oltre la retorica del “mondo libero” -Antonio Minaldi-
Ormai le notizie che giungono dalla guerra in Ucraina sono in minima parte descrizione di fatti, ed invece soprattutto chiari strumenti di propaganda totale e apocalittica, la cui logica è: “Se vinciamo noi l’umanità è salva, se vincono loro il mondo è finito!”. Naturalmente questo vale per entrambi i contendenti, per quel poco che riesce a filtrare da noi della propaganda russa.
Mentre la narrazione occidentale non si distacca dalla sperimentata retorica della difesa armata del “mondo libero”, con relativa esportazione della democrazia, da parte russa il messaggio che viene inviato all’occidente appare più complesso e merita una più attenta riflessione.
Dal Patriarca di Mosca agli alti dirigenti dello Stato, vi è un costante richiamo ai presunti valori tradizionali dell’Europa che dovrebbero unirci. Spesso si parte dal riconoscimento dell’alto valore di civilizzazione della cultura mediterranea, greca e latina, per soffermarsi poi sui valori cristiani che hanno dato la loro impronta alla comune storia medievale del nostro continente. In qualche caso ci si lascia anche sfuggire, in modo più o meno esplicito, come quei valori siano in contrapposizione con la deriva, considerata finto libertaria, di movimenti come quello gay, o quello LGBT. (La qual cosa corrisponde perfettamente al clima politico che si respira in Russia). Una visione fortemente tradizionalista, identitaria ed escludente , col mondo fermo ad un lontano passato. Da questo punto di vista pare che il mondo di Putin sia molto vicino a quello che a casa nostra è rappresentato dal senatore Pillon.
Il richiamo alla “Unità di destino che è l’Europa” (per dirla con Ortega y Gasset), che poi in chiave etnocentrica diventa l’unità di destino dell’intera umanità, è un topos, a quanto pare sempre alla moda, in tutte le situazioni in cui le acque della storia vengono mosse, in primis dalla guerra. (Lo stesso “Manifesto di Ventotene”, punto di partenza, seppur in parte tradito, della moderna Europa, in fondo è figlio del secondo conflitto mondiale).
Destini d’Europa e destino dell’umanità che si giocano con la forza distruttiva delle armi, è una tipica caratteristica del “secolo breve”, che oggi pare tornare per stendere i suoi tentacoli sopra i nostri giorni. Fu durante la prima guerra mondiale, la madre di tutte le guerre della contemporaneità, che i governi, spiazzati da un conflitto che doveva essere “lampo” e che invece diveniva interminabile, e costretti a giustificarsi di fronte alle crescenti sofferenze dei popoli, dovettero inventarsi una motivazione (pseudo)etica e di “principio” che rendesse accettabile (si fa per dire) ogni possibile disastro. Le potenze dell’intesa, Francia e Regno Unito prima, e poi anche gli USA, ponendo così le basi di quello che sarebbe diventato l’atlantismo, si inventarono la lotta (armata) dei paesi liberi e democratici contro gli imperi centrali illiberali e totalitari. Naturalmente fingendo di dimenticare che tra le loro fila c’era la Russia zarista e che in Germania il suffragio universale maschile era stato introdotto da Bismarck sin dal 1871.
La Germania invece, già sul finire della guerra, e poi in modo crescente negli anni a venire, interpretò la propria sconfitta come “Il tramonto dell’occidente” , per dirla col titolo del famoso saggio di Spengler, di cui le sfrenate libertà e le illusioni democraticistiche della modernità erano i sintomi più evidenti. Infine la ricerca dello slancio vitale di una ritrovata kultur originaria, da opporre alla zivilisation decadente dei vincitori, fu trovata nell’irrazionalismo, tradizionalista e identitario fino al peggiore razzismo omicida, dell’uomo ariano della follia nazista, grazie anche ad clima culturale in cui, per esempio, un grande pensatore come Heidegger riteneva che il popolo tedesco, mettendosi per primo “in ascolto dell’essere”, avrebbe scosso l’occidente dal suo torpore. La seconda guerra mondiale, come naturale continuazione della prima, fu il logico e tragico punto d’arrivo.
Il modello occidentale di stampo liberal-democratico ha vinto due guerre mondiali, ed anzi con la caduta del muro di Berlino ha vinto, con la guerra fredda e la fine del modello sovietico, il suo terzo conflitto globale. Oggi il tentativo della moderna Russia di allargare i propri confini verso occidente (o di converso, e forse più propriamente, di fermare l’avanzamento dell’occidente verso i suoi confini) è destinato ad una sconfitta che è innanzitutto culturale, prima che politica o militare. Il segno più evidente sta nel fatto che, più o meno ai suoi confini, Ucraina, Georgia, Svezia e Finlandia sono pronte ad aderire alla NATO, e non solo per volontà dei governanti, ma a quanto pare anche per convinzione popolare.
