- Nastassja Cipriani e Edwige Pezzulli -
un esperimento di riflessione collettiva
Riprendiamo da MACHINA la «Nota delle autrici» di "Oltre Marie. Prospettive di genere nella scienza" (Le Plurali editrice, 2023) perché si tratta di un libro innovativo sia dal punto di vista scientifico che per il linguaggio e lo stile adottato, scritto da due giovani donne impegnate nell’analisi delle disuguaglianze di genere e nella critica del potere nel lavoro scientifico e universitario. Una matematica e una astrofisica che ci mostrano, in modo chiaro, incalzante ed efficace come un approccio di genere possa ridefinire relazioni e prospettive scientifiche e come la questione della neutralità della scienza e l’immagine del singolo scienziato geniale siano ancora oggi delle mere ideologie
Il
primo grande dilemma che ci poniamo è il linguaggio. Nel libro Insegnare a
trasgredire, la scrittrice afro-americana bell hooks racconta quando da
giovane, durante il primo anno di università, venne folgorata dalla frase di
una poesia di Adrienne Rich: «questa è la lingua dell’oppressore. Ma ne ho
bisogno per parlarti». Commenta bell hooks: «Quando oggi mi ritrovo a pensare
al linguaggio, quelle parole sono lì, costantemente in attesa, per sfidarmi e
aiutarmi. Mi ritrovo a recitarle di continuo in silenzio, con l’intensità di un
canto. Mi spaventano e mi scuotono nella consapevolezza del legame tra lingua e
dominio».
È
con una consapevolezza altrettanto radicata che ci approcciamo al tema del
linguaggio. Come fare ad argomentare, a mettere in dubbio una cultura e visione
del mondo, usando proprio le parole, le espressioni e le forme grammaticali che
quel mondo hanno rappresentato e plasmato? Un mondo impregnato di cultura
patriarcale, classista, abilista (e non solo), che si esprime attraverso una
lingua profondamente escludente. D’altra parte, come affrontare una
sperimentazione linguistica senza rischiare di perdere in chiarezza e
comprensibilità immediata? Dopo lunghe riflessioni, abbiamo scelto di seguire
l’approccio di Adrienne Rich: utilizzare, nonostante i suoi limiti, quella
lingua tanto familiare e fruibile. È per questo che non troverete la schwa in
questo libro, strumento che altre autrici hanno invece cominciato a usare e che
avrebbe reso il lavoro più in linea con le nostre posizioni.
Allo
stesso modo compariranno a volte delle figure retoriche, delle metafore o delle
similitudini che, a guardarle bene, meriterebbero di essere ripulite dagli
spessi stratidi polvere che le ricoprono.
In
secondo luogo, abbiamo ragionato sulle persone per le quali scrivere. Vogliamo
rivolgerci a un pubblico eterogeneo: le persone legate professionalmente alla
scienza e interessate ad approfondire la questione di genere nell’accademia, e
le persone che non hanno nulla a che vedere con la scienza, ma che sono curiose
di sapere come il genere influenzi anche un campo percepito da sempre come
neutrale. Il registro, la struttura e il linguaggio tipici di un saggio saranno
sicuramente familiari a gran parte del pubblico che ci leggerà, ma abbiamo
deciso di tenere a mente tanto le ali quanto le nostre personalissime radici.
«Ho lavorato», scrive sempre bell hooks in Elogio del margine, «per cambiare il
mio modo di parlare e di scrivere, per incorporare nei miei racconti il senso
geografico: non solo dove io sono ora, ma anche da dove vengo, e le molteplici
voci presenti in me». E spiega: «Mi riferisco alla lotta personale che si
conduce per definire la posizione da cui ci si dà voce – lo spazio del
teorizzare». Ci sembra necessario rendere il nostro scritto leggibile non soltanto
per le persone con una preparazione accademica o istruzione universitaria, ma
anche per quelle che appartengono al nostro universo d’origine, che ci hanno
accompagnate nell’infanzia o nell’adolescenza, che ci hanno viste crescere e a
cui desideriamo parlare dell’importanza del genere nella scienza tanto quanto
alle altre. Tentare di conciliare questi due target sarà un’impresa non sempre
facile, ma è per noi molto importante fare questo tentativo.
