-serena fredda-
\Contro il ddl Pillon si
stanno già organizzando petizioni e mobilitazioni. L’assemblea nazionale di Non Una Di Meno
(Bologna 6-7 ottobre) sarà occasione centrale per rimettere in marcia il movimento femminista intersezionale dentro il quadro mutato di una vera e propria aggressione reazionaria in atto
\Altrettanto fondamentale sarà aprire lo scontro sul terreno più ampio della rimessa in discussione dei ruoli imposti, per ripensare la genitorialità, le relazioni e la cura fuori dal campo semantico proprietario e riaprire con forza la lotta per un welfare non familistico e un reddito di autodeterminazione
(Bologna 6-7 ottobre) sarà occasione centrale per rimettere in marcia il movimento femminista intersezionale dentro il quadro mutato di una vera e propria aggressione reazionaria in atto
\Altrettanto fondamentale sarà aprire lo scontro sul terreno più ampio della rimessa in discussione dei ruoli imposti, per ripensare la genitorialità, le relazioni e la cura fuori dal campo semantico proprietario e riaprire con forza la lotta per un welfare non familistico e un reddito di autodeterminazione
Con il
Ddl Pillon usciamo dalla polemica politica, dalle provocazioni, dalle
intenzioni dichiarate, a cui il ministro Fontana e il senatore Pillon ci hanno
abituati fin dagli albori del nuovo governo Lega-M5S. Il Ddl
Pillon entra infatti nel merito di 3 questioni chiave – l’affido, il
mantenimento e la genitorialità – e lo fa da un punto di vista unilaterale e
discriminatorio.
L’affido condiviso viene introdotto in Italia dalla legge
54/2006 che riconosce uguale responsabilità a entrambi gli ex coniugi nella
cura dei figli.
La maggior parte degli affidi infatti oggi sono in regime
di condivisione. Nei fatti è comunque uno il genitore (nella grande maggioranza
dei casi è la madre) che convive con i figli e che ne è il riferimento nella
quotidianità. Ciò si è definito sulla base di una esigenza prioritaria:
tutelare la stabilità psichica, economica e ambientale dei minori coinvolti,
anche dopo la separazione dei genitori. In base a questo principio la casa è
normalmente assegnata al genitore di riferimento, che conduce in accordo con
l’ex coniuge la ricostituzione del nuovo equilibrio familiare e a cui va anche
l’assegno di mantenimento dei figli.
Del resto, è un presupposto “potere delle madri” ciò che le
associazioni dei padri separati attaccano e che Pillon assume come obiettivo.
Più che di “genitorialità condivisa” si parla infatti di “bigenitorialità”,
cioè di doppia o parallela genitorialità che rischia di proiettare sui figli la
rottura – e la conflittualità – del rapporto tra ex-coniugi.
Materialmente, ciò si traduce nell’eliminazione
dell’assegno di mantenimento nella direzione di un
mantenimento diretto dei figli che non passi più per l’altro genitore. Questa
doppia genitorialità infatti ha ben poco di condiviso, se si ipotizza
addirittura la corresponsione di un’indennità da parte dell’ex coniuge a cui
rimarrà la casa di famiglia.
Dall’introduzione del divorzio a oggi, sicuramente, si è fatto
pochissimo per adeguare welfare e sistema fiscale all’inesorabile
trasformazione della famiglia tradizionale, quella fondata sull’indissolubilità
del matrimonio.
Il divorzio non è una scelta sempre sostenibile per le famiglie
di fasce di reddito più basse, scelta che si paga a prezzo di pesante
impoverimento e abbassamento radicale del tenore di vita. Così come sono nulle
le iniziative mirate all’eliminazione della disparità salariale, della
strutturale disoccupazione femminile e quindi della dipendenza economica che
ancora oggi rendono più vulnerabili le donne.
E a arbitrare questo conflitto viene forzatamente
introdotta la figura del mediatore familiare a cui i due
coniugi devono necessariamente ricorrere – a pagamento –
per stilare un accordo detto “piano genitoriale”, pena la non procedibilità
della causa di separazione.
Insomma, il disegno Pillon introduce l’obbligo di conciliazione
attraverso la figura terza del mediatore anche là dove non è desiderato né
richiesto, anche nei casi in cui c’è una separazione consensuale e la
possibilità che in sede di tribunale (come già accade ora) si definiscano tempi
e modi che, tutelando i minori, garantiscano il rapporto di entrambi i genitori
con i figli. Per inciso, il senatore
Pillon ha come professione principale (vedi scheda anagrafica del Senato)
quella di mediatore familiare.
È senz’altro vero che il mantenimento di un rapporto stabile e
continuativo con i figli è un problema concreto e non sempre facile da
risolvere e garantire. Così come è senz’altro vero che anche il modo di vivere
la paternità si è trasformato qualitativamente, va poi sempre considerato che
nel ciclo di crescita di un bambino e di una bambina sono differenti le
esigenze rispetto a ognuno dei genitori. A questo il disegno di legge risponde
introducendo una sorta di standardizzazione fissata su criteri quantitativi che
tratta la prole alla stregua di un qualsiasi bene, parte del patrimonio che va
equamente diviso tra ex coniugi.
Questo approccio raggiunge i suoi effetti più nefasti proprio
nelle situazioni in cui la separazione nasce come esigenza di fuoriuscire da
violenza domestica e abusi. È qui infatti che l’obbligo di mediazione familiare
impone un accordo là dove non può e non deve darsi, rischiando di esporre a ulteriore
violenza sia la donna che i figli. Non a caso nella convenzione di Istanbul si
vieta l’obbligatorietà della mediazione familiare.
[DA “IL CONTRATTACCO ANTI-FEMMINISTA PARTE DAL DDL PILLON - Dinamopress]