POTERE
ASIMMETRICO E L’AGIRE RESISTENTE
\La collaborazione
efficace e capillare è imprescindibile per trovare risposte adeguate sia per la
sopravvivenza nelle situazioni catastrofiche e prive di tutele, sia per elaborare
e costruire le alternative. Questo è oggi l’obiettivo più difficile: come
riuscire a eliminare o riconvertire l’industria militare, nucleare,
petrolchimica e tutte le attività che producono malattie, morte e devastazione
della Terra?
\Evitiamo querelle
ideologiche o astratte che non si confrontano con le condizioni drammatiche
delle popolazioni colpite da disastri spesso permanenti e guerre o costrette a
scegliere tra il diritto alla vita e il diritto al lavoro (si muore sul lavoro
e fuori dal lavoro)
\L’asimmetria di potere
è oggi schiacciante, ma le resistenze si rinnovano e si diffondono. L’1% della
popolazione mondiale domina sino a quando buona parte del restante 99% non sarà
in grado di accumulare conoscenze e capacità di agire collettivo
Reso
celebre dal Nobel per la chimica Paul Crutzen nel 2000, il termine è ormai noto
anche
al grande pubblico di tutto il mondo insieme all’informazione sul cosiddetto
cambiamento
climatico, soprattutto a seguito del summit COP21 del 2015. Secondo alcuni
si
tratta innanzitutto di un sintomo dei mali del mondo contemporaneo (Leonardi,
Barbero,
2016)
che quindi necessita di una nuova capacità critica radicale e generalizzata
nonché di
una
pratica di cura collettiva e consapevole per la salvezza dell’umanità e del
pianeta
(Latour,
2015 e 2017). I dominanti in quanto “signori e possessori della natura”, e non
certo
l’umanità
nel suo insieme, con l’Antropocene celebrano la loro più schiacciante vittoria
sulla
natura, che si rivela essere un futuro -minaccia e non più futuro- promessa
(formula
adottata
anche da autori di diversi campi). Secondo l’approccio geologico la conseguenza
dell’antropocene
è innanzitutto la progressiva scomparsa di minerali, vegetali e specie
animali
per effetto dell’inquinamento da sostanze tossiche derivanti da attività che le
generano:
uso carbone, petrolio, chimica in genere, nucleare, ecc. Al di là delle diverse
tesi
sul
periodo storico nel quale si situerebbe l’inizio dell’antropocene, appare
comunque
evidente
che prima dello sviluppo dell’estrattivismo, della grande industria, degli armi
da
genocidio,
del consumo di energia da fonti dannose e della diffusione planetaria dell’uso
dei
prodotti
chimici, l’impatto di contaminanti nocivi sul pianeta Terra e sull’umanità era
certamente
assai limitato. Si può quindi pensare che l’antropocene sia cominciato a
partire
dal
XIX secolo e che il processo abbia avuto una forte accelerazione dopo la
seconda guerra
mondiale.
Emerge allora l’urgenza di una governance di tutte le attività produttive e non
che
dovrebbe
essere mondiale. Le lobby finanziarie e tecnologiche propongono “soluzioni”
(carbon
trading,
green economy, energia verde, ecc.) che vengono sbandierate come panacee
ecologiche,
ma che mirano innanzitutto all’aumento una volta ancora dei loro profitti. Per
questo
scopo, i grandi gruppi si appropriano anche del cosiddetto general intellect
(Fumagalli;
Vercellone; effimera.org) che applicano ai diversi dispositivi della presunta
prevenzione
dei disastri.
Ciò
non deve sorprendere, visto il processo di finanziarizzazione in atto ormai da
decenni.
