-Toni Casano-
AMNISTIA SOCIALE E ABOLIZIONE DELLA NORMATIVA SECURITARIA
La necessità di una amnistia sociale ribadita da Nicoletta Dosio fa il paio con l’abolizione dei "decreti sicurezza", per impedire la propagazione dello stato carcerario come “mediatore” dei conflitti sociali
Ecco perché la mobilitazione per l’abrogazione della normativa repressiva salvimminitiana tutta – prima e dopo i decreti di marca gialloverde – “deve andare di pari passo con la richiesta della cosiddetta «amnistia sociale»: senza l’abolizione degli uni, l’altra non sarebbe che un palliativo temporaneo”
Nel
corso del convegno su «Valsusa: laboratorio di nuove politiche repressive Luca,
Nicoletta e gli altri. Che fare?»,
organizzato a Bussoleno dal Controsservatorio valsusino, l’interrogativo
leniniano veniva raggiunto da una risposta proveniente da quel non-luogo che si
chiama carcere, nel quale si possono coercitivamente detenere i corpi, ma dove
non si può ingabbiare il pensiero. Una potente volontà libertaria, quella di Nicoletta
Dosio - “ospite” suo malgrado nelle patrie sbarre de Le Vallette –, la quale
nella sua lettera scritta appositamente per il Convegno, indica qual è il
percorso da cui partire per smontare la macchina repressiva, ordita dalla Volontà di Potenza declinata dal dominio
capitalistico su scala globale. La Dosio pone sul tappeto la questione
dell’amnistia sociale “come riconoscimento delle resistenze collettive contro
le «grandi male opere», le guerre e gli armamenti, lo sfruttamento dei
lavoratori e le «fabbriche della morte», per il diritto alla casa, alla salute,
ad un lavoro dignitoso, contro fascismi e schiavismi, per una cultura di pace e
di liberazione”. Non è la solita invocazione di clemenza verso dei condannati,
sembra piuttosto un programma politico per iniziare a portare un minimo di
giustizia nel tempo presente. La necessità di una amnistia sociale ribadita da
Nicoletta fa il paio, però, con l’abolizione dei decreti sicurezza, per
impedire la propagazione dello stato carcerario come “mediatore” dei conflitti
sociali. Ecco perché la mobilitazione per l’abrogazione della normativa
repressiva salvimminitiana tutta –
prima e dopo i decreti di marca gialloverde – “deve andare di pari passo con la richiesta
della cosiddetta «amnistia sociale»: senza l’abolizione degli uni, l’altra non
sarebbe che un palliativo temporaneo”.
Facendo
tesoro dell’«esperienza» e della
«generosità» del movimento NoTAV, la
Dosio fa appello a tutti coloro che hanno sostenuto le lotte condotte in tutti
questi anni e solidarizzato con le comunità resistenziali valsusine. Pertanto, la
Nostra, invita ad un impegno “in prima persona a favore di tale
improcrastinabile battaglia di libertà e di giustizia e per coinvolgere su
questo fronte le persone e le realtà sorelle, in ogni parte del Paese”.
L’amnistia sociale, così come viene giustamente proposta, non è semplicemente
una misura premiale per chi ha commesso una colpa di cui si riconosce il danno
causato alla società, essa è innanzitutto un atto politico di riscatto per le
condizioni sociali patite dentro e fuori i non-luoghi di pena detentiva, una
sorta di «estinzione anche dei “reati di povertà”. Infatti, ci dice ancora la Dosio: “Tra le mura
delle carceri sono questi i reati più
rappresentati, connessi all’indigenza, alle tossicodipendenze, alla
prostituzione, alla clandestinità». In sostanza, abbiamo a che fare con un
sistema ingiusto, fondamentalmente «da abbattere per costruire un mondo più
giusto e vivibile per tutti». Certo, come non dare ragione a Nicoletta Dosio,
quando si sentono voci dal di dentro del governo in carica che preannunciano
inasprimenti delle misure detentive, come nel caso del c.d. “piccolo spaccio”.
Ipotesi queste dalla memoria corta che dimentica la dichiarazione di
illegittima costituzionale della legge Fini-Giovanardi sugli stupefacenti, già
pronunciata dalla Consulta nel febbraio 2014, in virtù della quale sono state
ripristinate le norme previgenti in materia.