Ancora un trionfo dell’occidente? Assolutamente no! Anzi, paradossalmente, la guerra in Ucraina, a prescindere da come si concluderanno le operazioni militari, rappresenta la fine di una grande illusione, legata all’idea che dopo la caduta del muro e la conclusione (vittoriosa) del secolo breve, il modello sociale e culturale di stampo occidentale si potesse imporre nel mondo, anche a prescindere dal dominio globale e militare della superpotenza americana. Tutti i tentativi di esportare la democrazia e le “sue libertà”, con le armi o senza le armi, sono infine miseramente falliti. Il mondo che ci aspetta vedrà la fine della globalizzazione a dominanza USA. All’inizio potrà apparire come multipolare, ma poi con ogni probabilità finirà col radicalizzarsi in una dimensione bipolare, con la Russia che giocoforza sarà sempre più sospinta tra le braccia del colosso cinese, in una sorta di ritorno dell’Eurasia sugli scenari della storia, a fare da contraltare alla presenza dell’Occidente.
I possibili sviluppi geopolitici del mondo che verrà sono complessi e in gran parte imprevedibili, e meriterebbero un attento approfondimento. Ma ciò che ora ci interessa preliminarmente è capire come mai il modello occidentale, a fronte di una (almeno apparente) buona tenuta entro le mura di casa, appare sempre meno appetibile per il resto del pianeta.
La risposta più semplice, e oseremmo dire più banale, è che quel modello, almeno in formato esportazione, non ha nulla di democratico e non è foriero di alcuna libertà. Parallelamente allo sviluppo del capitale e del suo modo di produzione, l’occidente si è presentato al mondo attraverso la rapina e la guerra di conquista; Dalla conquista delle Americhe, allo schiavismo, dal colonialismo ottocentesco alle moderne guerre per l’egemonia, inutile tornare su vicende arcinote. Quello che sorprende tuttavia è che, parallelamente a questa propensione al dominio, la storia dell’occidente si è caratterizzata dalla fine del medioevo, in maniera assolutamente contraddittoria, come continuo processo rivoluzionario sostenuto dai ceti popolari e dalle classi subalterne, che hanno infine portato all’affermazione (in modo molto parziale nella fattualità storica, ma in modo chiaro a livello teorico e di principio) di quei valori, che amiamo considerare universali, e che sono legati ai concetti di “democrazia”, “libertà personali” e “diritti umani”. Come esemplificativo di questo “ossimoro valoriale” che caratterizza la nostra storia, potremmo citare la Dichiarazione d’Indipendenza Americana, nella quale viene considerata come “evidente verità” il fatto “che tutti gli uomini sono creati eguali” e dotati di “inalienabili diritti”, tra i quali “la vita, la libertà e il perseguimento della felicità”. Tutto questo mentre, come sappiamo, venivano sterminati gli amerindi e tutta la società coloniale basava la sua esistenza sullo schiavismo e la tratta dei neri africani.
La storia dell’occidente è una storia complessa e contraddittoria in cui l’ascesa del capitalismo è sempre stata caratterizzata da una costante dinamica conflittuale, dentro la quale si sono anche sviluppate forti rotture rivoluzionarie, portatrici di valori, idee e progetti caratterizzati da forte carica progressiva, libertaria e liberatoria, che tuttavia non sono mai riusciti a concretizzarsi nel progetto vincente di una nuova formazione sociale. I contenuti del cambiamento non sono stati semplicemente cancellati, ma il più delle volte depotenziati e snaturati, rimanendo come imprigionati dentro l’esistente di un dominio capitalista che è stato capace di metabolizzare i prodotti dell’antagonismo sociale nutrendosene come carburante della sua sempre più pervasiva affermazione.
Avviene in questo modo che il principio democratico finisce per annacquarsi in semplici e riduttive procedure elettoralistiche e che la libertà assume un valore puramente formale. Di più: con l’affermazione del neoliberismo, la libertà da esercizio di un diritto diviene un dovere per Homo oeconomicus, che da imprenditore di se stesso deve battersi per la propria affermazione competitiva ed egoistica a scapito degli altri, nell’illusione che “la mano invisibile” metterà a posto le cose massimizzando i risultati per l’intera società, (al netto della conta di caduti e dispersi). Tutta la società è così concepita come mercato, al punto che lo Homo oeconomicus diviene piuttosto Homo occidentalis, caratterizzato da uno sfrenato egoismo in tutti i campi delle vita, più sul modello dell’individualismo calcolatore di Hobbes che sul quello puramente mercantile dello stesso Smith.
