di
Christian Marazzi -
Cosa
succede «quando il despota oppressore si ammala e le ancelle prendono il
comando?». È il problema dell’Europa. La crisi persiste ed è destinata a durare
perché manca un meccanismo di riciclo delle eccedenze nel cuore di Eurolandia. L’ascesa
della finanziarizzazione, il trionfo dell’avidità, l’annullamento degli
organismi politici di regolamen-tazione, esaltati dall’egemonia neoliberista,
non sono più sufficienti a riequilibrare il sistema inaugurato dalla reagonimcs.
Le misure d’austerità non riducono gli squilibri, ma li acuiscono: deprimono la
crescita ed aggravano la povertà
«Nulla
ci rende umani quanto l’aporia: quello stato di intenso disorientamento in
cui ci troviamo quando le nostre certezze vanno a pezzi». Così inizia il
libro di Yanis Varoufakis, Il Minotauro
Globale (Asterios Editore, traduzione di Piero Budinich,
Trieste 2015). Il ministro delle finanze greco si riferisce al settembre
del 2008, i giorni della crisi della Lehman Brothers e di un’intera epoca,
quella del capitalismo finanziario. Ma lo stato di aporia non si è certo
dissolto, lo stiamo vivendo in questi giorni di negoziazione tra la Grecia
e l’Unione europea, giorni di «guerriglia semantica» se non fosse per la
posta in gioco, la conquista di un margine di tempo per avviare quel processo
di ricostruzione interno di cui il popolo greco ha drammaticamente bisogno.
Di cui tutti noi abbiamo bisogno, se è vero che l’esperimento Syriza, quell’essere «dentro e contro» il sistema
monetario e finanziario europeo, rappresenta il primo tentativo di
«verticalizzare» i movimenti,
di far transitare bisogni, rivendicazioni, aspirazioni dai luoghi concreti
e sofferti in cui si esprimono
all’unico piano istituzionale adeguato, quello europeo in cui si gioca la
partita decisiva. Vecchia tattica per una nuova strategia, e l’avvio, per
quanto estenuante, convince.
Oltre il crack
Il
Minotauro Globale è un saggio di macroeconomia marxista, scritto per
essere letto oltre gli ambienti accademici, risultato di un lungo percorso
iniziato con l’economista Joseph Halevi con un primo articolo pubblicato
nel 2003 dalla Monthly Review, poi confluito, con la collaborazione di
Nicholas Theocarakis, in un libro accademico intitolato Modern Political
Economics. Varoufakis cerca di rispondere alla domanda «cosa è realmente
accaduto?», ponendo al centro della sua analisi lo squilibrio fondamentale che
ha determinato, storicamente, forme
diverse di governamentalità
geopolitico-finanziaria. «La mia risposta evocativa è: il crack del 2008 ha avuto luogo quando un animale chiamato il Minotauro
globale è stato ferito in maniera fatale. Finché governava il pianeta,
il suo pugno di ferro era implacabile, il suo dominio spietato». Il
Minotauro della nostra epoca prende forma a partire dal 1971 e ha un nome preciso:
si tratta dei deficit gemelli statunitensi, quello del bilancio del
governo Usa e il deficit commerciale dell’economia americana, deficit che si erano andati
accumulando verso la fine degli anni sessanta
col venir meno delle eccedenze commerciali (esportazioni) americane e
con la crescita delle economie tedesca
e giapponese. Invece di ridurre i deficit gemelli, nel corso degli anni settanta
gli Stati Uniti decisero di trasformarli in una immensa aspirapolvere
tale da assorbire i capitali provenienti
dal resto del mondo. Attraverso questo prisma, questa chiave di lettura,
scrive l’Autore, «tutto sembra più motivato: l’ascesa della finanziarizzazione,
il trionfo dell’avidità, la diminuita
importanza degli organismi di regolamentazione, l’egemonia del modello
di crescita anglo-celtico. Tutti i fenomeni
che hanno caratterizzato quell’epoca improvvisamente appaiono come meri sottoprodotti dei massicci afflussi di
capitale per alimentare i deficit gemelli degli Stati Uniti», per nutrire
