comunicato congiunto
Per una nuova mappa dei beni comuni in autogoverno. Uno, sette, otto, centomila!
Villa Medusa e l’ex Lido
Pola a Bagnoli, l’ex Opg (ex Monastero S. Eframo nuovo) e
ilGiardino Liberato (ex Convento delle Teresiane) a Materdei, l’ex
Conservatorio di Santa Fede (Liberata) e lo Scugnizzo
Liberato (excarcere Filangieri ex Convento delle Cappuccinelle) al
centro storico insieme alla ex Schipa a via Salvator Rosa non
sono assegnati
con la delibera n. 446/2016, ma riconosciuti come «spazi che per loro stessa vocazione (collocazione territoriale, storia, caratteristiche fisiche) sono divenuti di uso civico e collettivo, per il loro valore di beni comuni».
con la delibera n. 446/2016, ma riconosciuti come «spazi che per loro stessa vocazione (collocazione territoriale, storia, caratteristiche fisiche) sono divenuti di uso civico e collettivo, per il loro valore di beni comuni».
A partire dalla
storica e diffusa mancanza di spazi disponibili alla socialità e di luoghi
politici collettivi ed a fronte dei numerosissimi beni disponibili giacenti in
stato di abbandono, degrado e sottoutilizzazione, si è riconosciuto nella
nostra città che le pratiche di conflitto sociale volte alla
riappropriazione diretta e pubblica di questi spazi che oggi chiamiamo
“liberati”, stanno sperimentando modelli che sono il contrario
dell’appropriazione individuale, privatistica e predatoria.
Questa delibera
riconosce che la necessità di beni comuni è già praticata dalle comunità di
abitanti che hanno generato esperienze di socialità nuova e di autorecupero
negli spazi altrimenti abbandonati all’incuria ultradecennale e privi di
progettualità aperte ai bisogni degli abitanti.
Pertanto il momento genetico della loro occupazione/liberazione non rappresenta il tentativo di singoli collettivi di trovare la sede per la propria, in altri contesti legittima, socialità o identità politica.
Pertanto il momento genetico della loro occupazione/liberazione non rappresenta il tentativo di singoli collettivi di trovare la sede per la propria, in altri contesti legittima, socialità o identità politica.
Questi spazi sono
stati riaperti alla vita quotidiana per restituirli alla città e per
proteggerli dal pericolo della svendita. È d’altronde tale la nostra idea di
beni comuni, che questa e altre delibere precedenti riconoscono “in senso
eventuale”, in quanto beni che non solo esprimono utilità funzionali
all’esercizio dei diritti fondamentali, ma sono comuni in quanto amministrati
in forma diretta da collettività/comunità di riferimento emergenti, in assenza
di lucro privatistico ed al fine esclusivo di indirizzarli al soddisfacimento
di tali diritti. L’uso civico e collettivo urbano, originato con la
sperimentazione dell’Asilo Filangieri, non è uso esclusivo, è altro dalla
proprietà e dagli affidamenti a soggetti. Non si nutre una contrarietà
ideologica al sistema delle concessioni, ma per definire un bene comune c’è bisogno
di una gestione partecipata, originale e collettiva, in relazione con le realtà
degli specifici luoghi, poiché pensiamo che dietro il sistema degli
affidamenti, si può nascondere uno strumento clientelare per gestire
privatisticamente i beni della collettività.
Ma la nostra critica a
questo modello va oltre la sua degenerazione patologica. C’è il rischio, per
noi oggettivo, che dietro il fiorire di “patti di collaborazione tra cittadini
e istituzioni” si nasconda un’idea della partecipazione bonificata dal
conflitto, in cui i cittadini sono presi in considerazione come partner solo in
quanto ordinati “carpentieri” e “giardinieri”. Non siamo sussidiari alle
défaillance del sistema, in una città come Napoli, con beni monumentali che
hanno bisogno di impegni economici ingenti per una seria cura e restauro, non
vogliamo che beni monumentali diventino vetrine di sponsorizzazioni a fini
commerciali o abbiano costi di manutenzione talmente alti da poter essere
assunti solo da parte del privato sociale più ricco, quello che spesso, come ci
insegna il triste caso di Mafia capitale, non vuole far altro che lucrare sui
bisogni dei disperati. Un discorso che in un comune, come Napoli in pre
dissesto ha già cominciato a seminare danni. Dietro le indagini della
Corte dei conti, che oramai ricopre un ruolo che esorbita le sue competenze
tradizionali, non c’è solo in malaffare dell’affittopoli che in tempi non
sospetti già denunciammo; dietro la leggerezza della neutralità tecnica,
vengono colpite anche esperienze dall’alto valore sociale come il DAMM e il
Gridas, schiacciate dai costi di gestione impossibili da sostenere, per il
semplice fatto che si equiparano spazi di socialità collettiva, ispirati
all’uso popolare e gratuito, con le regole di gestione di spazi commerciali.
