-B. CACCIA / S. MEZZADRA-
una
intervista che introduce la campagna politica in vista del suffraggio
elettorale di settembre prossimo/
«è un
buon modo per avere un’introduzione di prima mano ai temi fondamentali della
politica tedesca»/
figura
anomala della SPD, Andrea
Ypsilanti fa
parte dal 2010 dell’Institut Solidarische
Moderne (ISM) del cui comitato direttivo è portavoce «L’ISM lavora a dare sostanza programmatica alla prospettiva di un governo di sinistra “rosso-rosso-verde” in Germania, riunisce al suo interno non solo esponenti dei tre partiti ma anche attivisti dei movimenti ed è diventato con il passare degli anni un interessante laboratorio politico, noto per la sua spregiudicatezza e per la radicalità delle sue posizioni»
Vorremmo
cominciare chiedendoti di presentare brevemente il tuo percorso politico e di
inquadrare in questo percorso il tuo impegno attuale.
Sono deputata al parlamento regionale dell’Assia,
ormai da diciotto anni. Attualmente sono impegnata in modo particolare, quasi a
tempo pieno, sulla questione dell’accoglienza dei profughi. Nel 2007/2008 sono
stata candidata della SPD alla Presidenza del governo dell’Assia, e dopo le
elezioni ho tentato di formare un governo rosso-rosso-verde. Diciamo che non ha
funzionato, senza entrare ora nei dettagli del rapporto con la direzione del
mio partito: sarebbe stato il primo governo di questo tipo in un Land
dell’ovest, e all’epoca era ancora un assoluto tabù. Successivamente, con molti
altri (tra cui Katja Kipping, attuale segretaria della Linke, ma anche con
molti attivisti e intellettuali), ho partecipato alla fondazione dell’ISM. La
convinzione alla base di questa decisione era che ci fossero in Germania molte
persone che non si sentono rappresentate da nessun partito ma vogliono cambiare
qualcosa politicamente. Fin dall’inizio, dunque, l’ISM guarda oltre i partiti,
alla società, alla cultura in senso ampio. Torneremo a parlarne in questa
conversazione, immagino.
Nonostante
l’esperienza di cui ci hai parlato, sei rimasta fino a oggi all’interno
dell’SPD. Che tipo di partito è oggi la socialdemocrazia, dopo gli anni di
Schroeder e dopo le due “grandi coalizioni”?
I sondaggi hanno registrato impietosamente, negli
ultimi anni, il calo di consenso e di attrattività della SPD. Io riconduco
questa crisi all’“Agenda 2010”, la riforma del mercato del lavoro e della
previdenza di Gerhard Schroeder, del 2003: ha provocato ferite troppo profonde,
sul terreno del lavoro e dei diritti sociali, e queste ferite si sono
manifestate non solo nei sondaggi ma anche in tutte le ultime elezioni. Questa
è una prima cosa. Poi siamo entrati nelle grandi coalizioni, e non si tratta di
negare che i socialdemocratici abbiano effettivamente ottenuto qualche
miglioramento, il salario minimo ad esempio. Ma quello che il partito ha
completamente smarrito è un orizzonte strategico oltre la formula della grande
coalizione. Molto semplicemente: quali prospettive esisterebbero per i
socialdemocratici se non fossero all’interno di una grande coalizione? Attorno
a questa domanda è venuto meno il dibattito, non si è più spesa nessuna
immaginazione politica. Non solo: il partito ha cessato di lavorare
programmaticamente come partito. La base stessa del partito si è completamente
adattata alla mentalità tecnocratica della dirigenza, ha fatto propria questa
mentalità: ha perso ogni vitalità, ogni propensione al dibattito, alla
controversia. Il partito negli ultimi anni ha vissuto questa crisi
profondissima.
