lunedì 25 giugno 2018

scie \ANTROPOCENE O, MEGLIO, CAPITALOCENE

-salvatore palidda-


POTERE ASIMMETRICO E L’AGIRE RESISTENTE

\La collaborazione efficace e capillare è imprescindibile per trovare risposte adeguate sia per la sopravvivenza nelle situazioni catastrofiche e prive di tutele, sia per elaborare e costruire le alternative. Questo è oggi l’obiettivo più difficile: come riuscire a eliminare o riconvertire l’industria militare, nucleare, petrolchimica e tutte le attività che producono malattie, morte e devastazione della Terra?
\Evitiamo querelle ideologiche o astratte che non si confrontano con le condizioni drammatiche delle popolazioni colpite da disastri spesso permanenti e guerre o costrette a scegliere tra il diritto alla vita e il diritto al lavoro (si muore sul lavoro e fuori dal lavoro)
\L’asimmetria di potere è oggi schiacciante, ma le resistenze si rinnovano e si diffondono. L’1% della popolazione mondiale domina sino a quando buona parte del restante 99% non sarà in grado di accumulare conoscenze e capacità di agire collettivo

Reso celebre dal Nobel per la chimica Paul Crutzen nel 2000, il termine è ormai noto
anche al grande pubblico di tutto il mondo insieme all’informazione sul cosiddetto
cambiamento climatico, soprattutto a seguito del summit COP21 del 2015. Secondo alcuni
si tratta innanzitutto di un sintomo dei mali del mondo contemporaneo (Leonardi, Barbero,
2016) che quindi necessita di una nuova capacità critica radicale e generalizzata nonché di
una pratica di cura collettiva e consapevole per la salvezza dell’umanità e del pianeta
(Latour, 2015 e 2017). I dominanti in quanto “signori e possessori della natura”, e non certo
l’umanità nel suo insieme, con l’Antropocene celebrano la loro più schiacciante vittoria
sulla natura, che si rivela essere un futuro -minaccia e non più futuro- promessa (formula
adottata anche da autori di diversi campi). Secondo l’approccio geologico la conseguenza
dell’antropocene è innanzitutto la progressiva scomparsa di minerali, vegetali e specie
animali per effetto dell’inquinamento da sostanze tossiche derivanti da attività che le
generano: uso carbone, petrolio, chimica in genere, nucleare, ecc. Al di là delle diverse tesi
sul periodo storico nel quale si situerebbe l’inizio dell’antropocene, appare comunque
evidente che prima dello sviluppo dell’estrattivismo, della grande industria, degli armi da
genocidio, del consumo di energia da fonti dannose e della diffusione planetaria dell’uso dei
prodotti chimici, l’impatto di contaminanti nocivi sul pianeta Terra e sull’umanità era
certamente assai limitato. Si può quindi pensare che l’antropocene sia cominciato a partire
dal XIX secolo e che il processo abbia avuto una forte accelerazione dopo la seconda guerra
mondiale. Emerge allora l’urgenza di una governance di tutte le attività produttive e non che
dovrebbe essere mondiale. Le lobby finanziarie e tecnologiche propongono “soluzioni” (carbon
trading, green economy, energia verde, ecc.) che vengono sbandierate come panacee
ecologiche, ma che mirano innanzitutto all’aumento una volta ancora dei loro profitti. Per
questo scopo, i grandi gruppi si appropriano anche del cosiddetto general intellect
(Fumagalli; Vercellone; effimera.org) che applicano ai diversi dispositivi della presunta
prevenzione dei disastri.
Ciò non deve sorprendere, visto il processo di finanziarizzazione in atto ormai da
decenni. Non si tratta di un fatto tecnico, bensì di una componente decisiva del fatto politico
totale che comprende tutte le conseguenze del neoliberismo. Fatto politico totale proprio
