perché vivere con ali recise non fa per me”
“Vik”
Non sentitevi sciocchi se, aprendo questo libro appena
uscito (Il viaggio di Vittorio, di Egidia Beretta Arrigoni, Dalai
editore, pagg.185,15, 00), sentirete gli occhi inumidirsi. Proseguendo nella
lettura, sfogliando frammento dopo frammento la breve esistenza, intensissima e
generosa, di Vittorio “Vik” Arrigoni, vi sarà difficile trattenere le lacrime.
Del resto Vik non si vergognava di piangere, quando, sotto i bombardamenti
israeliani su Gaza City, tra gli ultimi giorni del 2008 e i primi del 2009,
puntando la videocamera, rinunciava alle riprese. “Ho scoperto di essere un
pessimo cameraman”, scriveva, “non riesco a riprendere i corpi maciullati e i
volti in lacrime. Non riesco, perché piango anche io”. Il lutto aleggia in
queste pagine, giacché il lettore sa come andrà a finire: sa che il
protagonista, un ragazzo che letteralmente si era dedicato alla causa degli
ultimi, dovunque nel mondo, fu trucidato nella “sua” Gaza, il 15 aprile 2011.
Non sa, invece, il lettore, che tutta la breve vita di
questo ragazzo (muore a 36 anni), fu dedicata ad alleviare le altrui
sofferenze, in un viaggio che lo portò in Africa, nell’Est Europa, in America
Latina, prima di giungere nel tormentato Medio Oriente, fermandosi infine in
quel fazzoletto di terra, intriso di sangue, che sono i Territori palestinesi,
sottoposti al pugno di ferro israeliano. Vik si è speso, in ogni modo, sempre
pacificamente, sempre con uno sforzo volto non soltanto a testimoniare ma a
operare concretamente: non volle mai essere un “cooperante”, un “osservatore”,
e meno che meno un giornalista, sia pure solidale: fu uno di loro, volle essere
operaio, pescatore, scaricatore, infermiere, cuoco…: volle essere vittima tra
le vittime.
In una lettera alla mamma – che oggi è facile leggere
come tragicamente profetica – scriveva, da Nazareth: “Percorro strade che
rappresentano la nascita, il viaggio esistenziale, il miracolo, il calvario di
un Dio che di queste terre sembra essersi scordato”. Lo faceva anche un pò per la mamma, cattolica osservante, donna
impegnata come un pò tutta la famiglia, una famiglia il cui mondo, scrive
Egidia, “non è mai stato un mondo chiuso individualista, egoista”. Lei, mossa
proprio da una passione genuinamente politica, fuori dai partiti, si impegnò
nel sindacalismo e nell’associazionismo, in quel di Bulciago, il paese della
Brianza, dove si erano trasferiti gli Arrigoni, da Besana, borgo non lontano,
dove Vik era nato nel 1975). E nel 2004 divenne sindaco, confermata nel 2009:
Vik ne era orgoglioso, quanto lei era orgogliosa di suo figlio, sia pure con le
apprensioni di una mamma, apprensioni, purtroppo, più che giustificate. Ma sia
allora, sia ora che Egidia si è posta a riordinare i ricordi, e a tentare di
renderli pubblici, non c’è amarezza, nel racconto; solo dolore, filtrato sempre
da una serenità che giunge alla penna dell’autrice dalla sua fede religiosa e,
soprattutto, alleviato dalla consapevolezza che quel ragazzo era stato sempre
dalla parte giusta, dalla parte di quegli ultimi di cui il Cristo volle essere
interprete e salvatore.
Uno dei tanti episodi che ci regala Egidia Arrigoni,
riguarda una foto di papa Ratzinger che in visita in Africa sfoggia un paio di
meravigliose scarpette rosse firmate Prada. Vik la pubblicò, mettendole accanto
l’immagine di un Gesù in croce, con i piedi trafitti, e ancora, un africano
scalzo, e commentò: “Viene da pensare che se solo con queste calzature è lecito
intraprendere le vie del Signore, quanto sarà improbabile per gli scalzi miseri
dell’Africa avere accesso al Paradiso?”. Fu più volte arrestato, malmenato al
limite della tortura dagli israeliani, che lo espulsero e lo dichiararono
persona “non grata”. Ai suoi aveva scritto: “Rallegratevi del fatto che sono
pronto a qualsiasi destino, perché vivere con ali recise non fa per me”. Non
era, insomma, Vittorio Arrigoni un ragazzo qualunque: la mamma rifiuta
appellativi roboanti, da eroe a martire, ma a me piace invece esattamente
riproporli, con assoluta convinzione. Se non è stato un eroe Vik, un eroe
inattuale quanto necessario, di questi tempi orribili, chi lo è? Quanto al
martirio non v’è alcun dubbio. Ve ne sono invece, e forti, su chi abbia
organizzato il suo assassinio: che significa anche chiedersi a chi poteva
giovare la morte di un militante pacifico della causa di quegli ultimi, che,
dal 2002, furono i palestinesi. Le pagine sulle giornate di aprile 2011, quando
si affastellano le notizie sulla cattura e poi l’assassinio di Vik sono
strazianti. L’intera nazione palestinese lo pianse, onorando come un fratello
caduto nella lotta comune lui che, però, a differenza di loro, aveva scelto
quel destino, in nome di valori che percepiva come imperativi. Scrisse l’ebreo
dissidente, scrittore e militante contro le demolizioni delle case palestinesi,
Jeff Halper, che con Vik condivise molte battaglie: “Tu eri e sei la forza
terrena della lotta contro l’ingiustizia”. Non v’è molto da aggiungere; se non
l’invito a leggere il libro (i proventi sono destinati alla Fondazione Vittorio
Arrigoni – Vik Utopia).
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