Questo ha a
che fare con la composizione, sociale e generazionale del partito,
naturalmente…
Certo! Subito dopo il varo dell’“Agenda 2010”
centinaia di migliaia di persone hanno abbandonato il partito. Era naturalmente
la componente critica della militanza, quella che voleva una politica diversa
dalle “riforme” di Schroeder. E hanno spiegato chiaramente perché se ne
andavano. Quelli che sono rimasti hanno tutti in qualche modo un compito, una
carica, una posizione, un mandato. Questa è la base materiale di una lealtà al
partito che ha fatto sì che nel dibattito interno non vi fossero più
resistenze, posizioni in controtendenza. Il partito è cambiato profondamente,
siamo un partito vecchio e dominato da uno spirito da funzionari. Certo, esiste
ancora la storica organizzazione giovanile, gli Jusos, che di tanto in tanto
esprimono posizioni critiche. Ma non è nulla rispetto allo spirito di
ribellione della mia generazione, quando dietro agli Jusos c’era l’esperienza
del ’68. E questo ha anche a che fare con il fatto che questi giovani sono
cresciuti soltanto nel neoliberalismo, non hanno appunto alle spalle
un’esperienza di rivolta, di resistenza. Vengono formati allo spirito da
funzionari, alla lealtà già nella scuola. Anche contro l’“Agenda 2010” sono
stati più i pensionati che i giovani a esprimere opposizione! E per quel che
riguarda i giovani che stanno fuori dal partito, e che magari si impegnano
politicamente nei movimenti, la SPD non esercita più nessuna forza di
attrazione, su temi come quelli ecologici ad esempio non ha nulla da dire, non
ha un’idea alternativa di futuro: alla fine dei conti non può che apparire come
il partito della conservazione dell’esistente, al più con l’obiettivo di
evitare il peggio.
E qual è
oggi il rapporto della SPD con i sindacati, quel rapporto storicamente alla
radice della forza del partito?
Posso solo
dire che il rapporto in questi anni è stato tutt’altro che semplice, ci sono
state molte tensioni anche per quel che riguarda l’“Agenda 2010”. Oggi ci sono
dei nuovi avvicinamenti, ma bisogna sottolineare che anche il sindacato, preso
in se stesso, non ha assolto al suo mandato politico: anch’esso non ha fatto
altro che impegnarsi per evitare il peggio, per fare qualcosa per la “parte che
lavora” della società, ma si è ben guardato dall’intervenire sulle nuove
povertà, sull’estensione dei rapporti di lavoro precari. I sindacati tedeschi
devono essere criticati da questo punto di vista: esattamente come la SPD sono
rimasti totalmente interni allo status quo, al più con un atteggiamento
difensivo. Sia chiaro: ci sono nei sindacati, come in fondo nella SPD, persone
che la pensano diversamente, che resistono e che si ritrovano in coalizioni a
cui io stesso partecipo, come Europa neu begründen (“Rifondare
l’Europa”). Ma le élite dei funzionari hanno questo tipo di posizione: e penso
che anche nel caso della crisi greca, i sindacati tedeschi avrebbero potuto e
dovuto fare molto di più!
Nella SPD,
tuttavia, sembra essere successo qualcosa di nuovo. La candidatura di Martin
Schulz alla guida del governo ha repentinamente cambiato i risultati del
partito nei sondaggi, con un guadagno di oltre il 10 % nel giro di un paio di
settimane, fino al sorpasso di domenica scorsa nei confronti della CDU. Attorno
a Schulz pare essersi determinato un entusiasmo inatteso, e il candidato
proprio in questi giorni ha dichiarato la sua intenzione di mettere in
discussione proprio l’“Agenda 2010”. Come valuti questo fenomeno?
Fermo restando che anch’io sono stata relativamente
sorpresa dalla misura del successo di Schulz, credo che ci siano tre punti che
vanno tenuti in considerazione per comprenderlo. In primo luogo tutti erano
contenti che il candidato non fosse qualcuno dell’establishment berlinese del
partito, non Sigmar Gabriel, non Andrea Nahles, non uno dei nomi dell’apparato
ma qualcuno che viene in qualche modo da fuori, che non può essere appunto
identificato con l’“Agenda 2010”. Martin Schulz non l’ha mai criticata
apertamente, ma non era coinvolto, era in Europa non a Berlino. Il secondo
punto è per me il più importante: sono convinta che oggi in Germania siano
molto diffusi un interesse e una preoccupazione di fondo per l’Europa. Questa
questione non ha mai giocato un ruolo decisivo nella politica interna tedesca,
ma oggi che l’Europa sembra in discussione, con il Brexit, con lo stesso Trump,
con l’ascesa di partiti populisti di destra anti-europei c’è una reazione molto
forte in Germania, in difesa dell’Europa, nonostante gli errori, le vere e
proprie catastrofi degli ultimi anni… E Martin Schulz rappresenta in qualche
modo l’Europa: era in Parlamento, e quindi non viene identificato con i
fallimenti dell’Unione Europea ma piuttosto con una “speranza” per l’Europa.
