-Chiara Giorgi- Welfare sanitario a scala planetaria
una nuova strada fondata sulla dimensione cooperativa ed internazionalista, sul diritto alla salute nel suo carattere indivisibile, sulla responsabilità pubblica della gestione della sanità, sulla salvaguardia dell’«unica istituzione sanitaria democratica e globale del pianeta»
La pandemia ha riportato al centro delle nostre vite il
diritto alla salute, fisica e psichica, individuale e collettiva. Su questo
stanno ripartendo mobilitazioni di grande importanza, alla ricerca di un
complessivo rinnovamento del welfare socio-sanitario. Un rinnovamento fondato
sulla prevenzione nei luoghi di vita e di lavoro, sul potenziamento della rete
dei servizi di base e dell’assistenza territoriale. Un ripensamento capace di
contrastare il progressivo rafforzamento della sanità privata attuatosi negli
ultimi anni e il crescente peso assunto dal welfare aziendale. Ma la salute non
è una questione circoscritta al solo ambito nazionale; come ha mostrato la
pandemia, essa va affrontata a scala mondiale e un ruolo chiave è qui svolto
dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).
PROPRIO L’OMS aveva fornito
al momento della sua nascita (1946) una fondamentale definizione di salute
intesa non come mera assenza di malattia e infermità, bensì come «stato di
completo benessere fisico, psichico e sociale». Una prospettiva questa che ha
guidato la redazione dell’articolo 32 della Costituzione italiana,
l’istituzione del Servizio sanitario nazionale del 1978 e che torna a imporsi
nella consapevolezza presente nelle attuali mobilitazioni.
Tuttavia, ancora poco «battuto» è il tema relativo al ruolo, al funzionamento,
allo statuto e ai meccanismi di finanziamento dell’Oms, la sola organizzazione
pubblica esistente in materia di salute internazionale. È il volume di
Nicoletta Dentico ed Eduardo Missoni, Geopolitica
della salute. Covid-19, Oms e la sfida pandemica (Rubbettino,
pp. 258, euro 19), a fornirci una bussola preziosa e critica per orientarci
nelle vicende dell’Oms, dalla sua creazione sino alla pandemia di Covid-19. Si
tratta di un contributo essenziale che offre risposte ai problemi oggi più
rilevanti: il tema dei brevetti e dei vaccini, la sudditanza delle istituzioni
europee e degli Stati alle grandi imprese di «Big Pharma», i processi di
appropriazione esclusiva della conoscenza, i regimi di monopolio applicati
anche in ambito farmaceutico e, soprattutto, le dinamiche geopolitiche che
governano la salute.
Il racconto dei due autori si apre con l’ennesimo episodio di scontro tra le
due principali potenze mondiali, Stati Uniti e Cina, del settembre scorso,
giocatosi ancora una volta sul terreno di delegittimazione dell’Oms da parte
dell’ex presidente Donald Trump. È un esempio delle consolidate dinamiche che
hanno sottoposto l’Oms, nella sua storia, a ripetuti condizionamenti imposti
dai suoi Stati membri, a cominciare dal suo maggiore contribuente, gli Usa.
La crisi di credibilità attraversata da
tempo dall’Organizzazione mondiale della sanità è sotto gli occhi di tutti,
sintomo ne è la stessa scarsa conoscenza del suo ruolo, dei suoi meccanismi di
funzionamento e soprattutto del suo mandato originario: condurre – ci ricordano
Dentico e Missoni che da vent’anni seguono i lavori dell’Oms tutti i popoli a
un livello di salute il più elevato possibile. Ciò a partire dal diritto
fondamentale alla salute «di ogni persona sul pianeta» e dalla necessità di un
approccio globale nella sua promozione, che trascenda i limiti delle relazioni
tra gli Stati.
NEGLI ULTIMI DECENNI, l’Oms ha subito
numerosi contraccolpi dovuti alle pressioni dei poteri economici che ne hanno
compromesso indirizzo e autonomia. Il suo depotenziamento, in termini di uso
degli strumenti normativi e regolatori di cui dispone, è inquadrabile nei più
ampi processi di privatizzazione, di de-finanziamento della sanità pubblica, di
riduzione dei servizi di welfare, di mercificazione della salute.