perché non si configura solo un cambiamento di era geologica o una catastrofe
dell’ecosistema, bensì un rischio per tutta l’umanità e per l’intero pianeta. Il pericolo è che
si approdi (o si atterri, come dice Latour) a un universo umano e terrestre oggi difficilmente
immaginabile, così come non era possibile ipotizzare la situazione attuale all’inizio
dell’olocene o del “recente” medioevo (forse ci riusciva Leonardo con le sue scoperte e
invenzioni avveniristiche perché attingeva a ogni sapere e conoscenza e non con lo scopo di accumulare ricchezza e potere).
La riflessione sul processo di sviluppo del capitalismo mostra bene la storia del
dominio sull’ambiente sfruttato come risorsa infinita e gratuita (Avallone, 2015); ciò fa parte
della produzione capitalista della natura che saccheggia, manipola, devasta fino a
trasformare la Terra in una discarica di rifiuti anche a causa dell’intreccio fra legale e
criminale accentuato dal neoliberismo (lo smaltimento e il traffico di rifiuti tossici o meno
sono tra i business più redditizi del XXI secolo). Il dominio capitalista, quindi, si nutre sia
dello sfruttamento dei lavoratori, sia di quello della natura: si tratta di uno sfruttamento che
trae profitto dalla schiacciante asimmetria di potere che sottrae ogni tutela e diventa neoschiavitù
e rapina. In questa produzione della natura è insito l’abuso di ciò che è gratuito (o
era solo valore d’uso come l’acqua e altre componenti del mondo minerale, vegetale e
animale) o che è trattato o imposto come gratuito a beneficio esclusivo del dominio
capitalista: è lo sfruttamento della stessa riproduzione e della sopravvivenza della specie
umana e quindi della forza lavoro (cfr. effimera.org). L’inferiorizzazione della donna è da
sempre alla base della gerarchizzazione sociale indispensabile alla produzione di profitto.
Numerosi dati mostrano che la parità dei diritti resta un miraggio persino nelle società
considerate democratiche e la guerra all’uguaglianza e all’emancipazione guidata dai Trump
di turno rilancia questo paradigma perché è essenziale al trionfo del neoliberismo. La
riduzione, la privatizzazione e/o la soppressione del welfare a danno delle donne
dell’universo dei dominati nonché la generalizzazione dell’inferiorizzazione e le neoschiavitù
sono dirette conseguenze di questo capitalismo di rapina (si vedano il manifesto di
effimera.org e i testi di Fumagalli, Vercellone e altri).
Il neoliberismo non fa che aggravare tutti gli aspetti nefasti già emersi nel processo
di affermazione e sviluppo del capitalismo e produce ciò che Mbembe (2016) definisce
necropolitica, ossia la facoltà di eliminare o lasciar morire, un potere che i dominanti hanno
esercitato da sempre, ma che oggi si esprime attraverso i meccanismi di “darwinismo
economico-sociale” o di “darwinismo poliziesco”: si muore di lavoro (incidenti, ritmi
insostenibili, assenza di protezioni, di malattie professionali, per mano del caporale), si
muore perché si vive in ambienti inquinati da contaminanti tossici, si muore perché il
sicuritarismo neoliberista uccide (si pensi, per esempio, ai neri negli Stati uniti). Si muore a
causa delle guerre permanenti che i dominanti alimentano continuamente, si muore a causa
del proibizionismo delle migrazioni. Ma i dominanti non muoiono di queste cause.

Estratto da QUALI INSEGNAMENTI TRARRE DAGLI STUDI SU ANTROPOCENE, CAPITALOCENE, NECROPOLITICA, PER LA RESISTENZA AI DISASTRI ED ELABORARE ALTERNATIVE? (Capitolo 17, pp. 260-269), in Salvatore Palidda (a cura di), RESISTENZE AI DISASTRI SANITARI, AMBIENTALI ED ECONOMICI NEL MEDITERRANEO, DeriveApprodi, Roma 2018