L’interesse per l’Europa in Germania, in questo momento, è davvero
stupefacente, lo si può notare dalla partecipazione ai dibattiti, alle
manifestazioni che pongono all’ordine del giorno la questione europea. C’è poi
un terzo punto che spiega il successo di Schulz: semplicemente, c’è una parte
crescente della società tedesca che è stanca di Angela Merkel. Sono in qualche
modo stupita, ripeto, per la rapidità del successo di Schulz, mi sono chiesta
se sarebbe durato. Ma per quanto soltanto ora, e molto timidamente, stia
cominciando a fare dichiarazioni sui contenuti della sua politica (la critica
all’“Agenda 2010”, l’assicurazione di un impegno per stabilizzare le pensioni),
sembra essersi affermato come portatore di una nuova speranza. E per quanto nel
partito ci siano naturalmente molti che non vedono di buon occhio le sue
posizioni, lo sosterranno fino alle elezioni, semplicemente perché in questi
anni non sono stati in grado di trovare nessuna soluzione alla crisi del
partito stesso.
È molto
interessante per noi, naturalmente, quel che dici sull’Europa. La Germania
sembra essere da questo punto di vista in controtendenza rispetto al resto del
continente, forse anche per la banale ragione che a dispetto di molte retoriche
la Germania ha guadagnato molto dall’integrazione europea. Pensi che quella che
hai descritto come una profonda preoccupazione per l’Europa possa essere la
base per una politica che punti a rinnovare profondamente l’Unione Europea?
Deve essere così, anche se Martin Schulz finora ha
detto molto poco in merito, e in particolare non si è espresso sulla continuità
delle politiche di austerity, sulla questione greca, sul modo in cui si possono
rafforzare i diritti sociali in tutt’Europa. Ma vi ripeto: sono convinta che ci
sia oggi in Germania una tensione in qualche modo europeista, un desiderio di
una “buona Europa” che non si esprime ancora in rivendicazioni precise, ma è
tangibile nell’opinione pubblica, nei movimenti, nelle manifestazioni, nei
dibattiti, nella partecipazioni dei giovani in particolare. Il timore di
perdere l’Europa, di tornare alla frammentazione politica del continente è
molto grande.
Sulla
questione europea c’è stata la proposta di Merkel, a Malta, di un’Europa a due
velocità. Che tipo di ricezione ha avuto questa proposta nel dibattito pubblico
in Germania?
Sinceramente si tratta di una proposta che non ha
ricevuto particolare attenzione (semmai la questione dell’Europa a due velocità
è un tema che in modo ricorrente viene discusso nella sinistra e nei movimenti,
senza che si sia pervenuti a una posizione univoca). Angela Merkel continua a
essere sotto pressione all’interno del suo schieramento, in particolare da
parte della CSU bavarese, per quel che riguarda la questione dei profughi. E
farà tutto il possibile per “risolvere” questa questione, con proposte che
vanno sempre più nel senso di una “esternalizzazione”, ad esempio con
l’apertura di campi di raccolta in Nord Africa. Voglio sperare che non troverà
nessun tipo di appoggio nella SPD! In ogni caso, Merkel si impegnerà in primo
luogo su questo fronte, mentre non credo che abbia la forza – e forse neppure
l’intenzione – di imporsi su Wolfgang Schäuble per quel che riguarda la
questione dell’austerity. Sono anzi convinta che Merkel sia a favore della
continuità delle politiche di austerity con tutte le conseguenze che questo ha
per il futuro dell’Unione Europea. E se posso dire qualcosa che non ha a che
fare con la Germania, mi stupisce molto il fatto che in Francia questa
questione non sia al centro del dibattito elettorale.
Anche in
Francia, tuttavia, c’è stato qualcosa di inatteso. Benoît Hamon, il candidato
socialista che a sorpresa ha vinto le primarie, propone il reddito di
cittadinanza come base per una complessiva riorganizzazione del Welfare. È una
rottura significativa con la tradizione “lavorista” della socialdemocrazia. Ci
sono segnali in questo senso anche in Germania?
C’è naturalmente una discussione su questi temi, ma
purtroppo non all’interno della SPD. Le dichiarazioni di Martin Schulz si
riferiscono al mondo del lavoro dipendente inteso in senso molto tradizionale.
“Ci occupiamo di quella parte della popolazione che lavora e che si attiene
alle regole”: è una frase tipica della retorica socialdemocratica, orribile! È
una politica che esclude strati sociali e questioni fondamentali: chi non
lavora, chi vive condizioni di precarietà, i grandi temi ecologici, la
questione della redistribuzione della ricchezza, il problema di un nuovo
rapporto tra lavoro e attività di cura. Le posizioni di Schulz, insomma, sono
estremamente tradizionali, questo deve essere chiaro.
