di EURONOMADE
Organizzare
la Rottura Costituente. La campagna elettorale è stata caratterizzata dal
terrore dell’“effetto domino”. È esattamente questo terrore che si ritorce
contro l’oligarchia europea. Questo terrorismo, morbosamente nutrito con
immagini a effetto e con un impressionante dispiegamento di strumenti
mediatici, ha sortito l’effetto contrario a quello che si prefiggeva
Che sarebbe stata una vittoria travolgente lo abbiamo
capito a ora di pranzo, quando un disperato Martin Schulz, un secolo dopo il
tradimento della socialdemocrazia tedesca con il voto sui crediti di guerra, è
intervenuto a urne aperte, in spregio a ogni “regola”, che pure da buon tedesco
avrebbe dovuto onorare (le dimissioni dalla presidenza del Parlamento europeo
sarebbero un atto dovuto, ancorché improbabile considerata la statura etica del
personaggio).
Già da ore, dai quartieri
popolari di Atene e Salonicco, dal porto del Pireo, dalle campagne e dalle
isole il voto greco, con la violenza oggettiva del suo segno di classe, stava
travolgendo il castello di carte costruito da una macchina di propaganda quale
non si era mai vista nella storia europea. Resterà un’onta incancellabile per
la socialdemocrazia europea, per uomini meschini come Hollande e Schulz, avere
avallato questa penosa macchinazione. Non sappiamo come definire Renzi: lo
spettacolo più squallido lo ha offerto proprio lui, genuflettendosi di fronte
ad Angela Merkel, nella pietosa speranza di poter riscuotere, tra qualche mese,
qualche “concessione”, in fondo non così distante da quel che hanno chiesto in
questi mesi Tispras e il satanico Varoufakis.
Con assoluta chiarezza,
le prime parole di Alexis Tsipras vanno all’essenziale: la questione del debito
da ieri sera è agli occhi di tutti sottratta all’esclusiva disponibilità del
comando finanziario. È limpidamente questione di riappropriazione della
decisione democratica. Meglio ancora: non c’è democrazia oggi se non a partire
dalla capacità di intervenire con forza, in termini di rottura, sul terreno del
debito. È questa la possibilità che il referendum greco ci presenta: la
riconquista del futuro, la liberazione della vita e della cooperazione sociale
dall’ipoteca del debito, la lotta contro la povertà, la precarietà e i
sacrifici come destino. La formidabile continuità della lotta contro
l’austerità in Grecia negli ultimi anni si è tradotta in un rifiuto che si esprime
direttamente sul terreno del governo: rompe la continuità del management
europeo della crisi, si apre a una moltiplicazione delle lotte su scala europea
e impone un orizzonte costituente che non può essere limitato a livello
nazionale.
La campagna elettorale
è stata caratterizzata dal terrore dell’“effetto domino”. È esattamente questo
terrore che si ritorce contro l’oligarchia europea. Questo terrorismo,
morbosamente nutrito con immagini a effetto e con un impressionante
dispiegamento di strumenti mediatici, ha sortito l’effetto contrario a quello
che si prefiggeva. Ora, davvero, la paura è passata nel campo di chi pensava di
essere ormai immune da ogni minaccia. Si è parlato di “azzardo”, di
inesperienza e di irresponsabilità da parte del governo Tsipras. Non vogliamo
qui entrare nei dettagli del modo in cui sono state condotte le trattative. Ma
è certo: ogni salto politico contiene un elemento di azzardo, una capacità di
cogliere l’occasione. Qui, però, questo salto è radicato profondamente in tutto
quello che è successo in Europa dal 2008 in poi, attraverso l’irruzione di
movimenti che legavano insieme in modo indissolubile questione del debito ed
esperimenti di democrazia costituente. Non a caso, Tsipras ieri sera ha
richiamato le mobilitazioni europee, che quella fase ha reso possibili.
È questo lo spettro,
prima di tutto mediterraneo: nulla di astratto, ma l’azione politica di quei
movimenti che hanno aperto il campo per una rottura democratica e popolare sul
terreno europeo. Proprio di quei movimenti nulla aveva capito la
socialdemocrazia europea (che anzi li aveva violentemente avversati), e nulla
avevano capito le variopinte e tradizionali sinistre. È del resto questo il
momento nel quale, nelle economie “forti” del nord Europa, le mobilitazioni
sociali e sindacali potrebbero strappare – contro i dogmi del rigore e della
competitività – aumenti salariali, reddito, ed estensione del welfare.
L’occasione che si presenta è quindi quella di praticare una rottura dei diktat
dell’austerity, non solo nei Paesi indebitati dell’Europa mediterranea, ma più
in generale a partire dalla costruzione di una coalizione degli sfruttati su
scala continentale.
La situazione è
tutt’altro che semplice. La ferocia e l’odio di classe dei “creditori” possono
rispecchiarsi in un’analoga ferocia delle destre xenofobe e nazionaliste, in
crescita in molti Paesi d’Europa. La ripresa dei “negoziati” dovrà tenere conto
non tanto di irrilevanti fattori contabili quanto di questa deriva politica e
culturale – mentre la guerra continua a segnare i confini dell’Europa e
minaccia di presentarsi, ancora una volta, come catastrofico strumento contro
l’approfondimento della lotta di classe e della dinamica democratica. E
tuttavia, la crepa che si è aperta nell’“estremismo di centro” con le elezioni
greche di gennaio, e che si è allargata con le amministrative spagnole, è
ulteriormente approfondita dall’esito del referendum greco. La violenza della
finanza si trova ora di fronte un elemento di contropotere, alimentato da un rapporto
inedito tra mobilitazione sociale e azione di governo e in grado di introdurre
contraddizioni e divisioni nella stessa costituzione materiale dell’Unione
Europea. Anche gli scenari globali, con le contraddizioni emerse all’interno
del Fondo monetario internazionale e dei suoi rapporti con il Congresso
statunitense e con le evidenti inquietudini di Paesi emergenti come la Cina e
in generale i BRICS, presentano possibilità inedite. I greci hanno fatto la
loro parte, e c’è da credere che continueranno a farla: hanno dimostrato che è
possibile rifiutare il ricatto dell’austerity e del debito. Svolgere questo
rifiuto nelle forme di una politica affermativa,
dimostrare che si può vincere, non
sarà possibile senza il contributo di tutte e tutti noi.