- Chiara Giorgia -
Rosa Luxemburg è stata più volte ricordata come una delle più importanti figure del socialismo internazionale, come donna straordinaria assassinata brutalmente, come una Cassandra moderna. Ma al di là di questo atto di memoria, è possibile oggi rileggere con nuovo sguardo la sua figura nell’interezza e complessità che la caratterizzarono? Questo è l’intento del convegno promosso dalla Scuola Normale Superiore e dall’Università di Pisa
Agli inizi degli anni Settanta, a rilanciare l’attualità del pensiero di Luxemburg era stato Lelio Basso – figura eretica del socialismo italiano, antifascista, dirigente del Psiup, interprete raffinato di Marx, ideatore del principio di uguaglianza sostanziale nella Costituzione. Il progetto era quello di affrontare lo studio dell’opera luxemburghiana, la cui importanza, scriveva, non era di certo sfuggita ai suoi contemporanei, ma la cui messa al bando nel corso del Novecento ne rendeva necessario un approfondimento teorico. L’intento era quello di riportare alla luce gli elementi più vitali del «marxismo rivoluzionario» di Luxemburg. Basso fu nel panorama della sinistra italiana del secondo dopoguerra uno dei primi e pochi intellettuali ispirati da Luxemburg, la cui figura riemerse rapidamente nella nuova stagione dei conflitti del Sessantotto.
A CAMPEGGIARE nella biografia di entrambi furono i processi di costituzione del soggetto di classe, l’acquisizione di consapevolezza del ruolo storico della classe operaia, in conflitto con quella dominante, capace di agire sui processi materiali ai fini di una radicale trasformazione. La loro interpretazione dialettica e materialistica del processo storico nella sua totalità fondava una pratica politica in grado di individuare le forze in movimento, le tendenze a venire, la stessa «necessità storica obiettiva del socialismo». Nella lettura di Basso, quello di Luxemburg era il punto di vista della totalità concreta, ovvero dell’insieme dei rapporti che costituiscono la società capitalistica, il quale le aveva consentito di contrastare le posizioni moderate della socialdemocrazia tedesca, di confutare le illusioni di Eduard Bernstein – conservare i «lati buoni» del capitalismo, correggendone quelli cattivi –, di recuperare la rivoluzione come fine del socialismo. Contro ogni riformismo e revisionismo, Luxemburg aveva inteso quest’ultima come un fatto che si collocava all’interno dello sviluppo capitalistico stesso, nelle tensioni da esso generate. Si trattava del crescente conflitto fra la logica socializzante dello sviluppo delle forze produttive e la logica del profitto, lo sfruttamento della classe operaia, il carattere privatistico dei rapporti di produzione; dell’antagonismo tra tendenze e controtendenze di socializzazione.
L’accento batteva allora sulla necessità di tenere insieme le condizioni obiettive della rivoluzione, lo sviluppo delle contraddizioni in seno al modo di produzione capitalistico e l’organizzazione del movimento operaio. La lotta di classe e la politica organizzata svolgevano qui una funzione decisiva, compreso il ruolo da lei assegnato ai consigli, istituzioni unitarie di autogoverno della classe, forme di democrazia permanente, aspetto essenziale del rapporto tra il partito e l’esperienza delle lotte.
Non si trattava di determinismo, né di spontaneismo, ma di rintracciare il nesso tra il momento oggettivo e quello soggettivo, nesso che conteneva, scriveva Luxemburg, due elementi essenziali: quello «dell’analisi e della critica» e quello «della volontà attiva della classe operaia come fattore rivoluzionario». In principio era l’azione amava ripetere Luxemburg, contro tutti i fatalismi di una vittoria sicura del socialismo. Ma al contempo, era l’analisi del capitalismo, delle sue antinomie, a fondare il presupposto di un suo rovesciamento, possibile soltanto tramite le battaglie del proletariato internazionale, cosciente dei propri scopi.
LA SUA CONDANNA contro la svolta prima revisionista e poi nazionalista della Spd di fronte alla prima guerra mondiale fu nettissima. Mentre il capitalismo si avviava infatti alla guerra imperialista, la socialdemocrazia perdeva la visione complessiva dei rapporti sociali, diventando subalterna al capitalismo. Come scrisse in La crisi della socialdemocrazia (1915): la nostra necessità del socialismo «entra in gioco con pieno diritto nel momento in cui il predominio borghese di classe cessa di essere portatore del progresso storico per divenire un pericolo per lo sviluppo ulteriore della società. Questo ha rivelato l’odierna guerra mondiale».
