martedì 1 ottobre 2013

2/Le città ribelli. Intervista a David Harvey

di Vince Emanuele*

David Harvey è professore di antropologia e geografia alla City University of New York. Harvey è intervenuto lo scorso 27 settembre a Roma al Teatro Valle occupato e il giorno successivo al Nuovo Cinema Palazzo, nel corso della settimana di seminari e workshop intitolata “Lotte spaziali” (http://www.teatrovalleoccupato.it/lotte-spaziali-una-settimana-seminari-workshop-performance-dal-22-al-28-settembre-2013)

Nel capitolo 4, “L’arte della rendita”, dici che “le scuole d’arte sono state fonti del dibattito politico, ma la loro successiva pacificazione e professionalizzazione hanno seriamente diminuito la politica di agitazione “. Puoi parlare della natura speciale della produzione e riproduzione culturale? Inoltre, è possibile formulare questo concetto di “rendita monopolista”? Come ha aiutato questo processo ciò che hai chiamato “l’imprenditorialità urbana”? Tu denomini questi processi come la “disneyficazione” della società e della cultura. Che cosa è il capitalismo collettivo e simbolico? Citi l’industria del turismo, ma anche il marketing di specifiche città, sentimenti culturali e la “commercializzazione delle città”. Ci puoi parlare di queste dinamiche?
Il mio interesse per tutto questo viene da una contraddizione molto semplice: supponiamo che viviamo sotto il capitalismo, e si presume che il capitalismo è competitivo, quindi ci si aspetterebbe che ai capitalisti e agli imprenditori piaccia la concorrenza. Bene, risulta che i capitalisti fanno tutto il possibile per evitare la concorrenza. Amano i monopoli. Così, ogni volta che possono, cercano di creare un prodotto che è sia monopolizzabile, che, in altre parole, sia “unico”. Per esempio, prendiamo il logo di Nike, che è un perfetto esempio di come i capitalisti estraggono un prezzo di monopolio di un logo particolare, che tiene insieme tutto il bagaglio di ciò che significa, ciò che rappresenta, e come le persone dovrebbero interagire con esso. Una scarpetta uguale costa molto meno soldi, si può vendere a un prezzo molto più conveniente semplicemente perché non ha il logo. Pertanto, la fissazione del prezzo di monopolio è terribilmente importante. Troverai molti luoghi in cui questa è una componente fondamentale del funzionamento dei mercati. In questo capitolo ho citato il commercio del vino, che mi incuriosisce molto. La gente cerca di estrarre una rendita di monopolio perché questo vigneto ha un suolo speciale o una particolare posizione geografica. Quindi, crea un vino “vecchio” unico, che ha un sapore migliore di qualsiasi altra cosa al mondo, solo che non è così.
C’è grande interesse nel cercare di guadagnare una rendita di monopolio assicurandosi che il proprio prodotto sia commercializzato come un unico e molto, molto, molto speciale. E, a livello delle città, questo significa che le città tentano di “commercializzare” se stesse. C’è tutta una storia, in particolare nel corso degli ultimi 30-40 anni, di come le città cercano di commercializzare e vendere un pezzo della loro storia. Qual è l’immagine di una città? È attraente per i turisti? È di moda? Così si vende una città. Troverai città che hanno una grande reputazione come Barcellona o New York. Uno dei modi per migliorare l’unicità di una città è quello di vendere qualcosa che sia legato alla storia della città, che è molto specifico, perché non è possibile usufruire del parallelo storico altrove. Ad esempio, si va ad Atene per l’Acropoli, o a Roma per le antiche rovine. Cominci a vendere la storia di una città unica e redditizia. D’altra parte, se non hai una storia speciale, semplicemente ti inventi qualche storia. Ci sono molte città con storie inventate nel mondo di oggi. Quindi, dici alla gente che la cultura del sito è molto speciale. Sai, le cose come stili unici di cibo, o la danza, hanno molta importanza. Devi promuovere la “vita di strada” come unica, non c’è nessun altro posto come questo e tutto quel genere di cose.