Il
testo, breve, leggero, costruito con parole semplici e facilmente percorribile,
non avrà le vesti di un saggio classico, ma speriamo rappresenti un abito
comodo pertutte le persone che lo leggeranno.
Per
la stessa ragione non troverete note tra le righe. Anche in questa scelta
(assai complicata per chi, come noi, è abituata a farne largo uso) ci siamo
lasciate guidare dalle riflessioni di bell hooks, che, come avrete capito, è
per noi grande fonte di ispirazione e che in Talking back scrive: «mi sono
confrontata con le comunità nere della classe operaia e con la mia famiglia e i
miei amici per capire chi di loro avesse mai letto libri con note a piè di
pagina. Alcuni non sapevano cosa fossero, ma la maggior parte le vedeva come
l’indicazione che si trattava di un libro destinato a persone con un’istruzione
universitaria. Queste risposte hanno contribuito alla mia decisione di non
usare le note». Ci saranno persone alle quali questa osservazione susciterà
delle perplessità. Per altre, come per noi, ha invece un immediato richiamo e
ci rassicura sul fatto che siamo sulla buona strada. E poiché desideriamo che
questo libro possa essere letto da chiunque lo voglia senza mai sentirsi fuori
luogo, abbiamo scelto strade alternative a quella delle note. Eliminarle al
termine del processo, dopo averle già pensate e inserite, è stata un’operazione
difficile; ci consoliamo sapendo che nella bibliografia si può trovare traccia
completa di tutte le fonti e i riferimenti che abbiamo utilizzato.
L’ultima
riflessione riguarda il metodo. Si suppone, in genere, che più autrici lavorino
insieme alla stesura di un libro in modo collaborativo, ossia occupandosi in
parallelo di parti differenti del testo, ognuna in modo individuale, integrando
poi il tutto assieme. Nel nostro caso, invece, ci lanciamo in un tentativo di
scrittura collettiva: scriveremo il libro a quattro mani, tutto, nel senso più
letterale del termine. Ogni riga del testo sarà frutto di confronto,
discussione e rielaborazione condivisa.
Per
concludere, prendiamo di nuovo in prestito le parole di bell hooks: «scegliere
di usare un linguaggio semplice, o l’assenza di note a piè di pagina, avrebbe
significato mettere a rischio la possibilità di essere presa sul serio negli
ambienti accademici. Ma si trattava di una questione politica, e di una
decisione politica». È proprio qui che abbiamo scelto anche noi di posizionarci
e da qui abbiamo scelto di scrivere. Entrambe veniamo dal mondo della ricerca
scientifica ed è nella pratica del fare scienza che sono nate le riflessioni
alla base di questo libro. Ma le nostre radici affondano altrove, in terreni
differenti, dai quali abbiamo scelto di continuare a farci alimentare.
Buon
attraversamento, per ritrovarci oltre.
*
* *
Nastassja
Cipriani è socia fondatrice di WeSTEAM e
assegnista di ricerca presso l’Università degli Studi di Torino. Matematica e insegnante, si occupa di
uguaglianza di genere nella scienza,
discriminazione delle donne nell’accademia ed epistemologia femminista.
Edwige
Pezzulli socia fondatrice di WeSTEAM, è assegnista di ricerca presso l’Istituto Nazionale di Astrofisica e
comunicatrice scientifica. È autrice di
laboratori, conferenze e workshop su temi scientifici e di intersezione tra scienza e genere. È autrice
e conduttrice RAI di Superquark+ e Scienziate. Ha pubblicato il libro Apri gli
occhi al cielo (Mondadori 2019).
Immagine di Veronica Marchio