martedì 17 novembre 2020

CAPITALISMO MACCHINICO E PLUSVALORE DI RETE

 -Matteo Pasquinelli-

       Note sull’economia politica della macchina di Turing

 Abstract Ad ogni tipo di società, evidentemente, si può far corrispondere un tipo di macchina: le macchine semplici o dinamiche per le società di sovranità, le macchine energetiche per quelle disciplinari, le cibernetiche e i computer per le società di controllo. Ma le macchine non spiegano nulla, si devono in-vece analizzare i concatenamenti collettivi di cui le macchine non sono che un aspetto   (Gilles Deleuze) 

Negli anni sessanta Gilbert Simondon notò  come le macchine industriali fossero già relais informazionali, in quanto introducevano per la prima volta una biforcazione tra la sorgente di lavoro meccanico (l’energia naturale) e la sorgente di informazione (il lavoratore). Nel 1963, descrivendo le nuove condizioni di lavoro alla fabbrica Olivetti di Ivrea, Romano Alquati coniò la nozione di informazione valorizzante come ponte concettuale tra il valore marxiano e la definizione cibernetica di informazione. Nel 1972, Gilles Deleuze e Felix Guattari inaugurarono la loro ontologia macchinica, cogliendo il momento in cui la cibernetica abbandonava la fabbrica per innervare l’intera società. Attraverso questi attrezzi concettuali (sviluppati quasi mezzo secolo fa) si introduce la macchina di Turing come il modello più empirico tra quelli disponibili per studiare gli intestini del capitalismo cognitivo contemporaneo. In accordo con la definizione marxiana di macchina come mezzo per l’amplificazione di plusvalore, l’algoritmo della macchina di Turing è proposto come motore delle nuove forme di valorizzazione, misura del plusvalore di rete e ‘cristallo’ del conflitto sociale. La macchina informatica non è semplicemente una ‘macchina linguistica’ ma invero un nuovo relais tra informazione e metadati. Questa ulteriore biforcazione tecnologica apre in particolare a nuove forme di controllo biopolitico: una società dei metadati viene delineata come evoluzione di quella ‘società del controllo’ già descritta da Deleuze nel 1990 in relazione al ‘potere’ esercitato attraverso le banche dati.

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