di
Riccardo Bottazzo
Cronaca della prima
giornata del convegno. Comincia da Venezia l’Europa in movimento. È cominciato
come doveva cominciare. Con un grande e commosso applauso in memoria di don
Gallo. “Un uomo che è e che sempre rimarrà nei cuori di chiunque lotti per
cambiare il mondo”, come lo ha ricordato in apertura Vilma Mazza. È cominciato
così la “due giorni” di incontri sul tema L’Europa oltre l’Europa organizzata
da Global Project e European Alternatives
Il
freddo quasi autunnale e la ventilata minaccia dell’acqua alta, sottoposta ai
capricci di un imprevedibile vento di scirocco, non hanno compromesso la
partecipazione di un folto pubblico che ha affollato la sala messa a
disposizione dallo Iuav. Questo primo appuntamento, coordinato da Vilma Mazza
direttore di Global Project e da
Lorenzo Marsili European Alternatives,è
stata dedicata ai movimenti internazionali.
“Non
perdiamoci a descrivere cose che già sappiamo - ha invitato Vilma Mazza - come
le politiche di austerity o le repressioni, ma cerchiamo piuttosto di
utilizzare questo incontro per costruire un ragionamento comune. Ragionamento
che è tutt’altro che scontato. Nessuno di noi vuole tornare indietro
nell’orologio della storia. Fermarsi a sostenere che l’Europa ci opprime
rischia di sfociare in derive nazionalistiche. Piuttosto troviamo una strada
comune per abbattere questa idea di Europa e costruirne una con una geografia
politica diversa capace di guardare verso l’Euromediterraneo”.
Sulla
stessa lunghezza d’onda anche Lorenzo Marsili che osserva come ogni
ragionamento sull’Europa è soggetto a due poli di attrazione: quello dello
status quo e dell’austerità sostenuto da politiche socialdemocratiche sempre
più blande, e quello del nazionalismo xenofobo di chiara impronta
fascista.
Tema
al quale si riaggancia il primo ospite: il giornalista greco Argiris
Panagoupoulus. “Ultimamente ho viaggiato parecchio per il sud dell’Europa -
spiega - e ho visto dappertutto la stessa rabbia. Ma come si fa a costruire una
Europa democratica partendo da un Paese come la Grecia che democratico non può
più definirsi?” Argiris racconta episodi di precettazioni forzate e di un
diritto fondamentale, come quello dello sciopero, che non esiste più. “Che
diritti ci rimangono allora? Quello di andare a votare ogni quattro anni dopo
un violento bombardamento di menzogne televisive?” Quindi esamina il caso greco
di Syriza. “Mettere insieme le tante
anime della sinistra greca è stato un rischio... nucleare! Eppure lo abbiamo
fatto perché avevamo qualcosa di dire alla gente. “
Parola
alla Spagna e al redattore di Diagonal
pablo Elorduy. Impossibile che il discorso non cada sugli indignados. “In Spagna la situazione è
diversa. La sinistra tradizionale, quella che affondava le sue radici nel
comunismo, e non la destra, è violentemente antieuropea. Il governo socialista
ha seguito una politica uguale a quella dei conservatori e che si limita a
predicare austerità e tagli al welfare. Abbiamo assistito ad un processo di
svuotamento dello Stato cui sono rimasti solo i compiti di controllo sociale e
di spoliazione dei beni comuni. Contro tutto questo è nato il movimento degli indignados, che ha messo in luce la
carenza di democrazia e la crisi della rappresentanza. Cosa ne è ora di questo
movimento? Si è verificato un ritorno al territorio e una attenzione alle
battaglie locali”. Ammettendo che, rispetto ad un ragionamento europea gli
indignados sono in forte ritardo, Pablo conclude con un parallelo musicale,
invitando tutti i movimenti locali a “suonare la stessa musica”.