Ma
nonostante questo, nel solco della normazione
di guerra, la ministra dell’interno, di concerto col ministro della
giustizia, ha annunciato di aver trovato «una soluzione», ossia «la possibilità
di arrestare immediatamente con la custodia in carcere coloro che si macchiano
di questo reato [“lo spaccio di «lieve entità»” di prima]». Così come riportato
da alcuni commentatori, ma anche da Radio Radicale: “I due ministri starebbero
studiando l’ipotesi di innalzare la pena minima per i recidivi, anche se in
caso di piccolo spaccio, in modo da evitare che «il giorno dopo nello stesso
angolo di strada» si veda «lo spacciatore preso il giorno prima»". La vera ratio di siffatto provvedimento
repressivo sarebbe, dunque, quello di incidere, così come sembra aver
puntualizzato la ministra Lamorgese, «anche sulla demotivazione del personale
di polizia». Un fatto veramente inquietante questo della “demotivazione”, tanto
da fare insorgere giustamente il radicale Benedetto Della Vedova: «Manco
Salvini e il governo Conte 1 erano arrivati a proporre una cosa così». Il
segretario di +Europa, a ragione
allarmato, ha messo in evidenza una prospettiva davvero drammatica se dovesse
realizzarsi il proposito ventilato dalla compagine giallorossa, cioè l’innalzamento
della pena minima per lo spaccio di «lieve entità». Dice Della Vedova: «La
grande idea dell’esecutivo rischierà di mandare in galera decine di migliaia di
giovani e meno giovani anche solo per qualche canna in tasca».
Sostanzialmente
questa è la cornice politica su cui si
muoverà la giornata nazionale di solidarietà di domenica prossima 1 marzo, a
sostegno di Nicoletta Dosio e tutti coloro in atto colpiti dalla repressione. Una
giornata di iniziative e manifestazioni che
coinvolgerà i movimenti dal basso delle
principali città italiane.
Anche
a Palermo il movimento s’è dato appuntamento a Piazza Massimo per un presidio
unitario alle 18,30, avendo come elemento unificante l'hastag #PalermoAbolisceIDecretiSicurezza. Si
tratta di un vasto fronte sociale (costituito da molteplici singolarità sia individuali che
collettive) che intende impegnarsi con spirito unitario nell’organizzazione
delle lotte, utilizzando linguaggi condivisi di comunicazione, senza nulla
togliere alla piena autonomia narrativa, mediante l’uso degli strumenti
comunicativi più congeniali alla propria singolarità. Ciò che tutti comunque si
augurano è quello di ricostruire un
discorso pubblico comune, cercando di ricucire i processi tematici dentro una
narrazione unificante, senza la pretesa di reductio
ad unum.
Il
dato positivo del movimento palermitano, su cui da tempo – pur con alti e bassi
– si sta confrontando, è quello di
volere mantenere una pratica espansiva comunitaria, costituente uno spazio sociale di riferimento cittadino,
in cui le differenze possano esaltarsi in antitesi del pensiero unico
omologante. Non è un caso che nel documento unitario di indizione del presidio
di domenica, diramato in questi giorni dalle singolarità organizzatrici, si
invitano a partecipare “le organizzazioni dei migranti, i comitati per
il diritto alla casa, le assemblee delle donne i movimenti contro la guerra, i
collettivi, i partiti, i sindacati, le associazioni, le persone comuni, le
cittadine e i cittadini di Palermo ad aderire e a sostenere questa
mobilitazione che avrà tante tappe e parlerà tanti linguaggi”. In questo senso la giornata del 1
marzo è stata considerata l’inaugurazione di una campagna politica unitaria, le
cui azioni saranno via via definite nella massima condivisione: “Il primo marzo segna la prima tappa di
una campagna che dobbiamo costruire insieme e continuare finché i decreti non
verranno aboliti!” Inoltre
nell’immediato sono state programmate per il 14 marzo un seminario sulla Libia
e la manifestazione per la liberazione di Turi Vaccaro. Segnaliamo che proprio
in questi giorni, la Camera Penale panormita ha chiesto alla Direzione della
Casa Circondariale di Palermo informazioni “sulle condizioni di salute del
detenuto Turi Vaccaro, noto per le sue posizioni pacifiste, per essere egli da
diversi giorni in sciopero della fame”.
Insomma, nel
condividere la campagna nazionale contro la repressione, per l’abrogazione
della normativa securitaria e la per la liberazione di Nicoletta Dosio, Turi
Vaccaro e degli altri militanti, il movimento
dal basso palermitano vuole nello specifico territoriale esprimere solidarietà
a tutti i lavoratori che subiscono azioni repressive (come nel caso della
condanna penale dei 15 operai della Gesip) per aver difeso i loro diritti contro
lo sfruttamento, e agli attivisti colpiti da denunce e processi a loro carico
per il loro impegno a favore degli ultimi, con il rischio di subire la
restrizione della propria libertà.
pubblicato da Pressenza.com/ il 26\02\2020