di Vince
Emanuele*
David Harvey è professore di antropologia e
geografia alla City University of New York. Harvey è intervenuto lo scorso 27 settembre a Roma al Teatro Valle occupato e il giorno successivo al Nuovo Cinema Palazzo, nel corso della settimana di seminari e workshop intitolata “Lotte spaziali” (http://www.teatrovalleoccupato.it/lotte-spaziali-una-settimana-seminari-workshop-performance-dal-22-al-28-settembre-2013)
Il
mio interesse per tutto questo viene da una contraddizione molto semplice:
supponiamo che viviamo sotto il capitalismo, e si presume che il capitalismo è
competitivo, quindi ci si aspetterebbe che ai capitalisti e agli imprenditori
piaccia la concorrenza. Bene, risulta che i capitalisti fanno tutto il
possibile per evitare la concorrenza. Amano i monopoli. Così, ogni volta che
possono, cercano di creare un prodotto che è sia monopolizzabile, che, in altre
parole, sia “unico”. Per esempio, prendiamo il logo di Nike, che è un perfetto
esempio di come i capitalisti estraggono un prezzo di monopolio di un logo
particolare, che tiene insieme tutto il bagaglio di ciò che significa, ciò che
rappresenta, e come le persone dovrebbero interagire con esso. Una scarpetta uguale
costa molto meno soldi, si può vendere a un prezzo molto più conveniente
semplicemente perché non ha il logo. Pertanto, la fissazione del prezzo di
monopolio è terribilmente importante. Troverai molti luoghi in cui questa è una
componente fondamentale del funzionamento dei mercati. In questo capitolo ho
citato il commercio del vino, che mi incuriosisce molto. La gente cerca di
estrarre una rendita di monopolio perché questo vigneto ha un suolo speciale o
una particolare posizione geografica. Quindi, crea un vino “vecchio” unico, che
ha un sapore migliore di qualsiasi altra cosa al mondo, solo che non è così.
C’è
grande interesse nel cercare di guadagnare una rendita di monopolio
assicurandosi che il proprio prodotto sia commercializzato come un unico e molto,
molto, molto speciale. E, a livello delle città, questo significa che le città
tentano di “commercializzare” se stesse. C’è tutta una storia, in particolare
nel corso degli ultimi 30-40 anni, di come le città cercano di commercializzare
e vendere un pezzo della loro storia. Qual è l’immagine di una città? È
attraente per i turisti? È di moda? Così si vende una città. Troverai città che
hanno una grande reputazione come Barcellona o New York. Uno dei modi per
migliorare l’unicità di una città è quello di vendere qualcosa che sia legato
alla storia della città, che è molto specifico, perché non è possibile
usufruire del parallelo storico altrove. Ad esempio, si va ad Atene per
l’Acropoli, o a Roma per le antiche rovine. Cominci a vendere la storia di una
città unica e redditizia. D’altra parte, se non hai una storia speciale,
semplicemente ti inventi qualche storia. Ci sono molte città con storie
inventate nel mondo di oggi. Quindi, dici alla gente che la cultura del sito è
molto speciale. Sai, le cose come stili unici di cibo, o la danza, hanno molta
importanza. Devi promuovere la “vita di strada” come unica, non c’è nessun
altro posto come questo e tutto quel genere di cose.
La
commercializzazione degli aspetti storici e culturali di una città è attualmente
una componente fondamentale del processo economico. Alcune città semplicemente
si inventano una cultura unica. Ad esempio, alcune città usano il “architettura
firmata”. Non molte persone conoscevano la città di Bilbao fino a che il Guggenheim Museum divenne il centro di
un particolare stile di architettura. Possiamo guardare a Sydney (Australia) e
al suo Teatro dell’Opera, che è la prima cosa che la gente riconosce quando
vedono l’immagine della città, e si può vedere quanta importanza ha avuto. In questo
modo, la stessa architettura è rimasta intrappolata nella commercializzazione
di una città. Anche le scene pittoriche e musicali diventano rilevanti aspetti
culturali della città, per poi venderle – città come Austin (Texas) diventano
“scene musicali”. Hai anche luoghi come Nashville, ecc. Le città iniziano a
utilizzare la produzione culturale come un modo per vendere la loro città come
unica e speciale. Naturalmente, il problema è che gran parte della cultura è
molto facile da copiare. L’unicità comincia a scomparire. Allora abbiamo quello
che io chiamo la “disneyficazione” della società. In Europa, per esempio,
guarda come tutto si “disneyfica”, anche se molte città hanno storie culturali
/ storiche serie.
