-Officina 31021-
«Non dobbiamo avere paura perché siamo dalla parte della vita e la paura ci rende asserviti alla logica fascista della guerra»
Vale la pena scoprire il lato vittorioso dell’azione militante di Toni Negri proprio in questi giorni, a 93 anni dalla sua nascita..e proprio qui. Toni ha avuto la fortuna di vedersi incarnare la sua immagine della “moltitudine”: una forza non massificata ma composta di innumerevoli individualità che un giorno convergono in un unico grido, che è di protesta ma anche di programma; convergono in un’unica volontà di vita contro un modo di produzione che ormai è capace solo di morte e distruzione. Toni ha avuto la soddisfazione di vederla passare sotto le sue finestre, la moltitudine, durante le grandi manifestazioni.
C’è una parola del lessico politico che per la figura di Toni Negri non va proprio bene: “resistenza”. Toni era sempre all’attacco. E per questo qualcuno lo ha deriso, gli ha dato del matto. Ma quella non era una postura, era un bisogno. Era la condizione per conoscere.
Stare all’attacco voleva dire privilegiare la soggettivazione. Voleva dire riconfigurare continuamente il perimetro del soggetto collettivo, man mano che la lotta introduceva innovazioni nel modo di produzione e nel processo di valorizzazione.
Non c’è frase nel suo stile di scrittura che non sia pervasa da un fuoco di passione, di rabbia, che va sempre “oltre”.
È stato scritto che Toni Negri era posseduto dal demone della rivoluzione. È vero, per lui era sempre all’ordine del giorno. Ma non era lui il matto, siamo noi semmai a non capire che è la *forma mentis* necessaria, indispensabile, a permetterci un libero pensiero, a permetterci di godere ancora di uno spazio di libertà e di autonomia.
Non era follia la sua, eravamo noi incapaci di scrollarci di dosso quelle che Spinoza chiama le “passioni tristi”. Vogliamo chiamarla utopia, perché è più *politically correct*? Possiamo farlo, purché si riconosca che il demone di Toni gli consentiva un’immagine realistica dell’insaziabile voracità del capitale.
Si mettano il cuore in pace i suoi detrattori: Toni Negri ha potuto dialogare con la generazione di Genova e delle May Day Parade, con i giovani della gig economy e con gli immigrati, con i no global e i no logo, che oggi lo rimpiangono con struggente riconoscenza. Sì, è grazie alla lotta che un movimento diventa potere costituente, nuovo ordine sociale.
Quei passaggi storici e logici di Toni Negri sono diventati anticipazioni profetiche e, come tali, hanno dato coraggio a quella gioventù avvilita, umiliata, isolata nell’individualismo, alla quale lui ha gridato nient’altro che: «Siete una forza, avete una forza, usatela!». Tutto qui il suo essere un “cattivo maestro”. Ma già abbastanza per essere un’alternativa a chi, magari con sforzo, riconosce ai giovani semplicemente il diritto di protestare, salvo poi non aprire bocca se quei giovani vengono manganellati, denunciati, messi ai domiciliari o ficcati in galera.
Attenti a non farne il Maestro con la M maiuscola contrapposto al cattivo maestro. Toni è stato, come tanti, una persona normale di elevata scolarizzazione che si è messa dalla parte degli sfruttati, degli emarginati, dei senza parola, e con loro stava bene, mai cercando di educarli o di guidarli, ma aiutandoli a riconoscere le loro potenzialità, il loro potere contrattuale. Non andava certo a insegnare agli operai del Petrolchimico di Marghera quanto fosse mortale il cloruro di vinile monomero, ma semmai a dire che fermare la morìa era nelle loro mani, e solo in quelle.
Non dobbiamo avere paura, scrive Toni, perché siamo dalla parte della vita e la paura ci rende asserviti alla logica fascista della guerra. In questo momento di smarrimento di fronte alla violenza del mondo, questo rimane per me il lascito più importante di Toni, che per me è tanto politico quanto esistenziale. Ecco, qui, in questo spazio libero che abbiamo creato nella nostra città, vediamo ancora dentro Toni, sorridente.
Ciao Toni, saluta anche Franco, che ci ha insegnato a guardare le stelle. Chissà quante risate vi state facendo a vedere questa mandria di amici che sognano ancora.
