di Marco Assennato -
Dopo il
movimento Occupy s’è radicato un desiderio di azione contro la disuguaglianza,
contro le politiche finanziarie, che produce una richiesta oggettiva di misure
politiche radicalmente alternative… Potremmo definire il fenomeno Sanders da un
lato come un sintomo e dall’altro come uno strumento. La sua candidatura ha
fatto saltare per aria i calcoli dei partiti, in particolare dei Democratici e
sta forzando la Clinton ad aprirsi a sinistra
La rivista Jacobin ha scritto
che attorno alle primarie si è riaperto lo spazio per una sinistra radicale
negli Usa, grazie al fenomeno Bernie Sanders, il senatore del Vermont che non
esita a dichiararsi “socialista”. Che valutazione dai della sua campagna?
Io vedo il fenomeno
Sanders innanzitutto come un sintomo. Sintomo di un’atmosfera
che, nell’epoca post-Occupy, è molto più a sinistra, molto più vicina alle
istanze dei movimenti di quanto si pensasse. Almeno molto più di quanto
pensassero la Clinton e il suo staff. Credo che dopo il movimento
Occupy si sia radicato un desiderio di azione contro la disuguaglianza, contro
le politiche finanziarie, che produce una richiesta oggettiva di misure
politiche radicalmente alternative. In tal senso il personaggio Sanders, di per
sé, è meno importante di quello che riesce ad esprimere. Potremmo definire il
fenomeno Sanders da un lato come un sintomo e dall’altro come uno strumento. La sua candidatura ha fatto saltare per aria
i calcoli dei partiti, in particolare dei Democratici e sta forzando la Clinton
ad aprirsi a sinistra, se così si può dire. D’altra parte, una valutazione
realistica dell’efficacia della sua campagna è difficile da fare. Voglio dire:
premesso che gli USA sono un paese strano e può sempre succedere di tutto,
almeno finora, a mio avviso è difficile pensare che sarà eletto. Però resta
sempre un fenomeno che sta forzando la
situazione politica, che apre il Partito Democratico a quell’atmosfera
post-Occupy di cui parlavamo prima. Quindi direi così: Sanders è importante
come sintomo e
come strumento.
Questa vicenda sembra mettere in luce una serie di debolezze
nell’impostazione della campagna della Clinton – che invece era data da tutti,
all’inizio, come la candidata “naturale” dopo Obama – è così a tuo avviso? E
quali sono, secondo te, i limiti più forti della proposta della Clinton?
Ma, credo che si possa
dire che in gran parte la Clinton e il suo gruppo, avevano in testa una campagna
“anni novanta“. Cioè loro pensavano
di riproporre la strategia vincente di Bill Clinton: contendere ai Repubblicani
parti dell’elettorato più moderato o di centro-destra, dando per scontato il
voto dell’elettorato più di sinistra. La stessa operazione della terza via di
Blair, in Inghilterra, per
intenderci. Hillary è sempre stata in questo schema: basti guardare alle sue
posizioni in politica estera, sugli interventi militari, etc. Insomma
certamente la Clinton da questo punto di vista si colloca a destra di Obama ad
esempio. Ecco mi pare che le debolezze della sua campagna dipendano in generale
da questo: la Clinton interpreta una strategia vecchia, cioè un modello ormai
esaurito o perlomeno molto contestato, tanto negli USA quanto in Europa, no? La
vicenda del Labour inglese con l’elezione di Corbyn va in questa
direzione. Non so, probabilmente quando si arriverà alle elezioni
presidenziali la strategia moderata verrà riproposta, e può darsi che sia anche
vincente. Comunque per me il fatto davvero interessante è l’irrompere in scena
di quel desiderio che il movimento Occupy aveva saputo interpretare e che sposta
i termini del confronto elettorale. Almeno in questa fase.
È curioso questo salto indietro all’impostazione dell’era
Blair-Clinton, no? In fondo di mezzo ci sono stati gli anni di Bush e soprattutto,
a sinistra, l’amministrazione Obama, con tutte le sue contraddizioni. Quale
relazione c’è, a tuo avviso, tra la campagna di Sanders e la scomposizione o il
recupero di alcune forme di soggettivazione politica che avevano attraversato
le campagne per l’elezione di Obama?
