lunedì 6 luglio 2015

"Fare Spazio" (Introduzione)

di C. Bernardi, F. Brancaccio, D. Festa e B. M. Meninni -
pubblicamo l’introduzione dei curatori del volume “Fare Spazio. Pratiche del comune e diritto alla città” (ed. Mimesis). Una sperimentazione collettiva sui temi del comune e del diritto alla città a partire dalla collaborazione tra la LUM, l'Istituto Svizzero di Roma e il Nuovo Cinema Palazzo
Questo libro s’inscrive nella traiettoria tracciata dal ciclo di seminari Dalle pratiche del «comune» al diritto alla città, tenutosi nel corso del 2013 e organizzato dal Nuovo Cinema Palazzo in collaborazione con l’Istituto Svizzero di Roma e la Libera Università Metropolitana. Rispetto a quel significativo percorso, tuttavia, non rappresenta una semplice raccolta di materiali di studio, né una collezione dei contributi preparati in occasione dei singoli incontri. Piuttosto, si costituisce come progetto editoriale che abbraccia e arricchisce le connessioni e le trame intessute da quel lavoro, nella forma di una nuova produzione. In questo senso, si presenta come un secondo spazio e momento di riflessione che, pur nella sua autonomia, raccoglie e fa proprio ciò che ha animato la costruzione dell’attività seminariale: creare, attraverso la sperimentazione metodologica e l’elaborazione discorsiva, una convergenza tra pratica e teoria, situandola nell’attualità del dibattito sui beni comuni. L’accostamento del tema del comune a quello del diritto alla città porta con sé, quindi, il significato di una scelta – di merito e di metodo – ben precisa: ripensare la spazializzazione del diritto, traducendola nei termini di un’azione politica che attraversi tanto lo spazio urbano, quanto quello, più ampio, dell’Europa.
Questo gesto non solo riguarda una questione semantica, ma sottende anche una dimensione sostanziale: il definitivo congedo dallo storicismo che ha caratterizzato la produzione dei saperi nella modernità. La riarticolazione del concetto di spazialità dischiude una prospettiva in cui lo spazio assume la stessa importanza del tempo nell’ambito della ricerca nelle scienze sociali: non più mero contenitore, sfondo o prodotto del rapporto tra soggetti e ambiente, ma esso stesso fattore di produzione direttamente implicato nella loro costruzione. Da tale scelta metodologica scaturisce una duplice apertura alla transdisciplinarietà e alla molteplicità dei campi d’azione. Lo sguardo centrato sullo spazio, infatti, cerca di rintracciare processualità ed eventi che s’intrecciano a partire da luoghi e spazi, generando altri luoghi e altri spazi. Non si tratta di enfatizzare la prossimità come dimensione privilegiata dei processi politici e analitici, ma di pensare i luoghi nel loro carattere relazionale e situato. Il taglio transdiciplinare è necessario a un approccio che tenti di cogliere la complessità delle differenze tra i vari piani del processo di produzione dei saperi. Un interrogare, dunque, la cui cifra distintiva è proprio quella di uno spostamento laterale, attraverso il quale l’operazione di spaziatura si dà come posizione a un tempo concreta e materiale, simbolica e vissuta, incarnata nella/dalla strutturazione sociale riprodotta e/o trasformata dall’agire singolare e collettivo. Per questo, pur essendo a fondamento di un’indagine analitica, la svolta spaziale non appartiene solamente al registro accademico; non è possibile infatti coglierne l’attualità se è concepita come mera creazione di idee spaziali e politiche, cioè come slegata dalla produzione/azione di spazialità quali modalità di dispiegamento della soggettività.
Il volume offre questo approccio, stabilendo delle congiunzioni che spiegano l’organizzazione interna dei suoi contenuti.