Ad
alcune persone, a me per esempio, questo risulta estremamente ripugnante. È una
ulteriore ”disneyficazione” della storia europea e semplicemente non
voglio più essere disturbato da questo. Questa è la contraddizione: vendi una
città come unica, ma attraverso il marketing la città può essere copiata. In
effetti, i simulacri della diventano tanto importanti quanto la storia stessa.
C’è una tensione nel cercare una rendita monopolista, ottenerla per un breve
periodo e poi perdendola a causa dei simulacri. Questo è importante. Ciò crea
anche una situazione in cui i produttori culturali acquisiscono grande
importanza. Vivevo a Baltimora nel 1969, e c’erano tre musei. Ora ci sono circa
trenta! Questo diventa il modo in cui si vende la città. Tuttavia, ripeto, se
ogni città ha trenta musei, puoi dimenticarti di avere una posizione di
monopolio. E non importa realmente se sono a Baltimora, Pittsburgh o Detroit:
tutto diventa una esperienza copiata. Cominciano a perdere il loro potere
monopolista.
Nel capitolo 5, “Rivendicare la città attraverso la lotta anti-capitalista”, scrivi: “Due problemi nascono dai movimenti politici basati sulle città: 1) è la città, o il sistema di città, un mero luogo passivo o una rete pre-esistente? 2) Le proteste politiche abitualmente misurano il loro successo nella misura in cui sono capaci di interrompere le economie urbane”. Quali sono alcuni esempi di queste interruzioni? Come pensi che i dissidenti possano interrompere le economie urbane in modo più efficace?
L’uragano
Sandy ha realmente interrotto la vita di coloro che vivono a New York.
Pertanto, non vedo come i movimenti sociali organizzati non possano
interrompere la normale vita nelle grandi città, e quindi danneggiare gli
interessi della classe dominante. Abbiamo visto molti esempi storici. Per
esempio, negli anni sessanta le interruzioni che si sono verificate in molte
città degli Stati Uniti hanno causato massicce interruzioni degli affari. Le
classi politiche e imprenditoriali risposero rapidamente a causa del livello di
interruzione e distruzione. Cito nel libro le manifestazioni di lavoratori
migranti nella primavera del 2006. Le proteste erano in risposta al tentativo
da parte del Congresso di criminalizzare gli immigrati clandestini. Di
conseguenza, la gente si mobilitò in posti come Los Angeles e Chicago, e interruppero
in modo imponente gli affari della città. Si potrebbe prendere l’idea di uno
sciopero, solitamente diretto contro una particolare azienda o organizzazione,
e trasferire quelle tattiche e strategie ai centri delle città. Invece di
scendere in sciopero contro una impresa o un commercio specifici, la gente dovrebbe
indirizzare queste azioni su intere aree urbane.