La commercializzazione degli aspetti storici e culturali di una città è attualmente una componente fondamentale del processo economico. Alcune città semplicemente si inventano una cultura unica. Ad esempio, alcune città usano il “architettura firmata”. Non molte persone conoscevano la città di Bilbao fino a che il Guggenheim Museum divenne il centro di un particolare stile di architettura. Possiamo guardare a Sydney (Australia) e al suo Teatro dell’Opera, che è la prima cosa che la gente riconosce quando vedono l’immagine della città, e si può vedere quanta importanza ha avuto. In questo modo, la stessa architettura è rimasta intrappolata nella commercializzazione di una città. Anche le scene pittoriche e musicali diventano rilevanti aspetti culturali della città, per poi venderle – città come Austin (Texas) diventano “scene musicali”. Hai anche luoghi come Nashville, ecc. Le città iniziano a utilizzare la produzione culturale come un modo per vendere la loro città come unica e speciale. Naturalmente, il problema è che gran parte della cultura è molto facile da copiare. L’unicità comincia a scomparire. Allora abbiamo quello che io chiamo la “disneyficazione” della società. In Europa, per esempio, guarda come tutto si “disneyfica”, anche se molte città hanno storie culturali / storiche serie.
Ad alcune persone, a me per esempio, questo risulta estremamente ripugnante. È una ulteriore  ”disneyficazione” della storia europea e semplicemente non voglio più essere disturbato da questo. Questa è la contraddizione: vendi una città come unica, ma attraverso il marketing la città può essere copiata. In effetti, i simulacri della diventano tanto importanti quanto la storia stessa. C’è una tensione nel cercare una rendita monopolista, ottenerla per un breve periodo e poi perdendola a causa dei simulacri. Questo è importante. Ciò crea anche una situazione in cui i produttori culturali acquisiscono grande importanza. Vivevo a Baltimora nel 1969, e c’erano tre musei. Ora ci sono circa trenta! Questo diventa il modo in cui si vende la città. Tuttavia, ripeto, se ogni città ha trenta musei, puoi dimenticarti di avere una posizione di monopolio. E non importa realmente se sono a Baltimora, Pittsburgh o Detroit: tutto diventa una esperienza copiata. Cominciano a perdere il loro potere monopolista.

Nel capitolo 5, “Rivendicare la città attraverso la lotta anti-capitalista”, scrivi: “Due problemi nascono dai movimenti politici basati sulle città: 1) è la città, o il sistema di città, un mero luogo passivo o una rete pre-esistente? 2) Le proteste politiche abitualmente misurano il loro successo nella misura in cui sono capaci di interrompere le economie urbane”. Quali sono alcuni esempi di queste interruzioni? Come pensi che i dissidenti possano interrompere le economie urbane in modo più efficace?
L’uragano Sandy ha realmente interrotto la vita di coloro che vivono a New York. Pertanto, non vedo come i movimenti sociali organizzati non possano interrompere la normale vita nelle grandi città, e quindi danneggiare gli interessi della classe dominante. Abbiamo visto molti esempi storici. Per esempio, negli anni sessanta le interruzioni che si sono verificate in molte città degli Stati Uniti hanno causato massicce interruzioni degli affari. Le classi politiche e imprenditoriali risposero rapidamente a causa del livello di interruzione e distruzione. Cito nel libro le manifestazioni di lavoratori migranti nella primavera del 2006. Le proteste erano in risposta al tentativo da parte del Congresso di criminalizzare gli immigrati clandestini. Di conseguenza, la gente si mobilitò in posti come Los Angeles e Chicago, e interruppero in modo imponente gli affari della città. Si potrebbe prendere l’idea di uno sciopero, solitamente diretto contro una particolare azienda o organizzazione, e trasferire quelle tattiche e strategie ai centri delle città. Invece di scendere in sciopero contro una impresa o un commercio specifici, la gente dovrebbe indirizzare queste azioni su intere aree urbane.
Poi ci sono eventi come la Comune di Parigi, o lo sciopero generale a Seattle nel 1919, o la sollevazione del Cordobazo in Argentina nel 1969. Questo non deve essere un movimento rivoluzionario dalla notte alla mattina. Queste cose possono accadere molto gradualmente attraverso le riforme. Un esempio interessante di bilancio partecipativo si sta facendo a Porto Alegre (Brasile), dove il Partito dei Lavoratori ha sviluppato un sistema attraverso il quale le popolazioni e le assemblee locali decidono come i soldi dovrebbero essere spesi. Quindi, tenevano assemblee popolari, ecc. che decidevano come utilizzare i fondi e i servizi pubblici. Ancora una volta, ecco qui una riforma democratica che ha avuto luogo al principio a Porto Alegre, ma che da allora si è trasferita in città europee. È una grande idea. Coinvolge il pubblico e rende le persone partecipi del processo. Democratizza il processo decisionale in tutta la società. Queste decisioni non sono più prese dai comuni, burocrati, o dietro porte chiuse. Ora, queste cose sono aperte al dibattito pubblico. Così da un lato si si hanno interventi rapidi in forma di scioperi e interruzioni. D’altra parte, un processo di riforma che ha luogo mediante assemblee democratiche, ecc.