Durante la presidenza
Obama, il movimento Occupy Wall Street, almeno in
alcune sue componenti, aveva coalizzato persone che erano state molto impegnate
per le elezioni del 2008 e che poi erano state deluse dall’amministrazione
degli anni successivi. Insomma il movimento Occupy ha mantenuto viva l’utopia del 2008 ma
cercando altri modi per esprimerla. Questo spazio di soggettivazione, a un
certo punto, sembrava essersi disperso e invece ha continuato a lavorare
sotterraneamente, reinterpretando il desiderio, l’utopia, della prima campagna
di Obama. Credo che nella campagna di Sanders questo desiderio sotterraneo
trovi una nuova forma di espressione politica. Quindi io vedo una continuità,
una somiglianza, tra questi fenomeni: prima campagna di Obama nel 2008,
movimento Occupy Wall Street e
campagna per Sanders. Il Partito Democratico e la Clinton, hanno pensato che
Obama avesse tentato una strada troppo di sinistra e che quindi per vincere si
dovesse tornare alle vecchie ricette. Ma è stato un calcolo miope. Piuttosto è
emersa una forte componente nella popolazione americana e persino dentro al
partito, che dissente da questa strategia e mantiene viva la speranza in un
cambiamento sociale radicale.
Rispetto alle politiche economiche, quali sono le differenze tra
Sanders e la Clinton?
Sanders propone una
serie di misure come l’aumento della tassa sulle grandi fortune dal 20 al 60%,
il completamento della riforma del Welfare, sia sui temi della sanità, che
sull’università da rendere gratuita e la regolazione di Wall Street. La cosa
interessante è che su questi temi la Clinton, fino ad ora, ha taciuto. Anzi
direi che non si sarebbe mai immaginata di dover discutere di cose di questo
tipo. Ma adesso è costretta. Non può più considerarle proposte irrealistiche, come di solito fanno i media mainstream. È questo che è importante: la campagna di
Sanders fa emergere temi e proposte radicali che condizionano la campagna della
Clinton e il dibattito generale. Tra i giovani americani, ma non solo, proposte
come quelle di Sanders non sono affatto considerate irrealistiche o astratte.
La Clinton è davvero in ritardo e difatti nei primi passaggi elettorali, ad
esempio in New Hampshire, raccoglie consensi soprattutto tra gli over 65!
Certo, è vero che alle primarie democratiche sono sempre i settori più di
sinistra che votano, insomma alle elezioni presidenziali il bacino è molto
diverso, però comunque ormai la Clinton deve rispondere e mediare con le
istanze che emergono dai meeting di
Sanders, e questa mi pare una cosa estremamente
positiva.
Dopo Baltimora ci sono stati nuovi cicli di lotta contro il
razzismo negli Usa: che rapporto c’è tra questi settori dell’attivismo, come
Black Lives Matter ad esempio, e la campagna di Sanders?
In questo senso dicevo
prima che Sanders è interessante come sintomo o strumento, più che di per sé. Perché la sua campagna
elettorale funziona come una spugna. Per esempio, all’inizio lui non sapeva
nulla e non diceva nulla dei conflitti razziali. Anzi in molte sue iniziative è
stato contestato duramente. In alcune occasioni esponenti del movimento hanno
occupato il suo palco e interrotto i suoi discorsi. Però Sanders ha risposto
bene. Non solo non ha polemizzato ma ha accolto la contestazione. Ha detto: ma
sì, avete ragione, entrate nella mia squadra e cambiamo il programma della mia
campagna. Lui fa così. Insomma la sua campagna è capace di coalizzare le forze
sociali, anche quando si esprimono in antagonismo alla sua candidatura. Tra
l’altro proprio su questa cosa dell’elettorato nero, gli analisti politici
davano per scontato il consenso per la Clinton, in particolare nel sud-est del
paese, dove c’è il bacino tradizionale di Bill Clinton. Invece adesso nulla è
più sicuro, perché Sanders ha recuperato una voce radicale delle proteste nere.
Perciò dico: la campagna di Sanders è un sintomo, uno strumento, che catalizza
istanze sociali radicali.
Un altro aspetto della partita riguarda la questione delle donne,
il femminismo militante. Anche qui la Clinton pare in difficoltà, perché
secondo te?
Da un lato credo che,
nonostante tutto, il fatto di essere donna resti uno svantaggio nelle
competizioni elettorali. Ancora oggi in questo tipo di elezioni c’è un effetto
penalizzante, che la Clinton subisce, come se dovesse compensare il fatto di
essere donna mostrandosi dura, forte, ad esempio sulla guerra etc. Dall’altro
lato però, credo che in giro ci siano vari malintesi in proposito. Si parla
molto, ad esempio, di una divisione tra vecchie e nuove femministe… non so a
cosa possano servire queste distinzioni, certo è che almeno dagli anni ’60 ci
sono stati forti conflitti generazionali nel femminismo americano. La cosa più
importante mi sembra un’altra: non si deve pensare che le militanti femministe
andranno a votare – o che dovrebbero votare – per la Clinton semplicemente
perché è donna. Significherebbe avere un’idea povera del femminismo, un’idea
che ragiona in termini puramente identitari. No, il ragionamento femminista è
molto più complesso di così.