Poi
ci sono eventi come la Comune di Parigi, o lo sciopero generale a Seattle nel
1919, o la sollevazione del Cordobazo in Argentina nel 1969. Questo non deve
essere un movimento rivoluzionario dalla notte alla mattina. Queste cose
possono accadere molto gradualmente attraverso le riforme. Un esempio
interessante di bilancio partecipativo si sta facendo a Porto Alegre (Brasile),
dove il Partito dei Lavoratori ha sviluppato un sistema attraverso il quale le
popolazioni e le assemblee locali decidono come i soldi dovrebbero essere
spesi. Quindi, tenevano assemblee popolari, ecc. che decidevano come utilizzare
i fondi e i servizi pubblici. Ancora una volta, ecco qui una riforma
democratica che ha avuto luogo al principio a Porto Alegre, ma che da allora si
è trasferita in città europee. È una grande idea. Coinvolge il pubblico e rende
le persone partecipi del processo. Democratizza il processo decisionale in
tutta la società. Queste decisioni non sono più prese dai comuni, burocrati, o
dietro porte chiuse. Ora, queste cose sono aperte al dibattito pubblico. Così
da un lato si si hanno interventi rapidi in forma di scioperi e interruzioni.
D’altra parte, un processo di riforma che ha luogo mediante assemblee
democratiche, ecc.
Come organizzatore, ho lavorato con persone che lavorano nel settore sindacale, disoccupati o quelli che lavorano nell’economia in nero. In concreto, sono interessato a organizzare quelli che lavorano nelle industrie del settore dei servizi, o grandi aree commerciali, come ApplebeÈs o Best Buy. Nel capitolo 5, tu scrivi: “Nella tradizione marxista, le lotte urbane sono spesso ignorate o sottovalutante perché prive di potenziale o importanza rivoluzionaria. Quando una lotta urbana acquisisce uno rivoluzionario emblematico, come durante la Comune di Parigi del 1871, viene descritta, in primo luogo da Marx e ancor più enfaticamente da Lenin, come una rivolta proletaria, prima che un movimento rivoluzionario molto più complicato, animato sia dal desiderio di reclamare la città dall’appropriazione borghese che dalla desiderata liberazione degli operai dalla dura oppressione di classe nei luoghi di lavoro. Io do importanza simbolica al fatto che le prime due decisioni della Comune di Parigi sono state di abolire il lavoro notturno nelle panetterie, una questione di lavoro, e di imporre una moratoria agli affitti, una questione urbana “. Puoi parlarci della priorità dei lavoratori industriali nella ideologia marxista? Con meno del 12% della forza lavoro statunitense sindacalizzata, come possiamo cominciare a riconcettualizzare il proletariato?
È
una lunga storia. La tendenza nei circoli marxisti, e non solo nei circoli
marxisti ma nella sinistra in generale, è dare la priorità al lavoratore
industriale. Questa idea di una lotta d’avanguardia che porti a una nuova
società è stata presente per un certo tempo. Tuttavia, ciò che è affascinante è
la mancanza di alternative a questa visione. O per lo meno variazioni sul suo
intento e il suo scopo. Naturalmente, molto di questo deriva dal volume I del
Capitale di Marx, che pone l’accento sull’operaio di fabbrica. Questa idea che
il partito d’avanguardia dei lavoratori ci condurrà alla nuova terra promessa
della società anticapitalista, diciamo “comunista”, si è protratto per un
centinaio di anni. Ho sempre pensato che sia una concezione troppo ristretta di
ciò che è il proletariato e di chi è “all’avanguardia”. Inoltre, sono sempre
stato interessato alle dinamiche della lotta di classe e alla sua relazione con
i movimenti sociali urbani.
Chiaramente,
per me, i movimenti sociali urbani sono molto più complicati. Percorrono tutta
la strada che parte delle organizzazioni di quartiere borghesi, che dedicano a
una politica di élite, fino a una lotta di inquilini contro i proprietari a
causa di pratiche di sfruttamento. Quando si guarda l’ampio spettro dei
movimenti sociali urbani, si scopre che alcuni sono anticapitalisti e altri il
contrario.
Ma
bisognerebbe fare la stessa osservazione su alcune forme di sindacalismo
tradizionale. Ad esempio, ci sono alcuni sindacati che considerano
l’organizzazione come un modo di favorire i lavoratori già privilegiati nella
società. Certo non mi piace, questa idea. Ce ne sono altri che stanno cercando
di creare un mondo più giusto ed equo. Penso ci sia una distinzione simile tra
le forme di organizzazione dei lavoratori dell’industria. Di fatto esse, a
volte, dato che hanno a che fare con gruppi e interessi particolari, sono più
reazionari nella politica generale di quello che ci si potrebbe aspettare. È in
relazione a questo che guardo alle forme di organizzazione di Antonio Gramsci.