Fondamentali le sue analisi sull’imperialismo e, con esso, sull’avvento della guerra. L’accumulazione del capitale – aveva scritto nella sua opera più importante apparsa nel 1913 – presa nel suo insieme come processo storico ha due lati diversi. Il primo si compie nei luoghi di produzione del plusvalore e sul mercato, l’altro ha per arena la scena mondiale. Dominano qui come metodi la politica coloniale, il sistema dei prestiti internazionali, la politica delle sfere di interesse, le guerre. Luxemburg era così giunta ad afferrare il legame tra le due dinamiche dell’accumulazione, tra il processo di sviluppo capitalistico nei paesi industrializzati e l’aggressione ad «ambienti» non capitalistici, il mondo coloniale e l’economia contadina, cogliendo sia il dinamismo del capitalismo, sia le cause dell’immane tragedia della Grande guerra.
Ci furono errori di interpretazione sul crollo del capitalismo (e su alcuni passaggi del Capitale), ma gli studi di Rosa Luxemburg sull’imperialismo rappresentarono uno spartiacque per comprendere la fisionomia di un capitalismo in espansione, che allargava i propri confini fino a comprendere il militarismo come «campo di accumulazione». Centrale, nel riferimento al concetto di totalità, il nesso che doveva unire la lotta quotidiana allo scopo finale. Le singole azioni, gli obiettivi parziali, le riforme sociali avevano senso solo se non erano disgiunti dalla visione più generale della lotta medesima, dalla prospettiva rivoluzionaria. Luxemburg aveva riformulato questo rapporto in polemica con le proposte di integrazione del movimento operaio nella società borghese, con la strategia riformista che aveva abbandonato l’obiettivo dell’«abolizione del sistema salariale».
LA DIMENSIONE dell’umano, del libero sviluppo delle potenzialità umane fu un tratto saliente di Rosa Luxemburg. La sua esperienza è quella di una militanza profondamente «umana», di una donna che non smise mai di essere in sintonia con l’universo, in tutte le sue manifestazioni vitali, di una donna in cui si diedero dolore e speranza, intelligenza e sentimenti, io e mondo ricomposti, come ha osservato Rossana Rossanda nella prefazione alla biografia di Paul Frölich e a proposito del celebre film del 1986 di Margarethe von Trotta (riproiettato all’apertura del convegno).
Il suo fu un afflato per la vita dai tratti speciali di una rivoluzionaria assai lontana dal modello del militante tradizionale, mossa da un sentimento di reciprocità, relazione e condivisione accompagnato da passione e ragione trasformatrici. È in questa direzione che il pensiero e l’attività di Luxemburg possono continuare a parlarci, se restiamo capaci di cogliere le possibilità alternative nel divenire della storia, di puntare a quell’obiettivo che per lei, come per Basso, ebbe un significato concreto: la liberazione, la realizzazione delle istanze di uguaglianza e libertà.
SCHEDA. IL PROGRAMMA DELLE GIORNATE DI STUDIO
Si intitola «Freedom, conflicts, change. Legacies of Rosa Luxemburg» il convegno promosso dal Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere e dalla Scuola Normale Superiore dal 24 al 26 di gennaio a Pisa. Dopo la proiezione di martedì del film «Rosa Luxemburg» di Margarethe von Trotta (1986) con l’introduzione di Alessandra Fussi, mercoledì e giovedì gli interventi si terranno al Palazzo della Sapienza e al Palazzo della Carovana. Tra i contributi: Vinzia Fiorino, Donatella Della Porta, Federica Giardini, Roberta Ferrari, Giulia Longoni, Rita Fulco, Carlotta Cossutta, Riccardo Bellofiore, Maria Turchetto, Peter Hudis, Federico Oliveri, Ingrid Sharp, Brecht De Smet, María Cecilia Espasandín Cárdenas, María Del Carmen Echeverriborda San Martín, Gianni Del Panta, Chiara Giorgi, Sevgi Dogan, Iacopo Chiaravalli, Sergio Nacinovich, Simona Forti, Hjalmar Jorge Joffre-Eichhorn, Natascia Mattucci, Antonio Mota Filho, Kate Evans, Laura Cremonesi, Sandra Rein.
Questo articolo è stato pubblicato su il manifesto il 21 gennaio 2023.