Veniamo alle
elezioni di settembre e alle prospettive che si apriranno. Hai parlato
all’inizio del tuo impegno per la formazione di una coalizione di sinistra,
rosso-rosso-verde, in Assia, nel 2008. L’ISM, di cui sei una delle esponenti
più in vista, continua a lavorare per questa prospettiva. Come valuti oggi le
chances per un simile governo?
Be’, intanto diciamo che dal mero punto di vista dei
numeri la crescita della SPD rende un governo rosso-rosso-verde più probabile.
Sinceramente, sei mesi fa non avrei mai pensato che questo potesse accadere.
Naturalmente una variabile importante è da dove vengono questi voti per la SPD:
sono voti di elettori delusi che ritornano al partito, o vengono dai verdi se
non addirittura dalla Linke? Non è una cosa chiara, per ora. Ma io penso che il
campo elettorale dei tre partiti “progressisti” si stabilizzerà, e con la SPD
di Martin Schulz un governo rosso-rosso-verde è possibile: la questione è a
quali condizioni, e gli altri due partiti devono riflettere a fondo su questo.
I verdi, in fondo, sono diventati un classico partito liberal-borghese, ma la
Linke deve aprire una discussione: ci limitiamo a difendere lo status quo, con
un progetto “tattico” volto ad assicurare qualche conquista per i ceti sociali
più deboli? In ogni caso, le cose sono per ora del tutto in movimento. Se dai
risultati elettorali, ad esempio, uscisse la possibilità di una coalizione tra
verdi e democristiani, credo che i verdi non avrebbero esitazioni a percorrere
quella via. Ma se ci fosse la possibilità di una coalizione rosso-rosso-verde,
sono convinta che Martin Schulz non potrebbe accettare una riedizione della
“grande coalizione”, neppure come cancelliere: dovrebbe formare un governo di
sinistra. Ma ripeto: la questione è il programma di un governo di sinistra!
A questo
proposito: quali pensi che possano essere i punti di incontro tra i tre
partiti? E attorno a quali questioni pensi che si possano registrare i problemi
migliori?
Penso che in particolare la questione ecologica possa
essere all’origine di difficoltà e conflitti, per via dei sindacati, che
insistono ossessivamente sulla “crescita” e non hanno al loro interno nessun
tipo di discussione sulla componente ecologica della crescita stessa. Nelle
questioni “culturali”, delle minoranze e dei diritti civili non credo che ci
sarebbero grandi problemi. E in fondo neppure sulla questione dei profughi.
Terreni difficili rimangono la politica estera, il lavoro, le pensioni. Ci sono
comunque sufficienti questioni su cui i tre partiti possono trovare un accordo.
Ma non è questo per me il problema: il punto è capire se è possibile che una
coalizione rosso-rosso-verde non nasca da compromessi al ribasso per la
gestione dell’esistente ma piuttosto come un vero elemento di rottura, di
interruzione della continuità delle politiche degli ultimi anni, di apertura di
un’epoca di trasformazione sociale ed ecologica che un Paese come la Germania è
in grado di produrre.
Questo tema
è al centro di un documento prodotto dall’ISM a dicembre, significativamente
intitolato “Tentare l’impossibile”. Già abbiamo visto che un governo
rosso-rosso-verde appare oggi meno “impossibile”. Ma l’ambizione dell’ISM, come
ci hai appena spiegato, va ben al di là della semplice formazione di un governo
di coalizione di sinistra (o forse sarebbe meglio dire di centro-sinistra). La
prospettiva rosso-rosso-verde, per voi, si pone al di là dei tre partiti e dei
rapporti tra di essi, acquista un’essenziale dimensione sociale e di
“movimento”. Puoi spiegarci meglio questo punto?