Lui era molto interessato ai consigli di fabbrica. Seguiva la linea marxista
secondo cui l’organizzazione di fabbrica è cruciale nella lotta. Ma poi
esortava la gente a organizzarsi anche nei quartieri. Così, secondo il pensiero
di Gramsci, potevano ottenere una situazione migliore per tutta la classe
operaia, non solo per quella organizzata nelle fabbriche, ecc. Comprese persone
come i disoccupati, i lavoratori precari e tutte le persone che hai citato, e
che non erano al lavoro nei settori industriali tradizionali. Gramsci proponeva
che questi due tipi di metodi organizzativi si intrecciassero per rappresentare
veramente il proletariato. In sostanza, il mio pensiero in questo senso
riflette Gramsci. Da dove cominciare per preoccuparsi di tutti i lavoratori di
una città? Chi fa questo?
I sindacati tradizionali non tendono a farlo. Mentre esistono movimenti all’interno del movimento sindacale che stanno mettendo in azione queste pratiche organizzative. Ad esempio, i Trade Unions Councils in Gran Bretagna, o i Labor Councils negli Stati Uniti: ambedue cercano di organizzare in qualche modo al di fuori dell’ambito della tradizionale organizzazione sindacale. Ora, questi aspetti del movimento dei lavoratori non sono stati rafforzati. Dobbiamo inventare nuove forme di organizzazione che raccolgano la faccia progressista di ciò che accade nei movimenti sociali urbani, e la unisca con il resto del modello dell’unione industriale di tradizionale. Dobbiamo riconoscere che molti lavoratori nell’economia degli Stati Uniti non potrebbero organizzarsi ufficialmente in un sindacato con le leggi sul lavoro vigenti. Quindi c’è bisogno di una diversa forma di organizzazione, al di fuori del modello di sindacato tradizionale.
I sindacati tradizionali non tendono a farlo. Mentre esistono movimenti all’interno del movimento sindacale che stanno mettendo in azione queste pratiche organizzative. Ad esempio, i Trade Unions Councils in Gran Bretagna, o i Labor Councils negli Stati Uniti: ambedue cercano di organizzare in qualche modo al di fuori dell’ambito della tradizionale organizzazione sindacale. Ora, questi aspetti del movimento dei lavoratori non sono stati rafforzati. Dobbiamo inventare nuove forme di organizzazione che raccolgano la faccia progressista di ciò che accade nei movimenti sociali urbani, e la unisca con il resto del modello dell’unione industriale di tradizionale. Dobbiamo riconoscere che molti lavoratori nell’economia degli Stati Uniti non potrebbero organizzarsi ufficialmente in un sindacato con le leggi sul lavoro vigenti. Quindi c’è bisogno di una diversa forma di organizzazione, al di fuori del modello di sindacato tradizionale.
C’è
un’organizzazione di New York, che in realtà è nazionale, ma molto forte a New
York, che si chiama Organizzazione delle lavoratrici domestiche. È molto
difficile organizzare le lavoratrici domestiche. Ma hanno un organizzazione
basata sui diritti e continuano ad organizzarsi e a lottare. Siamo onesti, se
sei un immigrato illegale negli Stati Uniti, vieni trattato in maniera deplorevole.
Così che l’organizzazione di gruppi come i tassisti o i lavoratori di
ristorante li ha condotti a quello che viene chiamato un Congresso dei
Lavoratori. Stanno cercando di unire tutte queste forme di organizzazione. Sai,
anche Richard Trumka (Presidente della federazione sindacale Afl-Cio) è apparso in una di queste
conferenze nazionali e ha detto ai lavoratori che al movimento operaio
tradizionale piacerebbe almeno avere rapporti con loro. In breve, credo che ora
esista un crescente movimento che riconosce l’importanza di tutti questi
diversi tipi di lavoro che si svolgono all’interno dell’ambiente urbano. Prendo
la domanda che mi pone molta gente dei sindacati: «Perché non organizzare
l’intera dannata città?”.