Anno
zero anche in Romania, come spiega Iulia Popovici di CritcAtac. A Bucarest le proteste contro la casta politica e contro
l’austerity hanno ottenuto solo di affondare un governo di destra per lasciare
spazio ad una coalizione socialista e liberalista in cui i più liberisti sono
proprio i socialisti. “I nostri governanti sono proni ai comandi di Bruxelles e
più pronti ad andare contro al loro stesso popolo che ai comandi della troika.
Da anni stanno privatizzando tutto il privatizzabile e anche qualcosa di più”.
Addirittura, racconta Iulia, anche il sistema di ambulanze di prima emergenza è
in mano ai privati. Per quanto riguarda l’Europa, in Romania non ci sono
Euroscettici. “L’Europa viene vista come un mercato aperto del lavoro.
Ricordiamoci che nel mio Paese la migrazione è un cardine sociale e culturale”.
Claudio
Gnesutta di Sbilanciamoci riprendo in
mano la dicotomia tra democrazia e capitalismo, osservando come questi due
termini non si sposino bene assieme. “Siamo di fronte ad una rivoluzione dall’alto
che significa che le regole sociali le sta riscrivendo l’alta finanza. Sino ad
oggi c’è sempre stato un compromesso tra il sociale e l’economia. Adesso non
c’è più bisogno di questo compromesso. L’economia ordina come deve organizzarsi
la società. La finanza comanda perché può decidere come e dove devono spostarsi
i capitali a livello globale. Si è assunta il diritto di decidere priorità,
meriti e metodi, forte di una forte classe dirigente e di una forte egemonia
culturale”. Gnesutta osserva come anche tanta sinistra abbia digerito il
principio che l’economia è dominante in una società. Dove sta l’alternativa
allora? “Riportando al centro il lavoro e i suoi diritti, ponendo la questione
sociale sopra quella economica. Il problema non è euro sì o euro no, ma come
cambiare le politiche economiche dell’Europa”.
Di
rivoluzione dall’alto parla anche Francesco Raparelli di Dinamopress. “Ma piuttosto che usare questo termine preferisco
quello di costituente neoliberale, preferisco parlare di saccheggio più che di
economia. I salari, il welfare sono il primo bersaglio di questa costituente
che tenta di trasformare la crisi in opportunità. Non è un caso che la grande
finanza ha ripreso ad investire nei titoli di Paesi in bancarotta come la
Grecia”. Quella che a parere di Raparelli ci attende è una stagione di grandi
turbolenze sociali. “Non possiamo liquidare il problema come la supremazia
dell’economia sulla politica. Il, problema è che si governo solo a sostegno del
mercato. Non c’è un vuoto di politiche ma nuove politiche”. Impossibile pensare
a rifondare questa Europa dal basso senza fare i conti con l’euro che, secondo
Raparelli, è la quintessenza dell’Europa e un caposaldo di questo processo.
Eppure sulla questione “euro sì o euro no” i movimenti non hanno ancora preso
una posizione forte. “Grillo sta per lanciare il referendum contro l’euro. Noi
cosa gli opponiamo?” domanda. Raparelli non si nasconde di non avere la
soluzione in tasca e offre alla platea due possibilità: la moneta comune oppure
“far uscire la Germania dall’euro. Intendo, istituendo zone di moneta
diversificate nell’Europa. Cose fuori dal mondo? Può darsi. Di sicuro c’è solo
che così come è, l’euro non può essere preso per buono”.
Il
giurista austriaco Leo Specht descrive come stiamo vivendo la fine del
compromesso sociale su cui si era fondata la nostra società ed in cui anche
alle classi deboli veniva concesso l’accesso alla ricchezza sociale. “Il
welfare di cui abbiamo goduto sino ad ora era organizzato su base nazionale ma
l’attacco è venuto dall’Europa e non c’è stata difesa”. Specht propone di
rovesciare la logica europea puntando su economie locali. “Le politiche europee
si basano sul binomia economia e mercato ma ci sono tante forme di mercato,
anche di creative e di sperimentali in grado di creare vere alternative”.