Come organizzatore, ho lavorato con persone che lavorano nel settore sindacale, disoccupati o quelli che lavorano nell’economia in nero. In concreto, sono interessato a organizzare quelli che lavorano nelle industrie del settore dei servizi, o grandi aree commerciali, come ApplebeÈs o Best Buy. Nel capitolo 5, tu scrivi: “Nella tradizione marxista, le lotte urbane sono spesso ignorate o sottovalutante perché prive di potenziale o importanza rivoluzionaria. Quando una lotta urbana acquisisce uno rivoluzionario emblematico, come durante la Comune di Parigi del 1871, viene descritta, in primo luogo da Marx e ancor più enfaticamente da Lenin, come una rivolta proletaria, prima che un movimento rivoluzionario molto più complicato, animato sia dal desiderio di reclamare la città dall’appropriazione borghese che dalla desiderata liberazione degli operai dalla dura oppressione di classe nei luoghi di lavoro. Io do importanza simbolica al fatto che le prime due decisioni della Comune di Parigi sono state di abolire il lavoro notturno nelle panetterie, una questione di lavoro, e di imporre una moratoria agli affitti, una questione urbana “. Puoi parlarci della priorità dei lavoratori industriali nella ideologia marxista? Con meno del 12% della forza lavoro statunitense sindacalizzata, come possiamo cominciare a riconcettualizzare il proletariato?
È una lunga storia. La tendenza nei circoli marxisti, e non solo nei circoli marxisti ma nella sinistra in generale, è dare la priorità al lavoratore industriale. Questa idea di una lotta d’avanguardia che porti a una nuova società è stata presente per un certo tempo. Tuttavia, ciò che è affascinante è la mancanza di alternative a questa visione. O per lo meno variazioni sul suo intento e il suo scopo. Naturalmente, molto di questo deriva dal volume I del Capitale di Marx, che pone l’accento sull’operaio di fabbrica. Questa idea che il partito d’avanguardia dei lavoratori ci condurrà alla nuova terra promessa della società anticapitalista, diciamo “comunista”, si è protratto per un centinaio di anni. Ho sempre pensato che sia una concezione troppo ristretta di ciò che è il proletariato e di chi è “all’avanguardia”. Inoltre, sono sempre stato interessato alle dinamiche della lotta di classe e alla sua relazione con i movimenti sociali urbani.
Chiaramente, per me, i movimenti sociali urbani sono molto più complicati. Percorrono tutta la strada che parte delle organizzazioni di quartiere borghesi, che dedicano a una politica di élite, fino a una lotta di inquilini contro i proprietari a causa di pratiche di sfruttamento. Quando si guarda l’ampio spettro dei movimenti sociali urbani, si scopre che alcuni sono anticapitalisti e altri il contrario.
Ma bisognerebbe fare la stessa osservazione su alcune forme di sindacalismo tradizionale. Ad esempio, ci sono alcuni sindacati che considerano l’organizzazione come un modo di favorire i lavoratori già privilegiati nella società. Certo non mi piace, questa idea. Ce ne sono altri che stanno cercando di creare un mondo più giusto ed equo. Penso ci sia una distinzione simile tra le forme di organizzazione dei lavoratori dell’industria. Di fatto esse, a volte, dato che hanno a che fare con gruppi e interessi particolari, sono più reazionari nella politica generale di quello che ci si potrebbe aspettare. È in relazione a questo che guardo alle forme di organizzazione di Antonio Gramsci. Lui era molto interessato ai consigli di fabbrica. Seguiva la linea marxista secondo cui l’organizzazione di fabbrica è cruciale nella lotta. Ma poi esortava la gente a organizzarsi anche nei quartieri. Così, secondo il pensiero di Gramsci, potevano ottenere una situazione migliore per tutta la classe operaia, non solo per quella organizzata nelle fabbriche, ecc. Comprese persone come i disoccupati, i lavoratori precari e tutte le persone che hai citato, e che non erano al lavoro nei settori industriali tradizionali. Gramsci proponeva che questi due tipi di metodi organizzativi si intrecciassero per rappresentare veramente il proletariato. In sostanza, il mio pensiero in questo senso riflette Gramsci. Da dove cominciare per preoccuparsi di tutti i lavoratori di una città? Chi fa questo?