Già
ci sono movimenti per organizzare i tassisti, ma perché non i venditori? È una
forza lavoro enorme e la città dipende interamente da questi settori di
lavoratori per mantenere in attività gli affari come sempre. Che cosa
succederebbe se questi gruppi si unissero e cominciassero a chiedere un diverso
tipo di politica nelle città? Che cosa succederebbe se disponessero di una voce
sul modo in cui sono utilizzati i fondi e le risorse? C’è un modo per
contrastare l’incredibile disuguaglianza che esiste a New York? Voglio dire, le
dichiarazioni dei redditi dello scorso anno hanno mostrato che l’1 per cento
della popolazione di New York guadagna 3,57 milioni dollari ciascuno, rispetto
al 50 per cento della popolazione che cerca di andare avanti con meno di
30.000 . È una delle città più ineguali del mondo. Che cosa possiamo fare in
proposito? Come possiamo organizzarci per cambiare questa disuguaglianza?
A
mio parere, dovremmo tralasciare questa idea che l’operaio di fabbrica sarà
l’avanguardia del proletariato, e iniziare a guardare a quanti sono impegnati
nella produzione e riproduzione della vita urbana come alla nuova avanguardia.
Questo include lavoratrici domestiche, tassisti, venditori, e molti altri delle
classi povere e lavoratrici. Penso che possiamo costruire movimenti politici
che operino in modi totalmente diversi rispetto al passato. Possiamo vedere
questo in città in tutto il mondo, dalle città boliviane a Buenos Aires.
Combinando il lavoro degli attivisti urbani che lavorano nelle fabbriche,
cominciamo a sviluppare uno stile completamente diverso di agitazione politica.
Puoi parlare di una di queste città, come El Alto (Bolivia)? Inoltre, io ero a Madison (Wisconsin) nel 2011, durante le grandi proteste dei lavoratori, e devo dire che è stato interessante vedere la dinamica dei sindacati e come interagivano con lavoratori e con cittadini non sindacalizzati. Purtroppo, spesso sembra il movimento sindacale reprima il dissenso e le resistenze serie. Per esempio, mentre molti lavoratori a Madison erano sindacalizzati, quelli che fisicamente occuparono il Campidoglio non erano sindacalizzati. Poi vennero i grandi sindacati e immediatamente dirottarono la discussione sul voto per ottenere le dimissioni del Scott Walker e su altre misure liberal-riformiste. Certo, col senno di poi vediamo il disastro in cui tutto si trasformò: il governatore Walker vinse nel voto. Dal mio punto di vista, questi movimenti dei sindacati e del Partito democratico hanno disperso l’energia del movimento. Cosa pensi di questi problemi?
I
sindacati hanno attraversato un brutto periodo. Non si stanno comportando in
modo molto progressista. Quindi nel complesso sono d’accordo con te. Ora, il
motivo per cui ho citato Trumka è perché penso che Trumka e molti di quelli che
sono all’interno del movimento operaio organizzato capiscono che non possono
fare da soli, e hanno bisogno dell’aiuto da tutta la forza lavoro,
sindacalizzata o meno. Questa è sempre la sfida di organizzarsi: quanto
sostegno vogliamo da queste grandi entità? E quanto di ciò che stanno facendo
viene da un vero senso di solidarietà? Quanto lo fanno per guadagni personali?
La mia esperienza a Baltimora, nelle campagne per un salario degno, riflette
fino a un certo punto la tua esperienza. I sindacati generalmente erano ostili
a queste campagne e non aiutavano. Tuttavia, ricevemmo molto sostegno da parte
dei sindacati locali. Dobbiamo separare queste due entità. Certe sezioni
sostennero le campagne. Il movimento sindacale è stata molto, molto
conservatore in questo Paese, in molti modi, in particolare negli ultimi 50
anni.