La prima parte, incentrata sul diritto, propone di disarticolare il concetto di norma nella sua accezione formalistica di testo definitivamente dato; di dislocarne la produzione in quanto emanazione univoca ed esclusiva della sovranità statale; di deterritorializzarne l’uso da parte dell’ordinamento esistente, mettendo così in discussione la dicotomia legale/illegale per indagare pratiche alternative, generatrici di legittimità.
Se infatti, come ogni altro codice, anche quello giuridico è l’esito di un’azione di scrittura, la sua spazializzazione apre all’eccedenza del significato racchiuso nel suo sapere. A partire dalla critica, non si dà allora solo decostruzione, bensì anche ricodificazione, il cui movimento non ripiega all’interno erodendo il senso del diritto, ma si fa estroverso e trasformativo, lasciando sgorgare nuovi modi di intenderne la produzione: a loro volta atti performativi della riappropriazione del diritto.
La riappropriazione diviene così un atto creativo. L’uso dell’armamentario tecnico e dogmatico del diritto non è più strumentale, ma finalizzato all’invenzione di nuovi istituti e alla trasformazione di quelli esistenti.
Attenzione particolare viene quindi data alla performatività: per questo la seconda parte intende separare il giuridico dalla pura astrazione, per connetterlo alla città, ambito privilegiato per rintracciare la materialità degli esiti politici, economici e sociali dell’attuale progetto neoliberale. Lo spazio urbano è, senza dubbio, l’oggetto primario di una forma di governo che manifesta tutto il senso dell’inadeguatezza delle istituzioni vigenti. Una crisi resa esplicita proprio dall’impossibilità di distinguere l’ambito pubblico da quello privato all’interno di un modello di governamentalità sottomesso alle logiche estrattive e speculative del capitalismo globale. È qui che il ragionamento sui fenomeni urbani si rivolge a nuove forme di enclosure, confini che stabiliscono segregazione, periferizzazione e producono nuove centralità fondate sui principi individualistici della competizione e sul dominio della convenzione finanziaria nella circolazione di beni e servizi.
Stabilire la co-appartenenza nello spazio tanto del giuridico che della città permette però di inquadrare quest’ultima anche come luogo della pratica quotidiana, della lotta come spostamento laterale. Qui, diritto e città intercettano il piano dei commons urbani: ontologicamente eterogenei e situati, eppure spazializzati, espressioni di territorialità e assemblaggi articolati da soggettività politiche che sperimentano relazioni alternative a quelle dettate dall’assoggettamento al consumo e alla rendita.
Una composizione eterogenea in cui la cittadinanza non è uno status legato alla nazionalità o alla residenza, ma è attivata nel progetto di creare nuove istituzioni, orientate all’accesso alle utilità generate dai beni. Utilità, è importante sottolinearlo, che non derivano dalla natura intrinseca dei beni ma che sono sempre il prodotto di un’attività comune di trasformazione. Tale prospettiva disvela una città che vive come opera collettiva, non mercificabile, dove solo grazie alla cooperazione i bisogni possono trovare soddisfacimento.
La cittadinanza, intesa come pratica espansiva e non solo come un diritto, ci conduce alla terza parte del volume, dedicata all’Europa, che – ripensata nella sua spazializzazione e nella variabilità delle gerarchie – diviene piano di urgenza per nuove condizioni di possibilità della forma politica. Una forma deforme, quella dello spazio europeo, processuale e instabile, ma proprio per questo sfida aperta alla problematizzazione dei riferimenti geografici consolidati e della tradizione democratica. Questa apertura è anche analitica e concettuale e mette in evidenza come la mutabilità dei processi di centralizzazione e periferizzazione corrisponde ad altrettante distribuzioni e gerarchizzazioni di territori che avvengono attraverso la moltiplicazione di confini – tanto immateriali, quanto materiali e militarizzati –, la modulazione di regionalità transnazionali e la regolazione differenziale di popolazioni. Un’inedita spazializzazione del capitalismo che, oltre la vera e propria produzione di spazio, ridisloca i confini immateriali quali segni capaci d’inscriversi attraverso i corpi e sui corpi, incarnando nuove disuguaglianze economiche e sociali. La chiusura, al contrario, si pone come ciò che mantiene intatto l’ingranaggio territoriale dello Stato-nazione che soffoca il processo costituente democratico – imbrigliando la cittadinanza in un intreccio regressivo con la classe e la razza – ed è limite epistemico alla comprensione del presente, tanto quanto lo è il suo dissolvimento nello spazio liscio del globalismo.
Qui il comune è un ragionare nell’Europa: a un tempo pensiero, immaginazione e pratica di un percorso che mette in discussione la visione depoliticizzata – dunque ideologica – dell’ontologia piatta, di quella costruzione, funzionale alla conservazione dello status quo e alla ristrutturazione delle incipienti gerarchie, in cui l’integrazione alla ragione del capitalismo globale appare l’unica via reale, naturale e percorribile, dunque auspicabile. Attraverso la creazione dei commons, lo spazio europeo si costituisce così quale luogo di federazione delle lotte, condizione attuale delle soggettività che – nelle e dalle piazze delle città – riattivano l’uso della legittimità. Quel corpo vivente che genera surplus di democrazia e ripoliticizza la sua direzione, sia nell’orizzontalità della rete organizzata, sia nelle scalarità delle formazioni sociali.

Lo spostamento laterale che attraversa l’idea progettuale muove dal riconoscimento di un presupposto fondamentale: l’insufficienza dell’uso mutualmente esclusivo di categorie che pretendono di interpretare la realtà. Al contrario, la spazializzazione si fa promotrice di una prospettiva relazionale e dell’esplorazione analitica della mutabilità. La capacità trasformativa risiede allora in quel limite che è l’apertura di possibilità dato dallo scardinamento dei meccanismi esistenti e dall’attivazione di inediti assemblaggi istituzionali. Si dà così un doppio movimento in cui coesiste sia la tensione ad allargare le maglie strette del capitalismo globale – preso nella sua griglia epistemica e nel suo ordine economico-politico –, sia a potenziare quella capacità costituente che solo il comune può generare. È correndo lungo questo crinale che le pratiche politiche divengono artefici di un fare spazio, invadendo quei luoghi che gli sono preclusi e animando forme cooperative di produzione. Anche questo volume, quindi, desidera farsi artefice di una propria spazializzazione, dando corpo a un processo virtuoso dove elaborazione e prassi politica si compenetrano, e in cui la scrittura è generata dalla progettualità della messa in comune di saperi e conoscenze. Opera collettiva animata da soggettività eterogenee che creano spazio da disseminare altrove.