I sindacati tradizionali non tendono a farlo. Mentre esistono movimenti all’interno del movimento sindacale che stanno mettendo in azione queste pratiche organizzative. Ad esempio, i Trade Unions Councils in Gran Bretagna, o i Labor Councils negli Stati Uniti: ambedue cercano di organizzare in qualche modo al di fuori dell’ambito della tradizionale organizzazione sindacale. Ora, questi aspetti del movimento dei lavoratori non sono stati rafforzati. Dobbiamo inventare nuove forme di organizzazione che raccolgano la faccia progressista di ciò che accade nei movimenti sociali urbani, e la unisca con il resto del modello dell’unione industriale di tradizionale. Dobbiamo riconoscere che molti lavoratori nell’economia degli Stati Uniti non potrebbero organizzarsi ufficialmente in un sindacato con le leggi sul lavoro vigenti. Quindi c’è bisogno di una diversa forma di organizzazione, al di fuori del modello di sindacato tradizionale.
C’è un’organizzazione di New York, che in realtà è nazionale, ma molto forte a New York, che si chiama Organizzazione delle lavoratrici domestiche. È molto difficile organizzare le lavoratrici domestiche. Ma hanno un organizzazione basata sui diritti e continuano ad organizzarsi e a lottare. Siamo onesti, se sei un immigrato illegale negli Stati Uniti, vieni trattato in maniera deplorevole. Così che l’organizzazione di gruppi come i tassisti o i lavoratori di ristorante li ha condotti a quello che viene chiamato un Congresso dei Lavoratori. Stanno cercando di unire tutte queste forme di organizzazione. Sai, anche Richard Trumka (Presidente della federazione sindacale Afl-Cio) è apparso in una di queste conferenze nazionali e ha detto ai lavoratori che al movimento operaio tradizionale piacerebbe almeno avere rapporti con loro. In breve, credo che ora esista un crescente movimento che riconosce l’importanza di tutti questi diversi tipi di lavoro che si svolgono all’interno dell’ambiente urbano. Prendo la domanda che mi pone molta gente dei sindacati: «Perché non organizzare l’intera dannata città?”.
Già ci sono movimenti per organizzare i tassisti, ma perché non i venditori? È una forza lavoro enorme e la città dipende interamente da questi settori di lavoratori per mantenere in attività gli affari come sempre. Che cosa succederebbe se questi gruppi si unissero e cominciassero a chiedere un diverso tipo di politica nelle città? Che cosa succederebbe se disponessero di una voce sul modo in cui sono utilizzati i fondi e le risorse? C’è un modo per contrastare l’incredibile disuguaglianza che esiste a New York? Voglio dire, le dichiarazioni dei redditi dello scorso anno hanno mostrato che l’1 per cento della popolazione di New York guadagna 3,57 milioni dollari ciascuno, rispetto al 50 per cento della popolazione che cerca di andare avanti con meno di  30.000 . È una delle città più ineguali del mondo. Che cosa possiamo fare in proposito? Come possiamo organizzarci per cambiare questa disuguaglianza?
A mio parere, dovremmo tralasciare questa idea che l’operaio di fabbrica sarà l’avanguardia del proletariato, e iniziare a guardare a quanti sono impegnati nella produzione e riproduzione della vita urbana come alla nuova avanguardia. Questo include lavoratrici domestiche, tassisti, venditori, e molti altri delle classi povere e lavoratrici. Penso che possiamo costruire movimenti politici che operino in modi totalmente diversi rispetto al passato. Possiamo vedere questo in città in tutto il mondo, dalle città boliviane a Buenos Aires. Combinando il lavoro degli attivisti urbani che lavorano nelle fabbriche, cominciamo a sviluppare uno stile completamente diverso di agitazione politica.

Puoi parlare di una di queste città, come El Alto (Bolivia)? Inoltre, io ero a Madison (Wisconsin) nel 2011, durante le grandi proteste dei lavoratori, e devo dire che è stato interessante vedere la dinamica dei sindacati e come interagivano con lavoratori e con cittadini non sindacalizzati. Purtroppo, spesso sembra il movimento sindacale reprima il dissenso e le resistenze serie. Per esempio, mentre molti lavoratori a Madison erano sindacalizzati, quelli che fisicamente occuparono il Campidoglio non erano sindacalizzati. Poi vennero i grandi sindacati e immediatamente dirottarono la discussione sul voto per ottenere le dimissioni del Scott Walker e su altre misure liberal-riformiste. Certo, col senno di poi vediamo il disastro in cui tutto si trasformò: il governatore Walker vinse nel voto. Dal mio punto di vista, questi movimenti dei sindacati e del Partito democratico hanno disperso l’energia del movimento. Cosa pensi di questi problemi?