Srecko
Horvat organizzatore del festival croato Subversive
cerca di dare una risposta alla fondamentale domanda “Che fare?” e risponde
raccontando un aneddoto riguardante Ho Chi Min al quale una delegazione di
comunisti italiani aveva chiesto come poteva fare per sostenere la sua
battaglia. Il leader vietnamita rispose “Quando tornate in Italia fate la
rivoluzione che abbiamo bisogno di alleati”. “Magari non la rivoluzione -
scherza Srecko, cui va dato l’innegabile merito di aver risvegliato la platea
raccontando qualche episodio divertente - ma è innegabile che in tutta l’Europa
qualcosa si muove. Il rischio è quello del Gattopardo, che cambi tutto per non
cambiare niente”.
La
parola passa al giornalista del Manifesto
Marco Bascetta che ha denunciato il pericolo che le critiche all’Europa
provengano solo da basi nazionaliste grazie anche alla nostra incapacità di
pensare all’Europa in termini politici. Attenzione alla Germania, afferma, “in
cui si sta affermando un nazionalismo basato su criteri di competitività”.
L’evidente fallimento delle politiche di austerity, conclude, non ha comportato
un retromarcia “perché sono sempre state giustificate sostenendo che non erano
state applicate bene o in maniera completa”.
Per
Raffaella Bolini dell’Arci, i pezzi
di un processo alternativo ci sono e sono sparpagliati per tutta l’‘Europa. Il
problema è che sono nascosti da una cappa di egemonia culturale liberista che
non lasci spazi. “Ora ci cullano con il miraggio di una imminente crescita ma
sono solo escamotage elettorali. L’unica crescita sarà per gli speculatori che
riescono pure a passare per salvatori dell’economia”. Raffaella Bolini racconta
di come il Governo greco abbia invitato i gruppi finanziari francesi a gestire
le risorse idriche privatizzate del loro Paese per “aiutare” il popolo greco.
“In queste condizioni, come si fa a far capire alla gente che il futuro è nella
cooperazione e non nella competitività?” si chiede. E conclude
ottimisticamente: “Se c’è una cosa in cui noi italiani siamo sempre stati bravi
è la cooperazione. Abbiamo costruito reti, associazioni, raccolte di firme e
quant’altro per la Palestina, il Chiapas... Adesso è il momento di sostenere
quelle realtà europee che resistono, nonostante se ne parli poco. In Grecia ci
sono gruppi di mutuo soccorso di gente che non ha niente e aiuta chi non ha
niente, in Romania interi paesi sono sulle barricate contro le privatizzazioni.
Sosteniamoli come abbiamo sostenuto altre battaglie. Forse non riusciremo ad
aiutare loro, ma certo aiuteremo noi a capire quale Europa vogliamo”.
Conclude
questo primo appuntamento Beppe Caccia che comincia con una citazione di buon
auspicio di Nietzsche “Solo chi ha dentro il caos può partorire una stella”.
Per Caccia, l’eterogeneità che caratterizza i movimenti più che una risorsa può
essere un rischio. “Per rendere costituente e produttiva questa eterogeneità
bisogna partire da punti fermi. Siamo alla preistoria di un discorso politico
europeo e dobbiamo rendercene conto. le forza in campo sono enormemente
sproporzionate perché l’accumulazione capitalistica ha ristretto gli spazi che
prima erano di competenza del lavoro. Per rovesciare questo quadro è
indispensabile uscire da vecchie e comode certezze del passato. A monte della
crisi c’è una trasformazione epocale del lavoro. Quello citato nel primo
articolo della Costituzione non esiste più e più tornerà”. Caccia nota che la
parola “cittadini” presente nel sottotitolo del convegno, “per un patto
costituente tra cittadine e cittadini”, è equivoco. “Perché questo termine,
nelle politiche europee è stato usato in maniera escludente. L’Europa che
vogliamo è una Europa dai confini più ampi, che guarda verso l’est e
verso il Mediterraneo. Abbiamo bisogno di allargare i confini di questa Europa
oltre le vecchie barriere. Abbiamo bisogno di cittadini insorgenti, perché
senza conflitto non potremo mai aprire una fase costituente dal basso”