Poi c’è la questione delle possibili fluttuazioni dell’elettorato
cosiddetto populista. Insomma di quelli che oggi come oggi potrebbero votare
Trump. Quali possono essere le oscillazioni di questo elettorato povero,
nazionalista … eccetera. Si può dire qualcosa di più su questo?
Forse c’è un fenomeno simile
in Europa no? Una popolazione povera, di classe operaia che vota a destra. Ma
vota una destra antisistema e contro lo Stato. Mi pare che siano espressioni
contigue a un certo spirito anarchico o libertario. Insomma si tratta di
interpretare la voce di chi dice: siamo stufi del sistema politico. Penso
sarebbe interessante recuperare a sinistra almeno una parte di questi voti.
Anche perché, negli USA, questo elettorato altrimenti viene intercettato da
proposte razziste e nazionaliste. La grande differenza tra i due populismi è
questa, no? Sia Occupy Wall Street che il Tea Party raccolgono
una certa spinta antisistema, anti-Stato, ma nel Tea Party c’è
un razzismo profondo, un nazionalismo esacerbato, l’idea che si debba salvare la nazione e il popolo. Ecco direi così: il populismo di destra
traduce le spinte antisistema in una idea della nazione e del popolo, che non
c’è invece, ovviamente, nei movimenti di sinistra. Se c’è un populismo a
sinistra direi che è un populismo senza popolo. Però comunque il problema di
reinterpretare questa carica antisistema che è vera, questa polemica forte
contro lo Stato, i politici e i sindacati, resta. Insomma sono temi che vanno a
mio avviso riarticolati in una possibilità di cambiamento radicale. Non so,
forse è un compito troppo difficile, però mi sembra che ci sia, potenzialmente
qualcosa di importante che corre attraverso queste espressioni.
Il vuoto che si è aperto nella Corte Suprema dopo la morte di
Scalia giocherà in qualche maniera nel processo elettorale a tuo avviso? In
fondo la Corte Suprema è praticamente sempre stata in mano alla destra – almeno
dalla fine degli anni sessanta – e adesso, per la prima volta si apre la
possibilità di modificarne gli equilibri in senso più progressista e dipenderà
essenzialmente dal prossimo presidente eletto, no?
Non darei per scontato
che Obama non intervenga. Comunque è vero: anche il nuovo presidente si
ritroverà a dover sostituire altri membri della corte che sono molto avanti con
gli anni. Di sicuro la Corte Suprema nel prossimo periodo prenderà delle
decisioni che sono davvero cruciali per il paese, e come dicevi tu, per la
prima volta c’è l’opportunità di avere una composizione della Corte se non di
sinistra, certo più equilibrata o almeno neutrale. Sarebbe un fatto importantissimo.
Molto probabilmente nella campagna elettorale se ne parlerà e possiamo anche
pensare che alla fine gli elettori sceglieranno candidati più moderati, più
equilibrati, meno “estremi” per questo motivo. Però, sai, non sono sicuro che
gli americani siano così prudenti… Secondo me in ogni caso è possibile che
Obama, alla fine, nomini qualcuno, nonostante la forte opposizione dei
Repubblicani che, tra l’altro, controllando il Senato, possono rifiutare la sua
decisione.
Un’ultima cosa: come dato politico generale, sembra che la
verticalizzazione politica delle istanze più radicali, in questo momento, non
sia soltanto un’urgenza per i movimenti sociali, ma soprattutto e viceversa,
una necessità per le organizzazioni politiche più tradizionali. Insomma è come
se nessuna proposta politica democratica o di sinistra fosse più possibile al
di fuori di questo rapporto con le esperienze di movimento. Possiamo dire
qualcosa su questo?
Mi pare che sia una
bella idea e che forse andiamo in questa direzione. Anche se mi pare che negli
Stati Uniti, la situazione sia ancora prematura. Insomma non vedo ancora la
possibilità concreta di una coalizione simile a quella ad esempio delle città
spagnole, come Barcellona o anche, per restare alla Spagna, di Podemos sul piano nazionale. Perché quelle
coalizioni sono state capaci di una proposta elettorale efficace. Negli Stati
Uniti secondo me stiamo al livello del rifiuto di
alcune politiche, ma non si riesce ancora a costruire una proposta politica
alternativa matura. Direi così: forse non sarà adesso, con Sanders, però magari
anche questo passaggio aiuterà ad aprire la possibilità di trasformare le
coalizioni che rifiutano la politica tradizionale in coalizioni costituenti di
una alternativa politica. Insomma io spero bene che andrà così.