di
Antonio Sciotto -
No trivelle. Già raccolte 400 firme
tra segreterie e camere del lavoro. Ma il sindacato rimane diviso al suo
interno. Il «No» di Miceli (chimici) era stato attribuito a tutti. Fiom, Flc e
Flai tra gli ambientalisti. Motivi pro e contro: «Si perderanno migliaia di
posti», «Dobbiamo aprirci alle energie future»
Un
appello con quattrocento firme di quadri e dirigenti della Cgil per dire stop
alle trivelle e votare Sì al referendum del 17 aprile. Tra loro due segretari
generali di categoria – Stefania Crogi della Flai (agroindustria) e Domenico
Pantaleo della Flc (scuola, università e ricerca) – ma sono tantissimi i
segretari regionali e delle camere del lavoro, specialmente da Piemonte,
Campania, Calabria, Puglia e Basilicata. Molte firme sono arrivate negli ultimi
due giorni, dopo che il segretario dei chimici Filctem, Emilio Miceli, aveva
invece sposato le ragioni del No: e soprattutto dopo che Repubblica,
raccogliendo le sue ragioni, le aveva sintetizzate sotto un titolo fuorviante:
«Trivelle, la Cgil contro il referendum».
Non tutta la Cgil è contro il referendum, e anzi Simona Fabiani, prima
firmataria dell’appello, ritiene che il Sì sia assolutamente maggioritario
nell’organizzazione: «Ovviamente è la mia opinione – ci spiega – ma
raccogliendo in pochi giorni le firme con un giro di telefonate ho ricevuto
solo due o tre no. Gli altri tutti sì, fortemente convinti. Sono chiaramente
firme individuali, per non impegnare le proprie segreterie, ma danno l’idea di
una tendenza. E siamo solo all’inizio: stiamo continuando a raccogliere
adesioni, anche attraverso i social».
Fabiani assicura che la raccolta firme è iniziata prima dell’uscita pubblica
(mercoledì) del segretario Filctem: «Abbiamo cominciato tra lunedì e martedì –
spiega – e avremmo comunque fatto campagna per il Sì visto che finora la
confederazione non aveva preso una posizione univoca». La sindacalista fa parte
del Dipartimento Politiche per lo Sviluppo, e in particolare ha la delega su
Azioni per il clima e i beni comuni. Ha partecipato alla recente Conferenza
mondiale sul clima di Parigi, quindi parte da posizioni solidamente
argomentate, come d’altronde sono quelle di Miceli, che da rappresentante dei
chimici difende i posti di lavoro legati all’estrazione del petrolio. La Cgil discuterà molto probabilmente
la questione al Direttivo previsto il 21 marzo, dove questo tema non è
all’ordine del giorno, ma potrebbe essere l’attualità a spingere perché alla
fine sia inserito in palinsesto. E non è affatto detto che venga fuori una
posizione univoca.
Tra
l’altro, a fronte della presa di posizione di Miceli per il No, va ricordato
che non solo Crogi (e praticamente tutta la segreteria Flai) e Pantaleo (Flc)
hanno già detto che voteranno Sì, ma c’è addirittura una categoria – la Fiom
guidata da Maurizio Landini – che ha scelto di entrare nel Comitato per il Sì.
E tutte le segreterie della Basilicata (regione particolarmente coinvolta) hanno
già esplicitamente sposato il Sì.
Il
segretario Filctem ha posto l’esempio del distretto Eni di Ravenna, che occupa
500 lavoratori diretti e 6 mila nell’indotto. Ha spiegato che «già 900 sono in
cassa integrazione», e che «non esistono al momento, né sono in fase di
realizzazione, attività per energie alternative che possano assorbire gli
esuberi». Quindi ha chiamato l’organizzazione a un bagno di realismo: «Se il
referendum del 17 aprile avesse esito positivo, il rischio è di rimanere “tutti
a casa”. Il mondo oggi, e per i prossimi decenni di sicuro, continuerà ad
andare a gas e petrolio, ed è improponibile saltare a piè pari questa fase di
transizione». Posizioni diametralmente opposte da parte dei Quattrocento per il Sì:
«L’esito del referendum – spiega Simona Fabiani – non toglierebbe lavoro a chi
lo ha oggi, perché il quesito prevede che le concessioni già date entro le 12
miglia dovranno essere prorogate fino alla fine naturale del giacimento. È
chiaro che riguarda i posti di lavoro futuri: ma rispetto a quelli dovremmo
prendere atto che non ha senso accanirsi a perpetuare il fossile quando il
mondo va in direzione contraria. Le transizioni verso le energie alternative
possono essere accompagnate con i sostegni al reddito, la formazione e la riconversione,
come si è sempre fatto con settori produttivi che andavano a esaurimento. Lo
dobbiamo al nostro ambiente e al nostro futuro».
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