I sindacati hanno attraversato un brutto periodo. Non si stanno comportando in modo molto progressista. Quindi nel complesso sono d’accordo con te. Ora, il motivo per cui ho citato Trumka è perché penso che Trumka e molti di quelli che sono all’interno del movimento operaio organizzato capiscono che non possono fare da soli, e hanno bisogno dell’aiuto da tutta la forza lavoro, sindacalizzata o meno. Questa è sempre la sfida di organizzarsi: quanto sostegno vogliamo da queste grandi entità? E quanto di ciò che stanno facendo viene da un vero senso di solidarietà? Quanto lo fanno per guadagni personali? La mia esperienza a Baltimora, nelle campagne per un salario degno, riflette fino a un certo punto la tua esperienza. I sindacati generalmente erano ostili a queste campagne e non aiutavano. Tuttavia, ricevemmo molto sostegno da parte dei sindacati locali. Dobbiamo separare queste due entità. Certe sezioni sostennero le campagne. Il movimento sindacale è stata molto, molto conservatore in questo Paese, in molti modi, in particolare negli ultimi 50 anni.
Ci sono problemi simili nei sindacati britannici. Per essere onesto, l’impressione che ho avuto di alcuni leader locali di New York è che capiscano che non possono continuare a portare il testimone. Dubito che tu stessi dicendo che non dovremmo organizzarci con i sindacati, e diffiderei di chiunque lo dica, ma, credimi, sono molto cosciente dei limiti dei sindacati moderni. In effetti, ho sentito molto di quello che hai detto da amici che partecipavano agli eventi si Madison. Sai, ho letto quanto più potevo su El Alto (Bolivia), e ciò che mi affascina veramente sono le forme di organizzazione che vi si creano. C’è una componente sindacale, con un forte sindacato degli insegnanti alla testa del movimento. Ma ci sono anche molti ex sindacalisti che erano nelle miniere di stagno, che rimasero disoccupati negli anni ottanta del riaggiustamento neoliberista. Queste persone sono finite a vivere nella città di El Alto e lì c’è una tradizione politica attivista socialista. Nel movimento sindacale in cui militavano c’erano principalmente trotzkisti, il che è significativo.
Tuttavia, le organizzazioni più importanti erano le organizzazioni di quartiere. Inoltre, c’era una assemblea generale di organizzazioni di quartiere chiamata Federación de Organizaciones Barriales. Ad esempio, vi erano organizzazioni di venditori ambulanti, che abbiamo anche a New York, più la gente del trasporto. Questi diversi gruppi si riunivano in modo abbastanza regolare. La dinamica interessante di queste organizzazioni è che non si incontrano faccia a faccia per qualsiasi tema. Voglio dire, che senso ha andare a una riunione in cui tutti sono d’accordo? Dovevano partecipare alle riunioni al fine di garantirsi che non fossero danneggiati i loro interessi. Questo è quello che succede quando si hanno vivaci dibattiti e un discorso politico: progresso. Così, l’attivismo delle federazioni di quartiere è nato da metodi organizzativi molto competitivi. Poi, quando la polizia e l’esercito hanno iniziato ad assassinare la gente per le strade, c’è stata una dimostrazione immediata di solidarietà tra i gruppi che si erano organizzati in città. E chiusero la città e bloccarono le strade. Gli abitanti di La Paz non potevano ricevere beni e servizi perché tre delle strade principali passavano direttamente attraverso El Alto, che era chiuso da queste organizzazioni.
Lo hanno fatto nel 2003, e il risultato è stato che il presidente fu scalzato. Poi, nel 2005, fu scalzato il presidente successivo. Alla fine, è arrivato Evo Morales. Tutti questi elementi si sono uniti e organizzati in modo efficace per i poveri e la classe operaia in Bolivia. Da qui è venuto il titolo per il mio libro, le città ribelli. Letteralmente, El Alto divenne una città rivoluzionaria in pochi anni. È affascinante studiare e osservare le forme di organizzazione in Bolivia. Non sto dicendo che questo è “il modello” che tutti dovrebbero copiare, ma è un buon esempio da osservare e studiare.