Ci
sono problemi simili nei sindacati britannici. Per essere onesto, l’impressione
che ho avuto di alcuni leader locali di New York è che capiscano che non
possono continuare a portare il testimone. Dubito che tu stessi dicendo che non
dovremmo organizzarci con i sindacati, e diffiderei di chiunque lo dica, ma,
credimi, sono molto cosciente dei limiti dei sindacati moderni. In effetti, ho
sentito molto di quello che hai detto da amici che partecipavano agli eventi si
Madison. Sai, ho letto quanto più potevo su El Alto (Bolivia), e ciò che mi
affascina veramente sono le forme di organizzazione che vi si creano. C’è una
componente sindacale, con un forte sindacato degli insegnanti alla testa del
movimento. Ma ci sono anche molti ex sindacalisti che erano nelle miniere di
stagno, che rimasero disoccupati negli anni ottanta del riaggiustamento
neoliberista. Queste persone sono finite a vivere nella città di El Alto e lì
c’è una tradizione politica attivista socialista. Nel movimento sindacale in
cui militavano c’erano principalmente trotzkisti, il che è significativo.
Tuttavia,
le organizzazioni più importanti erano le organizzazioni di quartiere. Inoltre,
c’era una assemblea generale di organizzazioni di quartiere chiamata Federación de Organizaciones Barriales.
Ad esempio, vi erano organizzazioni di venditori ambulanti, che abbiamo anche a
New York, più la gente del trasporto. Questi diversi gruppi si riunivano in
modo abbastanza regolare. La dinamica interessante di queste organizzazioni è
che non si incontrano faccia a faccia per qualsiasi tema. Voglio dire, che
senso ha andare a una riunione in cui tutti sono d’accordo? Dovevano
partecipare alle riunioni al fine di garantirsi che non fossero danneggiati i
loro interessi. Questo è quello che succede quando si hanno vivaci dibattiti e
un discorso politico: progresso. Così, l’attivismo delle federazioni di
quartiere è nato da metodi organizzativi molto competitivi. Poi, quando la
polizia e l’esercito hanno iniziato ad assassinare la gente per le strade, c’è
stata una dimostrazione immediata di solidarietà tra i gruppi che si erano
organizzati in città. E chiusero la città e bloccarono le strade. Gli abitanti
di La Paz non potevano ricevere beni e servizi perché tre delle strade
principali passavano direttamente attraverso El Alto, che era chiuso da queste
organizzazioni.
Lo
hanno fatto nel 2003, e il risultato è stato che il presidente fu scalzato.
Poi, nel 2005, fu scalzato il presidente successivo. Alla fine, è arrivato Evo
Morales. Tutti questi elementi si sono uniti e organizzati in modo efficace per
i poveri e la classe operaia in Bolivia. Da qui è venuto il titolo per il mio
libro, le città ribelli. Letteralmente, El Alto divenne una città
rivoluzionaria in pochi anni. È affascinante studiare e osservare le forme di
organizzazione in Bolivia. Non sto dicendo che questo è “il modello” che tutti
dovrebbero copiare, ma è un buon esempio da osservare e studiare.
Parli di un film che è molto speciale per me, “il sale della terra”, che vidi per la prima volta nel mio primo anno di università. Il mio professore, Kim Scipes, teneva un corso sulla diversità razziale ed etnica alla Purdue University North Central durante il quale vedemmo il film come materiale obbligatorio per il corso. Quando si fa riferimento a questo film nel tuo libro, scrivi: “Solo quando l’unità e l’uguaglianza sono costruiti con tutti, le forze del lavoro saranno in grado di vincere. Il pericolo rappresentato da questo messaggio per il capitalismo si misura con il fatto che questo è l’unico film americano la cui proiezione in qualsiasi luogo commerciale è stata sistematicamente proibita per molti anni “. Puoi dirci perché questo film è importante? Cosa ci può insegnare sulla lotta?