Questo è un assurdo non più sostenibile.
Nessun regalo, dunque,
innanzitutto perché non riconosciamo in nessun amministratore il proprietario
di questi beni ma soggetti che ne hanno una responsabilità pro tempore. E per questo anche
le/gli abitanti di questi beni comuni non si sentono, né ora né mai, i loro
proprietari. Noi partecipiamo attivamente alla loro gestione e sperimentiamo
altri modelli culturali, politici, economici e relazionali.
Abbiamo spostato il
piano del confronto anche con questa giunta, uscendo fuori dai classici schemi,
mettendo in discussione le formule amministrative consuete. In particolare
quelli che hanno seguito direttamente il percorso riguardate i beni comuni,
sindaco e assessori, hanno recepito l’autonomia concettuale, teorica e pratica
insieme, delle sperimentazioni in atto ed è stato questo quello che ha reso
possibile questa delibera. Consapevoli che questo processo ha coinvolto anche
alcuni funzionari che hanno avuto la capacità e la coerenza di tradurre le
pratiche in atti amministrativi, mostrando così che le lotte ed i processi di
autorganizzazione possono mettere in crisi e spostare in avanti la linea del
diritto.
Lo faremo continuando anche la nostra partecipazione ad incontri tecnici, il cui proseguo ci auspichiamo sarà efficace sul piano amministrativo in un tavolo permanente, che estenda oltre gli immobili il discorso che stiamo generando sul neomunicipalismo.
Lo faremo continuando anche la nostra partecipazione ad incontri tecnici, il cui proseguo ci auspichiamo sarà efficace sul piano amministrativo in un tavolo permanente, che estenda oltre gli immobili il discorso che stiamo generando sul neomunicipalismo.
Se è vero che l’uso di
questi spazi è una conquista che ci siamo presi e continueremo ad agire con il
lavoro quotidiano, siamo altresì consapevoli che questa delibera non è un
percorso compiuto. A partire dalle pratiche, diverse anche in funzione dei
soggetti e delle destinazioni d’uso, scriveremo le dichiarazioni d’uso civico e
altri spazi si aggiungeranno come la Casa delle Donne che è già nel percorso
del movimento, nelle sue forme autonome. Ad oggi sono 8 infatti i soggetti
collettivi che hanno presentato un proprio “dossier”, per narrare la propria
storia “abitativa” e le pratiche collettive messe in atto con la fermezza di
impedire usi esclusivi degli spazi, garantita dai principi di imparzialità,
inclusività, fruibilità e accessibilità.
La vittoria politica
più grande è infatti il riconoscimento che in questi luoghi c’è un patrimonio
di attività svolte da anni, presentate e articolate sotto forma del dossier, in
cui il valore sociale della cooperazione rende anche la gestione economica
completamente reindirizzata al recupero dei beni, al conferimento di mezzi di
produzione, a migliorie e ad un’offerta sociale e culturale completamente al di
fuori dalle logiche di mercato.
Il riconoscimento
della delibera 446 è innanzitutto un riconoscimento a questa mole
impressionante di attività donate senza alcun tornaconto, interesse, scambio di
nessun tipo a tutta la cittadinanza e anche a chi dalla cittadinanza è escluso. Questa delibera, in
una delle parti più importanti, afferma che il riconoscimento avvenuto «non
riveste il carattere della esaustività, si inquadra ex adverso in un processo
di costante ascolto attivo e monitoraggio del territorio e delle sue istanze in
rilevazione delle istanze sociali capaci di creare capitale sociale e
relazionale in termini di usi collettivi con valore di beni comuni.»
Ci impegneremo
affinché molte altre sperimentazioni per i beni comuni possano arricchire la
mappa della vivibilità nella nostra città, dando leggibilità, contenuti e forme
urbane alle esperienze e le conoscenze originali, molteplici e differenti degli
abitanti che popolano la nostra città.
Villa Medusa
Lido Pola
Ex Opg – Je so’ pazzo Giardino Liberato di Materdei Santa Fede Liberata Scugnizzo liberato ex Schipa l’Asilo – exasilofilangieri.it Massa Critica
Lido Pola
Ex Opg – Je so’ pazzo Giardino Liberato di Materdei Santa Fede Liberata Scugnizzo liberato ex Schipa l’Asilo – exasilofilangieri.it Massa Critica