Parli di un film che è molto speciale per me, “il sale della terra”, che vidi per la prima volta nel mio primo anno di università. Il mio professore, Kim Scipes, teneva un corso sulla diversità razziale ed etnica alla Purdue University North Central durante il quale vedemmo il film come materiale obbligatorio per il corso. Quando si fa riferimento a questo film nel tuo libro, scrivi: “Solo quando l’unità e l’uguaglianza sono costruiti con tutti, le forze del lavoro saranno in grado di vincere. Il pericolo rappresentato da questo messaggio per il capitalismo si misura con il fatto che questo è l’unico film americano la cui proiezione in qualsiasi luogo commerciale è stata sistematicamente proibita per molti anni “. Puoi dirci perché questo film è importante? Cosa ci può insegnare sulla lotta?
Bene, ho visto il film (“Salt of the Earth”, diretto da Herbet J. Biberman, 1954, vedibile integralmente su https://www.youtube.com/watch?v=G7ZoomADDOI, ndt) per la prima volta qualche tempo fa, non ricordo esattamente quando. Ma, come te, ho sempre apprezzato il suo ricordo. Quando ero seduto a scrivere questo libro, l’ho visto di nuovo. Naturalmente, l’ho visto un paio di volte ancora. Penso che sia una storia molto umana. Ma è una meravigliosa storia di una miniera di zinco, basata su una storia vera, scritta da persone che erano proscritte a Hollywood per le loro tendenze comuniste. È un grande film in cui classe, razza e genere si uniscono per formare una grande trama e narrazione.
C’è un momento nel film che è in qualche modo grazioso: i ragazzi non possono fare più picchetti per la legge Taft-Hartley, così che le donne li sostituiscono ai picchetti, perché nulla vieta loro di farlo. Quindi gli uomini devono prendersi cura delle faccende domestiche. È interessante notare che gli uomini cominciano rapidamente a capire perché le donne stavano loro chiedendo di esigere l’acqua corrente e altre cose, al loro padrone, che avrebbero reso la vita quotidiana più facile. Rapidamente, naturalmente, gli uomini scoprono quanto sia difficile stare a casa tutto il giorno. Tutto questo riunisce il tipo di questioni di genere che sono importanti oggi. E affronta la solidarietà attraverso linee etniche, oggi cruciali. Il film fa un grande lavoro evidenziando tutto ciò in modo didattico. Mi è sempre piaciuto quel film, così ho pensato che fosse opportuno ricordarlo nel contesto di “Città ribelli”.

Qualche parola di commiato per chi legge o ascolta questa intervista?
Purtroppo, io non sono un organizzatore, sono un analista dei limiti di capitale e di come concettualizzare visioni alternative per la società. Ho guadagnato molta forza, motivazione e idee da quelli che realmente si impegnano ogni giorno nella lotta. Partecipo e aiuto, se posso. Il mio consiglio a tutti sarebbe di uscire in strada il più possibile e affrontare la disuguaglianza sociale e il degrado ambientale, perché questi problemi sono sempre più presenti. Mi piacerebbe che le persone diventassero attive, scendessero in strada, continuasse ad avanzare. Questo è un momento cruciale. Sai, il grande capitale non ha ceduto per niente, finora. Dobbiamo produrre una spinta enorme se vogliamo vedere qualcosa di diverso nella nostra società. Abbiamo bisogno di creare meccanismi e forme organizzative che riflettano i bisogni e i desideri della società come un tutto, non solo di una classe privilegiata e oligarchica.
 

* Questa intervista è stata realizzata da Vince Emanuele per “Veterans Radio Unplugged” (www.veteransunplugged.com), trasmissione radiofonica che va in onda ogni domenica a Michigan City (Indiana). Vince è anche membro dei Veterans for Peace e fa parte del consiglio di amministrazione di Iraq Veterans Against the War. Il colloquio, pubblicato sul sito statunitense di Znet, è stato tradotto in italiano e pubblicato da Znetitaly qualche mese fa (http://znetitaly.altervista.org/art/9260). Quella che pubblichiamo noi è una versione in italiano, a cura di DKm0, ricavata dalla traduzione in spagnolo fatta da Eduardo Perez per il periodico madrileno Diagonal (https://www.diagonalperiodico.net/global/tipo-ciudad-queremos-vivir-esta-ligado-al-tipo-personas-queremos-ser.html) e pubblicata con il titolo “Il tipo di città in cui vogliamo vivere dipende dal tipo di persone che vogliamo essere”