Bene,
ho visto il film (“Salt of the Earth”,
diretto da Herbet J. Biberman, 1954, vedibile integralmente su https://www.youtube.com/watch?v=G7ZoomADDOI,
ndt) per la prima volta qualche tempo fa, non ricordo esattamente quando. Ma,
come te, ho sempre apprezzato il suo ricordo. Quando ero seduto a scrivere
questo libro, l’ho visto di nuovo. Naturalmente, l’ho visto un paio di volte
ancora. Penso che sia una storia molto umana. Ma è una meravigliosa storia di
una miniera di zinco, basata su una storia vera, scritta da persone che erano
proscritte a Hollywood per le loro tendenze comuniste. È un grande film in cui
classe, razza e genere si uniscono per formare una grande trama e narrazione.
C’è
un momento nel film che è in qualche modo grazioso: i ragazzi non possono fare
più picchetti per la legge Taft-Hartley, così che le donne li sostituiscono ai
picchetti, perché nulla vieta loro di farlo. Quindi gli uomini devono prendersi
cura delle faccende domestiche. È interessante notare che gli uomini cominciano
rapidamente a capire perché le donne stavano loro chiedendo di esigere l’acqua
corrente e altre cose, al loro padrone, che avrebbero reso la vita quotidiana
più facile. Rapidamente, naturalmente, gli uomini scoprono quanto sia difficile
stare a casa tutto il giorno. Tutto questo riunisce il tipo di questioni di
genere che sono importanti oggi. E affronta la solidarietà attraverso linee
etniche, oggi cruciali. Il film fa un grande lavoro evidenziando tutto ciò in
modo didattico. Mi è sempre piaciuto quel film, così ho pensato che fosse
opportuno ricordarlo nel contesto di “Città ribelli”.
Qualche parola di commiato per chi legge o ascolta questa intervista?
Purtroppo,
io non sono un organizzatore, sono un analista dei limiti di capitale e di come
concettualizzare visioni alternative per la società. Ho guadagnato molta forza,
motivazione e idee da quelli che realmente si impegnano ogni giorno nella
lotta. Partecipo e aiuto, se posso. Il mio consiglio a tutti sarebbe di uscire
in strada il più possibile e affrontare la disuguaglianza sociale e il degrado
ambientale, perché questi problemi sono sempre più presenti. Mi piacerebbe che
le persone diventassero attive, scendessero in strada, continuasse ad avanzare.
Questo è un momento cruciale. Sai, il grande capitale non ha ceduto per niente,
finora. Dobbiamo produrre una spinta enorme se vogliamo vedere qualcosa di
diverso nella nostra società. Abbiamo bisogno di creare meccanismi e forme
organizzative che riflettano i bisogni e i desideri della società come un
tutto, non solo di una classe privilegiata e oligarchica.
*
Questa intervista è stata realizzata da Vince Emanuele per “Veterans Radio
Unplugged” (www.veteransunplugged.com),
trasmissione radiofonica che va in onda ogni domenica a Michigan City
(Indiana). Vince è anche membro dei Veterans for Peace e fa parte del consiglio
di amministrazione di Iraq Veterans Against the War. Il colloquio, pubblicato sul
sito statunitense di Znet, è stato tradotto in italiano e pubblicato da
Znetitaly qualche mese fa (http://znetitaly.altervista.org/art/9260).
Quella che pubblichiamo noi è una versione in italiano, a cura di DKm0,
ricavata dalla traduzione in spagnolo fatta da Eduardo Perez per il periodico
madrileno Diagonal (https://www.diagonalperiodico.net/global/tipo-ciudad-queremos-vivir-esta-ligado-al-tipo-personas-queremos-ser.html)
e pubblicata con il titolo “Il tipo di città in cui vogliamo vivere dipende dal
tipo di persone che vogliamo essere”