Per comprendere le ragioni di fondo delle difficoltà dell’Oms, dei suoi
allineamenti alle logiche di profitto, del suo soggiogamento a «partite
geopolitiche» è necessario prendere in esame le modalità che regolano il suo
finanziamento, oltre alle finalità dei suoi più recenti investimenti e alle
linee tecnocratiche e manageriali di riforma avviatesi al suo interno
nell’ultimo decennio. Come ben documenta il volume, di grande rilievo è stata
la progressiva crescita dei fondi extra bilancio provenienti dai contributi
volontari di alcuni Stati e soprattutto dai finanziamenti di organizzazioni del
settore privato, tra cui prima fra tutte la Fondazione Bill & Melinda
Gates, fondi che non possono essere usati dall’Oms secondo le proprie priorità
(il soddisfacimento di bisogni sanitari presenti a livello mondiale, la
promozione della salute globalmente intesa), ma che dipendono invece dalle
scelte indicate da questi «donatori».
DA QUI INIZIA l’ascesa della
«medicina di Bill Gates», della sua leadership nella geopolitica della salute,
del suo impero filantropico e la graduale marginalizzazione, ma anche
l’adattamento dell’Oms alla sua agenda, che si avvale del sostegno di
fondazioni private, di altre realtà filantropiche, di multinazionali di
consulenza, così come di nuove alleanze pubblico-private, disegnando «soluzioni
di mercato a problemi che hanno una forte valenza politica». Una storia questa
raccontata nel precedente volume di Dentico, Ricchi
e buoni? Le trame oscure del filantrocapitalismo (2020).
Anche le relazioni tra Oms e società civile, spiegano gli autori, sono andate
via via complicandosi, prendendo una direzione contraria alle componenti più
indipendenti di quest’ultima, allontanandosi da una visione della salute come
questione di giustizia sociale, nel segno di un rafforzamento delle iniziative
e del ruolo della Banca mondiale e dell’Organizzazione mondiale del commercio.
La progressiva mancanza di trasparenza che ha connotato la direzione dell’Oms e
«la tendenza a cercare alleanze con il settore privato piuttosto che rispondere
all’esclusivo interesse pubblico» hanno condotto alla attuale crisi di
credibilità, la quale richiede, come esortano i due autori, «una coraggiosa
ricollocazione strategica» e un aggiornamento dei principi che ne sono stati all’origine.
Tra
le numerose pagine illuminanti del volume vi sono quelle dedicate
all’impostazione affermatasi negli anni Settanta, quando l’obiettivo era il
raggiungimento della «salute per tutti», da realizzarsi entro il 2000 tramite
la diffusione dell’assistenza sanitaria di base e secondo le priorità
dell’universalismo, dell’equità, della partecipazione comunitaria e della
prevenzione (Dichiarazioni di Alma Ata,
1978). Già a partire dagli anni Ottanta, si impone però un cambio di paradigma,
con una concezione biomedica e ospedaliera della salute, interventi selettivi e
mirati a singole malattie, un generale approccio riduttivo.
A FRONTE di questa
situazione, tanto difficile quanto tragica nei suoi effetti, il varco per
uscirne dipenderà dall’aprirsi di una nuova stagione di conflitti intorno alla
salute, sostenuta da una mobilitazione internazionale sui vaccini, contro
criteri nazionalistici, contro le strategie delle grandi imprese farmaceutiche
che definiscono in modo unilaterale ricerca, produzione e priorità di
assegnazione, sulla base di logiche di profitto e di potere. Si tratta di una
strada che dovrà puntare a un nuovo welfare sanitario a scala del pianeta,
fondato sulla dimensione cooperativa ed internazionalista, sul diritto alla
salute nel suo carattere indivisibile, sulla responsabilità pubblica della
gestione della sanità, sulla salvaguardia dell’«unica istituzione sanitaria
democratica e globale del pianeta», su un processo di cambiamento capace di
investire la vita quotidiana di tutti e di tutte, e i rapporti sociali di
produzione e riproduzione.
articolo pubblicato su il manifesto il 7 aprile 2021