Va riconosciuto che questo modello sociale è in occidente, al momento, abbastanza saldo, malgrado siano sempre forti le ragioni di opposizione, e vitali le lotte e le resistenze dei movimenti popolari, che tuttavia devono scontare, ad oggi, la mancanza di una vera ed unitaria prospettiva di trasformazione strategica dell’esistente capitalista. Va detto inoltre che l’opinione diffusa tra i cittadini dell’occidente è che dalle nostre parti ci sia un livello di libertà comunque superiore alla media del resto del mondo. Questo malgrado gli spazi di manovra per la mediazione sociale da parte dei governi siano sempre più ristretti, con inevitabile crescita del ruolo repressivo di polizia e magistratura. E malgrado si tratti, in larga misura, di una “libertà impotente”, accomunata spesso a povertà e disagio sociale e finalizzata alla semplice lotta per la sopravvivenza, oppure di una libertà intesa come espressione di un libero pensiero, comunque destinato ad annegare nel mare magnum della parola inflazionata dei social, mentre magari, come sta avvenendo con questa guerra, l’informazione mainstream si compatta, divenendo un vero e proprio pensiero unico. Comunque sia, questa “libertà minima” non è frutto di concessioni dall’alto ma di conquiste del passato, che vanno in ogni caso preservate e difese. Questa apparente saldezza del modello occidente ha tuttavia un limite che appare insuperabile: Non è esportabile!
Il capitalismo, per sua natura e per la sua stessa sopravvivenza, è portato alla costante ed abnorme crescita di se stesso, che spinge inevitabilmente al dominio finalizzato all’appropriazione e alla rapina. Quei livelli di “libertà minima”, che in occidente sono il frutto di mediazioni e compromessi di classe che hanno caratterizzato il passato, e che oggi vengono rifunzionalizzati in un’ottica egoistica di mercato, non sono riproponibili in scenari globali, dove, oltre a dovere fare i conti con storie e culture diverse (aspetto comunque fondamentale e da non sottovalutare), si scontrano con l’esigenza di una immediata brutalità predatoria, in concorrenza col capitalismo rivale, oggi rappresentato dalla Cina, o forse nell’immediato futuro, come abbiamo accennato, da una rinata Eurasia.
Il modello occidentale, che pretende di fondarsi su valori di libertà e democrazia, quando gioca fuori casa, da sempre affida le sue mire espansionistiche all’uso delle armi e alla guerra (Iraq, Libia, Afghanistan, Siria, ex Jugoslavia ecc.). Non è un caso che americani e NATO, si sono trovati perfettamente a loro agio nel momento in cui Putin ha osato sfidarli sul loro terreno. La Cina al contrario parrebbe agire in maniera più subdola, affidandosi ad accordi commerciali e piani di sviluppo comuni per camuffare i propri interessi egemonici. Una tattica che sembra darle ragione vista la costante crescita della sua influenza in Asia ed in Africa. In ogni caso i giochi della nuova guerra fredda globale sono appena aperti e gli esiti sono ovviamente incerti.
Quello che è certo è che il volto guerrafondaio, ma mistificato con grandi discorsi su democrazia e libertà, con il quale l’occidente si presenta al mondo, oltre che un pericolo per l’umanità, è un tradimento della stessa storia dell’occidente e dei suoi più profondi valori. La Democrazia, se correttamente intesa come decisione collettiva dal basso; La Libertà, se emendata dall’individualismo borghese, e posta al servizio del bene comune; I Diritti Umani se intesi, oltre ogni formalismo, nella loro integrità e nella loro universalità. Sono questi i valori più veri e profondi della storia dell’Occidente. Quelli che orgogliosamente dovremmo proporre al mondo intero, senza pretese egemoniche, ma anzi sapendoli mettere umilmente in dialettica con quelli altrettanto universali di altre culture, e che magari appaiano meno pregnanti e significativi nel farsi della nostra storia. Mi riferisco, per esempio, al rispetto per il pianeta in un equilibrato rapporto tra uomo e natura; oppure alla tradizione pacifista e non violenta di altre culture; o ancora al senso di responsabilità dei singoli verso le esigenze della comunità.
Il cammino è certo lungo e difficile e la vittoria per nulla certa. Il mondo sembra avviarsi oggi verso un nuovo scontro tra opposti imperialismi, che potrebbe non darci scampo, con la guerra, “calda” o “fredda” che sia, che con i suoi venti di morte azzera tutti i valori e tutte le culture. Ma lo stesso, e anzi con più forza nella consapevolezza delle difficoltà, dobbiamo riannodare i fili e riprendere l’iniziativa, innanzitutto per affermare il diritto alla pace e alla convivenza. Poi si vedrà!