Non si tratta di un fatto tecnico, bensì di una componente decisiva del fatto
politico
totale
che comprende tutte le conseguenze del neoliberismo. Fatto politico totale
proprio
perché
non si configura solo un cambiamento di era geologica o una catastrofe
dell’ecosistema,
bensì un rischio per tutta l’umanità e per l’intero pianeta. Il pericolo è che
si
approdi (o si atterri, come dice Latour) a un universo umano e terrestre oggi
difficilmente
immaginabile,
così come non era possibile ipotizzare la situazione attuale all’inizio
dell’olocene
o del “recente” medioevo (forse ci riusciva Leonardo con le sue scoperte e
invenzioni
avveniristiche perché attingeva a ogni sapere e conoscenza e non con lo scopo
di accumulare ricchezza e potere).
La
riflessione sul processo di sviluppo del capitalismo mostra bene la storia del
dominio
sull’ambiente sfruttato come risorsa infinita e gratuita (Avallone, 2015); ciò
fa parte
della
produzione capitalista della natura che saccheggia, manipola, devasta fino a
trasformare
la Terra in una discarica di rifiuti anche a causa dell’intreccio fra legale e
criminale
accentuato dal neoliberismo (lo smaltimento e il traffico di rifiuti tossici o
meno
sono
tra i business più redditizi del XXI secolo). Il dominio capitalista, quindi,
si nutre sia
dello
sfruttamento dei lavoratori, sia di quello della natura: si tratta di uno
sfruttamento che
trae
profitto dalla schiacciante asimmetria di potere che sottrae ogni tutela e
diventa neoschiavitù
e
rapina. In questa produzione della natura è insito l’abuso di ciò che è
gratuito (o
era
solo valore d’uso come l’acqua e altre componenti del mondo minerale, vegetale
e
animale)
o che è trattato o imposto come gratuito a beneficio esclusivo del dominio
capitalista:
è lo sfruttamento della stessa riproduzione e della sopravvivenza della specie
umana
e quindi della forza lavoro (cfr. effimera.org). L’inferiorizzazione della
donna è da
sempre
alla base della gerarchizzazione sociale indispensabile alla produzione di
profitto.
Numerosi
dati mostrano che la parità dei diritti resta un miraggio persino nelle società
considerate
democratiche e la guerra all’uguaglianza e all’emancipazione guidata dai Trump
di
turno rilancia questo paradigma perché è essenziale al trionfo del
neoliberismo. La
riduzione,
la privatizzazione e/o la soppressione del welfare a danno delle donne
dell’universo
dei dominati nonché la generalizzazione dell’inferiorizzazione e le
neoschiavitù
sono
dirette conseguenze di questo capitalismo di rapina (si vedano il manifesto di
effimera.org
e i testi di Fumagalli, Vercellone e altri).
Il
neoliberismo non fa che aggravare tutti gli aspetti nefasti già emersi nel
processo
di
affermazione e sviluppo del capitalismo e produce ciò che Mbembe (2016)
definisce
necropolitica,
ossia la facoltà di eliminare o lasciar morire, un potere che i dominanti hanno
esercitato
da sempre, ma che oggi si esprime attraverso i meccanismi di “darwinismo
economico-sociale”
o di “darwinismo poliziesco”: si muore di lavoro (incidenti, ritmi
insostenibili,
assenza di protezioni, di malattie professionali, per mano del caporale), si
muore
perché si vive in ambienti inquinati da contaminanti tossici, si muore perché
il
sicuritarismo
neoliberista uccide (si pensi, per esempio, ai neri negli Stati uniti). Si
muore a
causa
delle guerre permanenti che i dominanti alimentano continuamente, si muore a
causa
del
proibizionismo delle migrazioni. Ma i dominanti non muoiono di queste cause.
Estratto
da QUALI INSEGNAMENTI TRARRE DAGLI STUDI SU ANTROPOCENE, CAPITALOCENE, NECROPOLITICA,
PER LA RESISTENZA AI DISASTRI ED ELABORARE ALTERNATIVE? (Capitolo 17, pp.
260-269), in Salvatore Palidda (a
cura di), RESISTENZE AI DISASTRI SANITARI, AMBIENTALI ED ECONOMICI NEL
MEDITERRANEO, DeriveApprodi, Roma 2018