il Minotauro. Varoufakis sviluppa questa tesi con molta intelligenza e eleganza lungo tutto il suo libro, passando
dagli anni cinquanta del Piano globale all’epoca della finanziarizzazione,
dal fordismo al post-fordismo, sviscerando tutti gli arcani «tecnici»
della crisi del 2008 e i suoi effetti devastanti sull’Europa. Non è irrilevante
osservare che nel pieno della crisi, già a partire dal 2009, sulle pagine del
Financial Times e anche di giornali come l’Economist abbiamo avuto modo di
leggere analisi simili alla sua. Si pensi solo agli articoli di Martin
Wolf, certamente non marxista, ma tra i più convinti sostenitori della
tesi dello squilibrio fondamentale. In una nota finale, Varoufakis
scrive: «Dal momento che il Minotauro è
stato abbattuto dalla crisi del 2008, tutti ora riconoscono che gli squilibri
globali sono un problema – sia a livello internazionale (surplus della Cina nei
confronti degli Stati Uniti e dell’Europa), sia in Europa (surplus della Germania nei confronti del
resto dell’eurozona». Ma, appunto, ci è voluta una crisi storica per illuminare
la notte. E non sembra bastare.
Il
rompicapo reale
Ora,
cosa succede «quando il despota oppressore si ammala e le ancelle prendono
il comando?». È il problema, oggi, dell’Europa e, per quanto riguarda l’Asia,
della Cina. La crisi persiste e è destinata
a durare perché manca un meccanismo di riciclo delle eccedenze nel cuore
di eurolandia. In assenza di tale meccanismo, lo squilibrio tra economie
in surplus e paesi in deficit viene gestito con iniezione di liquidità da
parte della Bce che però non sgocciola nelle economie reali in disavanzo,
ma alimentano il circuito finanziario della speculazione. Le misure
d’austerità, inoltre, non riducono certamente gli squilibri, ma li acuiscono,
deprimendo la crescita e aggravando
la povertà. La lotta della Grecia per intaccare questo squilibrio e
l’assenza di una politica monetaria con una Bce che funga da vera banca centrale,
ruota attorno a questo rompicapo. È l’epilogo del libro di Varoufakis. Su
scala internazionale lo squilibrio
fondamentale non sembra aver ancora
colpito a morte il Minotauro. Oggi l’Europa ha un surplus commerciale
trainato dalle esportazioni soprattutto
tedesche (verso gli Usa, ma anche verso la Cina e la Russia). La Cina, seppur
in perdita di velocità, continua comunque ad esportare più di quanto
importa. Ma, soprattutto, questi
paesi, invece di investire al loro interno, continuano a preferire gli investimenti speculativi
dei loro risparmi all’estero, e gli Stati Uniti sembrano aver riscoperto il
gioco dell’aspirapolvere.
Riprese fittizie
Lo
squilibrio fondamentale, almeno nel medio periodo, è destinato a rafforzarsi
a causa di politiche monetarie divergenti da una parte e dall’altra
dell’Atlantico, con gli Stati Uniti proiettati verso l’aumento dei tassi di
interesse (e quindi un rafforzamento del dollaro) e l’Europa avviata verso
politiche di espansione della liquidità (e quindi un indebolimento
dell’euro). Questa volta, secondo l’Economist, si possono prevedere due pericoli.
Uno a breve termine, con la diminuzione delle esportazioni americane a
causa sia del dollaro rivalutato e della scarsa domanda dei paesi importatori (come l’Europa e la stessa
Cina), sia della riduzione degli investimenti interni, specie nel settore
energetico (a causa del basso prezzo del petrolio). La ripresa statunitense
rischia quindi di durare poco. L’altro pericolo, ma a medio termine, è una
ripresa dell’indebitamento delle economie
domestiche americane che, certo, è diminuito nel corso della crisi, ma sta
già aumentando, specie nel settore immobiliare. L’eterno ritorno dello squilibrio rende ancor più fondamentale la lotta della Grecia, e
la lettura del libro di Varoufakis.
il
manifesto 24/2/2015