Sì, è così. Noi siamo convinti che in Germania esista
quella che chiamiamo una minoranza qualificata che non si sente rappresentata
da nessuno di questi tre partiti progressisti e che è pronta a mobilitarsi per
un vero cambiamento politico. E siamo anche convinti che una vera politica
della trasformazione richieda cambiamenti così profondi che nessun governo può
determinarli dall’alto. È necessaria appunto una mobilitazione che attraversi
la società, che coinvolga la cultura e la stessa accademia per porre le basi
per questi cambiamenti. La funzione di questa mobilitazione deve essere
duplice: da una parte esercitare una funzione di controllo sul governo,
dall’altra spingerlo avanti e incitarlo sulla via di una politica della
trasformazione, impedendogli di deviare da questo percorso. Siamo insomma
convinti che sia necessaria una forza sociale che si riconosca in un governo
rosso-rosso-verde ma al tempo stesso mantenga da esso la distanza necessaria per
criticarlo, se necessario, all’interno di quello che potremmo appunto definire
un rapporto di “lealtà critica”. Ci sono questioni fondamentali di cui già
abbiamo parlato, dal reddito di cittadinanza alla crescita ecologica,
dall’accoglienza dei profughi al rapporto tra lavoro e attività di cura, su cui
il ruolo di una simile forza sociale, della pressione dal basso è assolutamente
fondamentale. In diverse città e regioni stiamo lavorando alla costituzione di
assemblee e “forum” che possano prefigurare una simile forza sociale. È un
tentativo di unire movimenti e iniziative che esistono in abbondanza nella
società tedesca, sui temi più diversi: e il problema principale che incontriamo
è la frammentazione di queste realtà, la convinzione di molte di esse di poter
fare da sole. La sfida è unirle, producendo una visione d’insieme che tenga
conto di quello che è stato fatto in questi anni su molti terreni.
Torniamo
alla questione del programma di un possibile governo rosso-rosso-verde. Ne hai
già parlato, ma vorremmo chiederti quali sarebbero in particolare le misure che
potrebbero qualificare l’azione di un tale governo come un vero cambiamento
politico e non come la semplice prosecuzione dell’amministrazione dello status
quo con qualche miglioria.
In primo luogo la fine dell’austerity in Europa, la
riorganizzazione dei rapporti tra i Paesi membri dell’Unione Europea su una
diversa base. In secondo luogo un piano innovativo di investimenti in
infrastrutture. E poi una diversa soluzione della questione dei profughi nei
confronti di quelle attualmente in discussione, l’apertura di una versa
discussione sulla questione della qualità della “crescita”, i grandi temi
ecologici. E ancora, ripeto: la questione del rapporto tra lavoro e attività di
cura, i rapporti tra i generi, la “buona vita”. Ripeto queste cose perché per
noi definiscono una soglia programmatica minima, al di sotto della quale non si
capisce per quale ragione avremmo bisogno di un governo rosso-rosso-verde.
Torniamo,
per chiudere questa conversazione, alla questione dell’Europa, che abbiamo già
affrontato da diversi punti di vista. Come immagini la politica europea di un
governo rosso-rosso-verde capace di determinare un vero cambiamento in
Germania? Fine dell’austerity, hai detto. E poi?
Be’, c’è
intanto il problema dei partner per una simile politica. Ci sono le elezioni in
Olanda, in Francia, forse in Italia: e dall’esito delle elezioni dipenderà il
quadro complessivo della politica europea dei prossimi anni. La situazione non
è molto incoraggiante, pensando ad esempio alla situazione in Spagna o alle
difficoltà della Grecia. Penso comunque che gli altri Paesi europei dovrebbero
indirizzare in qualche modo le loro aspettative anche alla Germania: è evidente
che la possibilità di fare un’altra politica in Europa dipenderà in buona
misura dal tipo di governo che avremo in Germania dopo le elezioni di
settembre. La Germania è nei fatti oggi il Paese più forte, e se noi ci
mettiamo in movimento, se anche semplicemente ci presentiamo con un altro
ministro delle finanze, non sarà difficile formare dei blocchi di Paesi, delle
nuove alleanze per una diversa politica europea. Certo: la condizione è che
anche altrove si riesca a bloccare l’ascesa della destra, con Le Pen presidente
in Francia temo proprio che diventerebbe difficile parlare di politica europea
in generale.
Andrea Ypsilanti è una figura anomala nel panorama politico tedesco. Militante della SPD in Assia, la regione di Francoforte, ha avuto responsabilità politiche importanti negli anni scorsi, come lei stessa racconta all’inizio della nostra intervista. Dal 2010, tuttavia, il suo nome è legato a doppio filo all’Institut Solidarische Moderne (ISM), del cui comitato direttivo è una delle portavoce. L’ISM lavora a dare sostanza programmatica alla prospettiva di un governo di sinistra (“rosso-rosso-verde”) in Germania, riunisce al suo interno non solo esponenti dei tre partiti ma anche attivisti dei movimenti ed è diventato con il passare degli anni un interessante laboratorio politico, noto per la sua spregiudicatezza e per la radicalità delle sue posizioni. Incontrare Andrea Ypsilanti in questi giorni (20 febbraio 2017) è un buon modo per avere un’introduzione di prima mano ai temi fondamentali della politica tedesca mentre il Paese si avvia alla campagna per le elezioni del prossimo settembre