rapporto politico democratico, sia pure indiretto ovvero della delega
rappresentativa.
In sostanza, fra le tante ipotesi
emerse da “Le Città vicine”, su una s’è registrata la massima convergenza. Non
un’idea-forza, ma la piena consapevolezza che senza lo spazio europeo non v’è
alternativa costituente di nuove istituzioni comuni nascenti dal basso: questo
è un processo ineludibile anche se ancora privo di un suo Statuto sociale, ed
abbiamo visto pure da vicino le sue potenzialità relazionali, istitutivi di
rapporti sociali ontologicamente fondativi. Le istituzioni del diritto comune
le abbiamo viste materializzarsi e le abbiamo riconosciute nell’attraversamento
delle strade del vecchio continente, in
quelle giornate sotto la calura estiva, quando l’altra Europa ha “accolto,
soccorso, vestito, nutrito –a volte sfidando anche i propri governanti- chi,
dopo aver attraversato il mare, si è messo in cammino verso le città europee,
abbattendo diffidenza e muri di filo spinato”.
In conclusione, ci pare utile
segnalare – dato il filo ideale che lega le Città Vicine alle Città senza paura
-, il Meeting internazionale “Fearless Cities”, tenutosi la scorsa settimana
(dal 9 all’11) nella metropoli catalana e che ha visto la partecipazione di
oltre 600 accreditati, provenienti da 180 città di 40 paesi differenti. Un
evento straordinario che getta lo sguardo della Rete delle Città Ribelli al di
là della edificazione di un superstato sovranista. Così come dichiarato dai
promotori del meeting, che hanno individuato nell’autogoverno locale le forme
della democrazia direttamente partecipata, bisogna partire dal dato che «in
tutto il mondo, un numero crescenti di città grandi e piccole si schiera in
difesa dei diritti umani, della democrazia e dei beni comuni». Pertanto le
finalità da percorrere sono quelle di «consentire ai movimenti comunali di
costruire reti globali di solidarietà e speranza di fronte all’odio, ai confini
e ai vecchi e nuovi muri». Insomma ci pare che i solchi tracciati, pur partendo
da diversi punti dell’urbe globalizzata, tendano sempre più ad intrecciarsi
come Città vicine/Città ribelli/Città senza paura.
AA.VV.,"L'Europa delle città vicine" , Edizioni MAG, Verona, 2017
recensione pubblicata da sudcomune.it il 13/06/2017